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Rilevanza economica dei servizi culturali quali servizi pubblici locali

Servizi culturali
Servizi culturali

La fondazione cosiddetta “di partecipazione” costituisce il modello oggidì maggiormente efficace per la gestione dei servizi pubblici di natura culturale. In dottrina non è mancato chi ha tentato di rivendicare la fondazione culturale, dedita alla gestione e alla tutela dei beni culturali, quale modello a sé stante[1].

Chi scrive ritiene tuttavia che la fondazione culturale sia una species del genus della fondazione di partecipazione.

Trattasi, in particolare, di un istituto “avente patrimonio a struttura aperta, a formazione progressiva, nel quale l’elemento personale e quello più propriamente patrimoniale confluiscono dando vita ad un unicum operativo che si caratterizza (o può caratterizzarsi) anche per la larga base associativa su cui può poggiare ed a cui si lega”[2].

La fondazione di partecipazione si configura quale modello evolutivo di quello della fondazione “ordinaria”, laddove coesistono profili privatistici e pubblicistici, atto a travalicare alcuni ostacoli connessi proprio all’archetipo classico[3].

Invero, essa tipologia di fondazione non può considerarsi “atipica”, essendo ben contemplabile come una “delle possibili tipologie di fondazione”[4].

La prima riflessione da cui muovere concerne l’inquadramento dogmatico dei servizi culturali nell’ambito dei servizi pubblici locali.

In particolare è da capire se i servizi pubblici locali di tipo culturale possano essere qualificati a rilevanza economica o meno.

Preliminarmente va osservato che la distinzione fra servizi di natura economica e servizi privi di rilevanza economica, specialmente con riguardo ai servizi culturali, si presta ad interpretazione variabile, essendo la definizione delle relative categorie caratterizzata da spiccato dinamismo e diuturno evoluzionismo[5]. Finanche nel Libro Verde sui servizi di interesse generale della Commissione Europea del 21 maggio 2003 è stata affermata la tendenziale inquadrabilità dei servizi culturali quali servizi non economici, salva tuttavia l’impossibilità di una compiuta distinzione[6].

La dottrina amministrativistica ha provato, nel corso degli ultimi anni, a ricercare il discrimen nell’idoneità ad assoggettarsi a gestioni di guisa imprenditoriale e nella conseguente duplice capacità di generazione di introiti e creazione di posti di lavoro. La maggior parte degli studiosi ha assunto una posizione incline alla lucratività della gestione[7], ma non sono mancati accenti contrari[8].

L’allocazione classificatoria dei servizi de quibus non è scevra da effetti in quanto da essa dipende l’applicazione di differenti discipline giuridiche.

Difatti: ove gli enti territoriali prediligessero un modello gestorio informato alla qualificazione di servizi di rilevanza economica, troverebbero applicazione le disposizioni del T.U.E.L. (D. Lgs. 267/2000); diversamente, cioè qualora gli enti in questione optassero per la gestione ispirata alla classificazione di servizi privi di rilevanza economica, si applicherebbe il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 42/2004).

Ciò alla luce dell’intervenuta espunzione dall’ordinamento giuridico, per effetto della sentenza n. 272/2004 della Corte Costituzionale, dell’articolo 113 bis del T.U.E.L., rubricato “Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica”, secondo cui gli enti territoriali potevano procedere all’affidamento diretto dei servizi culturali e del tempo libero anche ad associazioni o fondazioni da loro costituite ovvero partecipate. In particolare, la Consulta ha ritenuto sussistente la violazione del disposto dell’articolo 117 della Costituzione laddove la disciplina di tutti i servizi pubblici locali è stata acclarata come non riconducibile ad alcuna delle materie di competenza legislativa dello Stato.

Pervero, ribadiscesi, i paradigmi adottati non sarebbero rigidamente mantenuti nel tempo stante la considerazione della mutevolezza legata alle continue variazioni del contesto socio-economico-territoriale di riferimento[9].

Non tale ragionamento, però, vale – ad avviso di chi scrive – a rassicurare in ragione della ritenuta (ma non creduta) configurazione di un falso problema da parte di taluni Autori[10].

