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Regali di San Valentino: insidie delle liberalità e delle donazioni di opere d’arte

The kiss, Gustav Klimt, 1908, sterreichische Galerie Belvedere
The kiss, Gustav Klimt, 1908, sterreichische Galerie Belvedere

Anna Scott, milionaria diva del cinema americano, alter ego di Julia Roberts, donò al suo amato e stropicciato libraio di Portobello Road, l’originale (così sembra presumersi nel film) de La mariée, di Marc Chagall.

Non per tutti, come a Nothing Hill, purtroppo, però, la capra continua a suonare il violino “per sempre”, ma anzi nelle storie senza lieto fine, il mercato dell’arte, secondo il noto broccardo delle tre D “death, debt, and divorce[1], trova spesso la sua linfa vitale e non solo ad Hollywood.

Oltre oceano non si contano i casi di divorzio che hanno portato nelle aule di giustizia coppie di ricchi collezionisti insieme alle loro opere d’arte: da Robert Soros e Melissa Shiff che hanno dovuto contendersi una collezione d'arte contemporanea da 22 milioni di dollari (tra cui un dipinto di Christopher Wool, un'opera senza titolo che portava la parola "FOOL" a lettere maiuscole)[2] a Roman Abramovich e Dasha Zhukova, con un patrimonio stimato intorno ai 7,6 miliardi di dollari e il cui nome è strettamente legato al centro d’arte contemporanea più importante della Russia: il Garage Museum of Contemporary Art[3], o ancora David e Libbie Mugrabi, che possedevano una collezione di un valore quasi inestimabile con oltre mille opere tra cui figuravano Andy Warhol, Jeff Koons, Pablo Picasso, Damien Hirst e Basquiat[4].

Tuttavia, il divorzio che ha sicuramente causato più clamore mediatico in questo ambito è stato quello che ha visto coinvolti i coniugi Macklowe: la coppia, inserita da Artnews tra i cinquanta maggiori collezionisti del pianeta durante gli anni del matrimonio, possedeva una vastissima collezione di numerose opere di importanti artisti tra cui Pablo Picasso, Alberto Giacometti, Willem de Kooning, Jeff Koons e la serie di Marilyn Monroe di Andy Warhol. Ed è proprio sul valore della collezione che si è giocato lo scontro durissimo tra le parti: si dice che la collezione in totale valesse tra i 788 milioni di dollari (stima del perito di Harry) e i 625 milioni di dollari (stima del perito di Linda)[5]. Durante il procedimento di divorzio nel 2018, il giudice di New York ha infine deciso che i due collezionisti dovranno vendere 65 opere d’arte che valgono collettivamente circa $ 700 milioni e successivamente dovranno dividere i proventi[6].

Ma quale sarebbe stata la sorte della sposa in rosso che fluttua insieme alla capra nel cielo cobalto, donata a Hugh Grant dalla sua fidanzata, se la commedia romantica non avesse avuto un lieto fine?

La questione sembrerebbe essere stata risolta dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18280 del 19 settembre 2016, che ha visto protagonisti il cavalier Giuseppe Gazzoni Frascara, ex patron dell’Idrolitina e del Bologna Calcio, di recente scomparso, e la designer americana Katherine Price, già in precedenza moglie di Leonardo Mondadori, in cui gli Ermellini hanno affrontato il tema della validità o meno di doni d’arte (nella fattispecie si trattava di tredici importanti opere d’arte, di importanti artisti tra cui Klee, Klimt, Picasso, Man Ray, Brancusi, Modigliani e Dante Gabriele Rossetti, stimate complessivamente all’epoca 3 milioni di euro) da lui offerti alla fidanzata durante una lunga relazione sentimentale e le sue pretese restitutorie al termine del rapporto.

In questo caso, la Corte ha stabilito che si trattasse di una donazione quella avente ad oggetto la tela di Picasso Nude with raised arms, acquistata nel 1998 da Guggenheim Asher Associates Inc. di New York che era stata regalata all’amata insieme ad un brillante da 13 carati per “ottenere il perdono a fronte di un comportamento incongruo”.

