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Risoluzione e recesso del contratto preliminare

Effetti sulla caparra confirmatoria e sul risarcimento del danno.
Contratto preliminare
Contratto preliminare

Nel decennio scorso è stata sensibilmente modificata la giurisprudenza in merito alle conseguenze correlate alla risoluzione del contratto preliminare o al recesso dallo stesso, con particolare riferimento al diritto di trattenere la caparra confirmatoria versata, o richiederne la restituzione nella misura del doppio, come notoriamente dispone l’articolo 1385 codice civile e in relazione, altresì, al diritto di reclamare il risarcimento del danno patito.

 

1. Caparra confirmatoria

Come sappiamo, infatti, a mente di tale norma, “se al momento della conclusione del contratto una parte dà all'altra, a titolo di caparra, una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta”, in particolare, “se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l'altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra; se inadempiente è invece la parte che l'ha ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il doppio della caparra.”

Tuttavia, dispone l’ultimo comma del ridetto articolo “se però la parte che non è inadempiente preferisce domandare l'esecuzione o la risoluzione del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali.”

La caparra confirmatoria viene definita, infatti, dalla giurisprudenza quale liquidazione convenzionale anticipata del danno da inadempimento. Si tratta di uno strumento che ha la funzione di evitare il contenzioso conseguente ad un eventuale inadempimento contrattuale, consentendo di accertare (liquidare) contrattualmente (in via convenzionale) ed anticipatamente (rispetto all’eventuale evento dannoso) l’ammontare del risarcimento del danno da inadempimento.

Tuttavia l’ipotesi nella quale si versa in caso di previsione di caparra confirmatoria è quella del recesso contrattuale, da tenere distinta da quella della risoluzione.

 

2. Risoluzione e recesso

Per quanto agli addetti ai lavori tale distinzione risulterà ben nota, appare opportuno chiarire la sostanziale differenza tra la risoluzione e il recesso contrattuale.

Da un lato, la risoluzione del contratto è il rimedio ordinario che la legge prevede in caso di inadempimento di uno dei contraenti, ai sensi dell’articolo 1453 codice civile, nei contratti a prestazioni corrispettive, alla quale può fare seguito la domanda di risarcimento del danno patito in conseguenza del detto inadempimento.

Dall’altro lato, invece, il recesso costituisce un rimedio che viene previsto espressamente e contrattualmente dalle Parti, o in alcuni casi dalla legge stessa (ex articolo 1373 codice civile), per porre termine ad un contratto, di norma prima che ne sia iniziata l’esecuzione.

Ai sensi dell’articolo 1385 codice civile, dunque, è in esito al recesso di una parte che sorge il diritto alla ritenzione della caparra confirmatoria. Il tema giurisprudenziale che ha visto una copernicana rivoluzione in questo ultimo decennio riguarda, appunto, la possibilità di agire in giudizio in forma concorrente od alternativa sia per la risoluzione del contratto, e dunque chiedere l’accertamento e la condanna ad un risarcimento per il danno da inadempimento, sia per l’accertamento del diritto di recesso, e del conseguente diritto alla ritenzione della caparra confirmatoria, o alla sua restituzione nella misura del doppio.

 

3. Azione di risoluzione e di recesso

La pietra miliare con la quale il Supremo Collegio ha esercitata la propria facoltà nomofilattica, uniformatrice dell’interpretazione normativa, è costituita dalla Sentenza n. 553 pronunciata a Sezioni Unite il 14.1.2009, con la quale si introduce un principio di diritto che ha subìto ben pochi scostamenti sino ad oggi.

Essa prevede che “in tema di contratti cui acceda la consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione (giudiziale o di diritto) ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella volta ad ottenere la declaratoria dell'intervenuto recesso con ritenzione della caparra (o pagamento del doppio), avuto riguardo -oltre che alla disomogeneità esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso ed all'irrinunciabilità dell'effetto conseguente alla risoluzione di diritto- all'incompatibilità strutturale e funzionale tra la ritenzione della caparra e la domanda di risarcimento: la funzione della caparra, consistendo in una liquidazione anticipata e convenzionale del danno volta ad evitare l'instaurazione di un giudizio contenzioso, risulterebbe infatti frustrata se alla parte che abbia preferito affrontare gli oneri connessi all'azione risarcitoria per ottenere un ristoro patrimoniale più cospicuo fosse consentito -in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, che vieta qualsiasi forma di abuso processuale- di modificare la propria strategia difensiva, quando i risultati non corrispondano alle sue aspettative.

La Suprema Corte, pertanto, afferma che le due domande, quella di risarcimento del danno per intervenuta risoluzione e quella di ritenzione (o pagamento del doppio) della caparra per intervenuto recesso contrattuale sono tra loro incompatibili, in ragione - non solo della disomogeneità processuale tra loro delle due domande ma, specialmente – della “incompatibilità strutturale e funzionale” tra i due rimedi. Poiché la caparra, come si è visto, ha la funzione di liquidare anticipatamente ed in via convenzionale l’eventuale danno, ritenere la stessa e, contemporaneamente o, in ogni caso, in corso di causa, mutare strategia e chiedere il risarcimento del danno, ne frustra irrimediabilmente la natura.

Tale principio ha rilievo applicativo, specialmente nell’ambito del contenzioso relativo ai contratti preliminari, non ultimi quelli aventi ad oggetto la compravendita immobiliare, nei quali è usualmente prevista la caparra confirmatoria.

Calzante al suindicato principio di diritto, tra le ultime, appare la recente Ordinanza n. 21971 del 12.10.2020, relativa ad un contenzioso instaurato, nell’anno 2007, e dunque anteriormente alla pronuncia a Sezioni Unite (del 14.1.2009) da un promittente la vendita di un immobile da convertirsi in rimesse e posti auto, avendone previamente ottenuti i debiti permessi amministrativi. Il mancato avveramento di tale circostanza, asseritamente per colpa del promissario acquirente, conduceva il promittente venditore a citare in giudizio la controparte, ritenuta inadempiente. A tal fine, esso introduceva domanda di risoluzione del contratto con richiesta di condanna al risarcimento del danno, mentre il promissario acquirente richiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo per la restituzione della caparra.

L’opposizione spiegata dal promittente venditore veniva riunita con la causa già introdotta e tuttavia veniva rigettata, ritenendo il Tribunale, che correttamente applicava il principio di diritto (intervenuto tuttavia successivamente all’introduzione dei giudizi), statuito dalla Suprema Corte, la quale conseguentemente lo ribadiva anche nella sua ultima e recente pronuncia, confermando come la mancata proposizione della domanda di recesso impediva di riconoscere al promittente venditore il diritto alla ritenzione della caparra e che tale domanda era divenuta non più proponibile una volta avanzata la domanda di risoluzione del contratto e di accertamento del danno da inadempimento.