Sullo sfondo si è anche registrata una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 22 maggio 2003[11], a cui mente i servizi culturali sarebbero privi di rilevanza economica perché contraddistinti dall’assenza di scopi precipuamente lucrativi, dalla mancata assunzione di rischi connessi all’attività gestoria e dalla finanziabilità pubblica di essa.

Bisogna però oggidì ragionare rispetto al quadro disegnato dalla menzionata sentenza n. 272/2004 della Corte Costituzionale, per effetto della quale da un lato è venuto meno l’estremo referente normativo onde considerare privi di rilevanza economica i servizi culturali ma dall’altro non è rimasta nel T.U.E.L. alcuna regola giuridica su di essi.

Raffinata dottrina[12] ha allora ritenuto come la scure della Consulta abbia falcidiato esclusivamente il principio, di cui al disposto dell’articolo 113 bis del T.U.E.L., di tipicità delle strutture utilizzabili dagli enti territoriali per gestire i servizi culturali.

Ordunque attualmente gli enti territoriali possono scegliere liberamente l’ente cui affidare i servizi culturali purché preveduto dall’ordinamento giuridico.

Laddove, però, proprio in virtù delle considerazioni che precedono, la fondazione cosiddetta “di partecipazione” costituisce il modello oggidì maggiormente efficace.

 

[1] T. PONTELLO, Partenariato pubblico-privato istituzionalizzato: le fondazioni per la gestione di beni e servizi culturali e le società di capitali ad oggetto culturale, in n M. CHITI (a cura di), Il partenariato pubblico-privato. Concessioni, finanza di progetto, Società miste, Fondazioni, Napoli, 2009, p. 317 e ss.

[2] E. BELLEZZA – F. FLORIAN, Le Fondazioni del terzo millennio. Pubblico e privato per il non profit, Firenze, 1998, p. 40.

[3] F. SUCCI, Profili operativi e gestionali della fondazione di partecipazione quale istituto idoneo alla gestione dei servizi culturali alla luce della vigente situazione socio-economica, in Notariato, 2014, 6, p. 627.

[4] M. MALTONI, La fondazione di partecipazione: natura giuridica e legittimità, in Fondazione italiana del notariato. Rivista on line, al sito http://elibrary.fondazionenotariato.it/approfondimento.asp?app=06/bibliografia/bibliografia &mn=3&tipo=4&qn=1. Dello stesso avviso R. DE ROSA, Tipicità delle persone giuridiche e fondazioni di partecipazione, in Studi in memoria di Bruno Carboni, Napoli, 2010, p. 353 e ss., che afferma la possibilità di “escludere che la fondazione di partecipazione costituisca un nuovo ente personificato, cioè una di quelle altre istituzioni di carattere privato che l’art. 12 c.c (ora art. 1, d.P.R. n. 361/2000) sembra consentire”, stante il fatto che “il carattere partecipativo, introducendo nel tipo- fondazione un aspetto personalistico accanto a quello patrimoniale, renderebbe la fondazione di partecipazione simile a un’associazione, ma non ne farebbe un ente innominato”.

[5] A. SERRA, Gestione dei servizi, parte II, in AEDON (Rivista di arti e diritto on line), n. 2/2006.

[6] W. GIULIETTI, Servizi a rilevanza economica e servizi privi di rilevanza economica, in S. MANGIAMELI (a cura di), I servizi pubblici locali, Torino, 2006, pp. 83-106.

[7] A. L. TARASCO, La redditività del patrimonio culturale. Efficacia aziendale e promozione culturale, Torino, 2006, p. 21 e ss.; R. DIPACE, Partenariato pubblico privato e contratti atipici, Milano, 2006, p. 20.

[8] A. CAROSELLI, La gestione dei servizi culturali locali, in Giorn. Dir. Amm., n. 5/2005, p. 568. Secondo l’Autrice le attività e i servizi culturali per “loro natura” difficilmente si prestano ad uno “sfruttamento” di carattere commerciale.

[9] M. DUGATO, Le società per la gestione dei servizi pubblici locali, Milano, 2001, p. 55 e ss.

[10] G. PIPERATA, I servizi culturali nel nuovo ordinamento dei servizi degli enti locali, in AEDON (Rivista di arti e diritto on line), n. 3/2003

[11] RIGUARDARLA

[12] A. CAROSELLI, op. cit., p. 572