Veniva, invece, considerata una liberalità d’uso il dono di un quadro di Gustav Klimt da 600 mila euro, offerto in occasione di un San Valentino “in ritardo” grazie ad un messaggio di posta elettronica in cui il Frascara scriveva “dì a Stella di rimettere il Klimt al 5° piano, ma se ti fa piacere puoi tenerlo...è un San Valentino in ritardo”[7], e al fatto che secondo la Corte D’Appello di Milano l’opera aveva un “soggetto coerente con quella festa”.

Stessa sorte per un Modigliani e un Dante Gabrielle Rossetti che portavano al retro la dedica «Happy Valentine 2004»[8].

Le liberalità d’uso, menzionate al comma 2 dell’articolo 770 Codice Civile, assolvono a una sorta di consolidata prassi sociale, che in determinate circostanze porta a compiere atti di questo genere per conformarsi a consuetudini diffuse e condivise. È il caso delle mance e dei di doni elargiti in occasione di ricorrenze come il Natale, il compleanno, l’anniversario ma anche la Festa della Donna o San Valentino: è infatti diffuso che nell’ambito della coppia sia riconosciuto il legame affettivo attraverso un regalo.

Tali liberalità d’uso, secondo quanto anche interpretato dalla Cassazione, sarebbero valide ed efficaci anche se poste in essere in difetto della forma solenne richiesta dal codice per la donazione (articolo 782 Codice Civile). Inoltre, la validità in questi casi sussisterebbe anche se il valore di quanto donato è particolarmente elevato: l’entità economica è commisurata infatti alle possibilità economiche o allo stato patrimoniale di chi fa il regalo (il patrimonio del donante nel caso di specie era stato stimato circa 10 milioni di euro).

La sentenza citata richiama una precedente pronuncia della Suprema Corte del 9 dicembre 1993 n. 12142 che aveva precisato che “usi e costumi propri di una determinata occasione sono da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti esistenti tra le parti e della loro posizione sociale ribadendo che l’entità dell’attribuzione va commisurata alla condizione socioeconomica delle parti, relativamente ad arredi e opere dell’artista Umberto Milani, elargite in occasione delle nozze dalla suocera e dalla stessa rivendicate alla cessazione del matrimonio.

Nel caso della donazione (articolo 769 Codice Civile), la forma richiesta per la validità non potrà invece che essere quella dell’atto pubblico, con la presenza di due testimoni, pena la nullità della donazione stessa. Ne deriva quindi l’obbligazione restitutoria, in caso di nullità, che sorge in capo al donatario e in favore del donante. Nella sentenza in esame, la Corte ha stabilito che l’opera di Picasso data in dono al fine di dirimere una lite, e non in occasione di ricorrenze che avessero una certa rilevanza sociale, costituisce una donazione in senso stretto con “apprezzabile depauperamento del patrimonio del donante”. Essa è stata quindi ritenuta nulla per mancanza del rispetto della forma pubblica, con il conseguente obbligo restitutorio della donataria che aveva ricevuto il quadro.

Sorvolando obtorto collo sul fatto che un’opera del massimo esponente della secessione viennese sia stata considerata dalla Cassazione un’icona della festa degli innamorati e parificata ad un tubo di baci di cioccolato per milionari, non si può, però, non opinare sulla valenza probatoria che gli Ermellini vogliono attribuire in via ermeneutica al soggetto di un dipinto e soprattutto esimersi dal rimarcare che i confini tra le due fattispecie paiono decisamente troppo sfumati se non addirittura evanescenti per garantire la giusta certezza del diritto.

Va, inoltre, sottolineato che dalla lettura della sentenza non sembra emergere in capo al disponente “quella volontà di adeguarsi ad una usanza sociale, motore della spinta volitiva, che rappresenta elemento esterno al disponente, pur tuttavia, talmente forte da condizionarne l’azione[9], ma esclusivamente una verifica della concomitanza tra la traditio e una ricorrenza, che è consuetudine accompagnare ad un dono, magari non di tale entità.

