Sviluppo
In ambito manageriale la parola sviluppo può avere sfumature di significato diverse in funzione del dominio di impiego. A livello molto macro si parla di sviluppo del business o di sviluppo delle persone. Nella prima accezione la varianza di ambiti applicativi è amplissima: sviluppo di un prodotto/servizio, sviluppo del mercato, sviluppo del cliente, sviluppo del fatturato … aggiungete voi ciò che più esprime il vostro contesto. Nella seconda accezione il tema è quello della crescita della persona, in genere orientata alle funzionalità del business. Talvolta questo viene coniugato in sviluppo manageriale quando l’aspettativa di risultato della azione correlata è quella di introdurre o aumentare competenze di gestione in un gruppo di persone o di una singola.
Il significato proprio del termine esprime aumento, crescita, miglioramento. Con valore quantitativo o in termini di intensità di qualità. Applicato ai due macro-domini indicati, sembra esserci una maggiore prevalenza quantitativa nel primo e sembra auspicabile una maggiore prevalenza qualitativa nel secondo. Infatti, se in logica macro-economica l’aspetto quantitativo attrae particolarmente (ad esempio nel caso si realizzino maggiori posti di lavoro), nella logica manageriale delle imprese e delle istituzioni dovrebbe interessare particolarmente l’elemento qualitativo, a rappresentare una crescita in ciò che si sa e si potrebbe fare e nel come lo si farebbe, a parità di quantità. Una simile concezione darebbe il senso della capacità, in chi ha la responsabilità di sviluppare le persone, di sapere progettare e realizzare obiettivi, azioni e valutazioni di sviluppo.
Purtroppo, ciò non appare sempre chiaro ed anzi, i recenti segnali di disaffezione da parte dei collaboratori che abbandonano l’azienda perché anche “esasperati” dai comportamenti dei capi (manager di fatto, se non di designazione contrattuale) paiono mostrare che la capacità di impostare e fare sviluppo stia venendo sempre meno rispetto anche solo a una decina di anni fa. Fare sviluppo di una persona non significa impostare piani particolarmente sofisticati di addestramento, formazione, carriera (ma si fanno ancora i sentieri di?), ma anzitutto comporta la capacità quotidiana di dimostrare attenzione verso il collaboratore, nelle piccole come nelle grandi decisioni ed azioni.
Aziende e istituzioni sono alla ricerca di leader (ma non lo sono i manager, tanto per cominciare?); per ridurre l’ansia da capo organizzano corsi di resilienza per il personale (resilienza nei confronti dei capi?); chiedono di lavorare in team (l’unione fa la forza e sarete ancora più resilienti?) … poco fanno per capire chi è veramente capace di sviluppare le persone e chi semplicemente le “dirige”.
Forse si è ancora compreso poco (temo lo si sia dimenticato) che, per entrare in un nuovo mercato, aumentare il portafoglio clienti, immaginare e realizzare un nuovo prodotto o servire un cittadino o uno studente, se si hanno persone competenti e motivate (ops, sviluppate) si fa meno fatica, si ottengono maggiori risultati e si fa anche bella figura.
Il problema è che chi deve scegliere e decidere chi può essere manager/sviluppatore è anche spesso colui che dovrebbe sviluppare.
Probabilmente avremmo bisogno di più leader imperfezionisti (https://www.filodiritto.com/il-leader-imperfezionista) , rigorosi verso la ricerca dei risultati ed al contempo dotati di senso di servizio verso i collaboratori!