Non trova, invece, risalto, come dovrebbe, il fatto che “la naturale destinazione, la naturale forma di godimento dello specifico bene in questione (opera d’arte) è quindi quella della personale fruizione estetica[10], a differenza per esempio di un gioiello, e il fatto che un tale godimento venga mantenuto dal disponente anche nel caso in cui un dipinto o una scultura siano “attribuiti” alla moglie o alla compagna, in ragione dell’ovvia coabitazione, circostanza che, molto più plausibilmente, potrebbe essere l’unica spinta volitiva che porta al compimento di una tale azione che ha un tale impatto depauperante sulla sfera patrimoniale poiché l’opera di fatto diventa un “bene di famiglia” o di casa.

E questa ci sembra essere anche l’interpretazione più corretta alla lettura della frase di Frascara in cui egli si preoccupava, innanzitutto, di disporre – con il suo messaggio “dì a Stella di rimettere il Klimt al 5° piano” – che il dipinto fosse messo in casa ed esattamente dove lui desiderava.

L’altro moto dell’anima che funge da driver per l’acquisto di un’opera d’arte è la bramosia di palesare lo status[11] che il suo possesso conferisce, per cui il prezzo e il valore diventano dettagli marginali[12], e non vi è dubbio che tale prestigio possa essere raggiunto anche tramite l’apparente beau geste di un importante cadeau natalizio alla moglie che campeggia, però, “al sicuro” nel salotto della comune abitazione.

Valgono, poi, anche per questo caso, inoltre, tutte le critiche più generali alla fattispecie, derivanti dal fatto che i regali d’uso, nati per non avere un impatto depauperante sul patrimonio, siano esclusi dalla collazione (articolo 742, III comma) e dalla revocatoria fallimentare (articolo 64 L.F.).

Con la sola traditio e in mancanza di prova attestante la liberalità d’uso di cui al comma 2 dell’articolo 770 Codice Civile, secondo la giurisprudenza, invece, gli oggetti d’arte di cui si dimostri la proprietà esclusiva debbono, invece, essere restituiti.

Questo è il principio espresso dalla sezione II della Cassazione Civile con sentenza n. 2463 del 30 dicembre 2013 che, nel dirimere un’altra lite insorta per la “roba[13], al termine di una relazione ha condannato la donna alla restituzione di oggetti da collezione (si trattava di ceramiche, maioliche, tappeti) che il convivente aveva dimostrato di aver acquistato nelle note case d’asta Sotheby’s e Franco Semenzato in quanto di sua esclusiva proprietà, ritenendo “la documentazione prodotta idonea a dimostrare il titolo d’acquisto di tali beni”.

Tale postulato, riteniamo debba essere valevole anche nel caso in cui sorga controversia in ordine ad oggetti d’arte di proprietà esclusiva nell’ambito di controversie famigliari in cui sia stata disposta l’assegnazione della casa familiare ai sensi dell’articolo 337 sexies Codice Civile.

Oltre alle dediche, ai testamenti e alle fatture d’acquisto, la proprietà potrà anche essere presunta dai contratti di assicurazione, che come nel caso della Collezione Tanzi hanno portato alla reiezione[14] delle doglianze della moglie Anita Chiesi che rivendicava la proprietà di molte delle opere d’arte tra cui le meravigliose Donna con cane, di Vittorio Matteo Corcos e Finestra di Dusseldorf di Giacomo Balla, vendute come commissionario dalla casa d’aste Pandolfini il 28 ottobre del 2019[15].

In proposito, nonostante la Corte di Cassazione Civile con sentenza del 9 dicembre 1983, n. 7303 abbia precisato che : “Nel giudizio di separazione, l’assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi … ricomprende, per la necessaria tutela della prole minore, non il solo immobile, ma anche i mobili, gli arredi, gli elettrodomestici ed i servizi, con l’eccezione dei beni strettamente personali che soddisfano esigenze peculiari del coniuge privato del godimento della casa familiare, deve farsi distinzione tra beni a destinazione rigida (quali quelli che arredano la casa familiare) e altri mobili (come gli oggetti preziosi e gli accessori voluttuari dell’arredamento (o al marito)[16], tra cui rientrano certamente, le opere d’arte che non possono essere annoverate nel “complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l’esistenza domestica della comunità familiare” (Corte cost. 27 luglio 1989, n. 454).

Al di fuori delle relazioni sentimentali, invece, l’orientamento è granitico nel ritenere la necessità della forma solenne dell’atto pubblico a pena di nullità in quanto il dono d’arte si presume essere sempre di rilevante valore o entità.

Il caso più noto ha coinvolto il “Ritratto di Sorella” realizzato nel 1925 di Felice Casorati e rubato al maestro poco prima della morte, nella ”casetta bianca” di via Maestra a Pavarolo, la notte tra il 22 e il 23 gennaio 1963, che nella causa per rivendicazione della proprietà, il possessore asseriva essergli pervenuto per donazione da parte dei genitori.

Il Tribunale[17] ha precisato che la donazione “deve essere fatta per atto pubblico sotto pena di nullità, salvo che si tratti di donazione di modico valore[18] e che “sia onere del donatario che affermi la validità della donazione anche in assenza di atto pubblico provare che la liberalità possa ritenersi irrisoria rispetto alle condizioni economiche del donante.[19]

In quest’occasione è stato ribadito il principio espresso dal Tribunale di Palermo, nel caso del San Cristoforo di Joachin Patiner donato da un barone a un suo fiduciario, secondo cui la donazione di un’opera d’arte non è mai di modico valore e quindi deve essere fatta sempre con la forma solenne dell’atto pubblico e non con scrittura privata unilaterale, come del caso de quo. I giudici si espressero in questi termini: “La donazione di un quadro di rilevante valore economico e storico artistico configura una donazione necessitata dalla forma e non rileva la correlazione relativa all’effetto depauperante sul patrimonio del donante, che del caso può considerarsi capiente, bensì la particolare qualità del bene mobile, in relazione al compendio mobiliare ove è inserito[20]”.

Essendo il dipinto dell’autore fiammingo annoverato tra i beni soggetti alla disciplina di cui alla Legge 1 giugno 1939 n. 1089, come da nota della Soprintendenza del 22 luglio 1953 “la sua appartenenza ad una collezione artistica di eccezionale pregio fanno del dipinto in questione non già un bene dotato di un ingente valore economico ma anche di un bene dotato di un ingente valore storico artistico, la cui donazione ha indiscutibilmente inciso a prescindere sulle capacità del disponente, nel di lui patrimonio.

In senso conforme sono anche la sentenza del Tribunale di Bologna del 20.07.2011 che ha dichiarato la nullità della donazione di oltre settanta opere fatta dal maestro Aldo Borgonzoni affinché il donatario realizzasse una pubblicazione delle opere e una mostra perché “priva della forma pubblica prevista ex art 782 Codice Civile” respingendo anche la richiesta di rifusione delle spese sostenute (il costo della pubblicazione del catalogo e la mostra) trattandosi di costi sostenuti per valorizzare tale donazione ad esclusivo vantaggio del Museo di proprietà del donatario e quella più risalente del Tribunale di Roma[21] avente ad oggetto una collezione di 25 quadri e un autoveicolo di marca prestigiosa[22].

Non è, invece, stata ancora trattenuta in decisione la causa incardinata nel 2020 davanti al Tribunale di Pavia dal petroliere iraniano Hormoz Vasfi, contro la starlette Sara Croce che, durante la loro relazione, avrebbe ricevuto doni preziosi per un controvalore superiore al milione di euro, ed è stata citata per ottenere il risarcimento dei danni di quella che si configurerebbe come una truffa per “aver allacciato una relazione al solo fine di trarne un profitto economico, per sé e le sua famiglia.

Nell’attesa, vista l’imminenza della ricorrenza di San Valentino, si potrebbe optare per dei fiori, ma ci permettiamo di suggerire, non di Giorgio Morandi.

 

[1] M. Wilson Edward, Art Law and the Business of Art, Elgar Publishing, 2019

[2] https://news.artnet.com/art-world/soros-divorce-christopher-wool-667502

[3]https://www.artribune.com/dal-mondo/2017/08/abramovich-divorzia-dalla-gallerista-dasha-zhukova-quale-futuro-per-garage-e-collezione/

[4] https://www.artribune.com/dal-mondo/2018/08/mega-divorzio-tra-il-collezionista-di-andy-warhol-david-mugrabi-e-la-moglie-chi-si-terra-le-opere/

[5] https://www.artsy.net/news/artsy-editorial-divorce-ruling-will-force-couple-sell-700-million-art-collection.

[6] Macklowe v Macklowe, 2018 NY Slip Op 51834(U).

[7] P. Baroni, La donna che ha vinto la "guerra dei Roses” http://www1.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/spettacoli/200901articoli/40363girata.asp

[8] Una dedica sul retro di un’opera ha salvato le pretese di Anita Chiesi, moglie di Callisto Tanzi dal sequestro penale di un’opera di Goliardo Padova. Cass. Pen., sez I, 21 febbraio 2012 n. 6821.

[9] A. Ambanelli Doni di opere d’arte tra conviventi e pretese restitutorie al termine della relazione in Famiglia e Diritto, 2017, 5, 424 (nota a sentenza)

[10] C. E. Mezzetti, G. Gatti, Il revisionismo colpisce anche l’opera d’arte in questa rivista al link

https://www.filodiritto.com/il-revisionismo-colpisce-anche-lusucapione-dellopera-darte

[11] Si vedano in proposito M. Meneguzzo, Breve storia della globalizzazione in arte (e delle sue conseguenze) 2012, Johan &Levi Editore; D. Thompson, Lo squalo da 12 milioni di dollari, 2008, Arum Press Ltd

[12] È considerato non “chic” e fa parte di un ethos più ampio all’interno del mercato dell’arte che le preoccupazioni monetarie sono volgari o impure e non dovrebbero contaminare le preoccupazioni artistiche o estetiche “pure”[12] e che” la bramosia di uno status che il loro possesso conferisce, per cui il prezzo e il valore diventano dettagli marginali”. Così si esprime Olav Velthuis nell’intervista Art Dealers Are Notorious for Obscuring Prices. But as the Market Shifts Online, Many Are Finally Embracing Price Transparency (artnet.com)

[13] Ah! La mia roba? Voglio vederli! Dopo quarant'anni che ci ho messo a farla... un tarì dopo l'altro!... Piuttosto cavatemi fuori il fegato e tutto il resto in una volta, chè li ho fradici dai dispiaceri... A schioppettate! Voglio ammazzarne prima una dozzina! A chi ti vuol togliere la roba levagli la vita!” G. Verga, Mastro don Gesualdo.

[14] Cassazione Penale, sez II. n. 44660 del 21 dicembre 2010 e Cassazione Penale, sez II. n. 44659 del 21 dicembre 2010.

[15] R.G.E. N. 40/2016 + 106/2016 Tribunale di Parma.

[16] P. Cendon, Comunione fra coniugi e alienazioni mobiliari, Padova, 1989., p. 300 ss.

[17] Tribunale di Torino, II Sez. civ., 27/03/2013.

[18] La sentenza è stata confermata dalla Corte d’Appello di Torino. Cfr. l'articolo di Marilena Pirrelli "Ritratto sorella" di Casorati: gli eredi vincono l'appello, in Plus24 - Il Sole 24 Ore, del 31 ottobre 2015.

[19] Si vedano Cass. Civ. 5409/2009 e 16348/2008.

[20] Tribunale di Palermo, II Sez. Civ. 27 agosto 2007 con nota di Palazzolo in Vita Notarile n. 2 Maggio-Agosto 2008.

[21] Tribunale di Roma, sez XIII, 24 marzo 2004.

[22] Per completezza si segnala che nulla per difetto di forma è stata ritenuta anche la cessione a titolo gratuito dei diritti d’autore di opere d’arte di Renato Guttuso con scrittura privata dallo stesso a Marta Marzotto. Cass. Civ., sez. I, 16 aprile 2002 n. 5461.