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Tu chiamale se vuoi emozioni: la tristezza

Instambul
Ph. Simona Balestra / Instambul

“Tu sei triste. E questo dimostra che la tua anima è ancora viva.”

Paulo Coelho

 

Durante le piacevoli e troppo corte vacanze mi sono riavvicinata, grazie al bel libro di Erica Francesca PoliLe emozioni che curano” e al delicato e profondo film “Inside Out” a un tema a me caro, le emozioni.

Le emozioni non sono “giuste” o “sbagliate”, sono il modo con cui leggiamo il mondo.

Troppo spesso ci hanno detto di non piangere, non ridere, non esprimere rabbia, di far finta che una cosa disgustosa ci piaccia perché “non sta bene” esprimere ciò che proviamo. Ma tutto questo ha effetti devastanti su di noi, se non esprimiamo i nostri vissuti, se non diamo voce alla tristezza, alla paura, alla gioia, alla rabbia, al disgusto rischiamo di vedere aumentare il nostro stato di malessere.

Mi piace condividere con voi alcune riflessioni sulle nostre emozioni, ne approfondiremo ogni mese una diversa.

Per cui dedichiamoci ad esplorare con curiosità e affetto le nostre emozioni.

Iniziamo, se mi concedete, con la tristezza (siamo tutti un po’ tristi al rientro per aver perso la libertà e la piacevolezza del tempo libero, come ci ricorda Barbara Neri, Link).

Siamo tristi quando perdiamo qualcosa di importante: una persona, un luogo, un lavoro, un’immagine di sé, un ricordo, una relazione.

La tristezza ci serve a ottenere protezione e accudimento: rallentiamo il nostro fare per risparmiare le energie, se abbiamo coraggio chiediamo aiuto. La tristezza vive dei ricordi, vive nel passato, è un’emozione “sociale”. In fondo ci permette di sviluppare e far sviluppare a chi ci sta intorno empatia, bisogno di consolazione, stimola l’aiuto reciproco, attiva una riflessione su noi stessi e una messa in discussione per superare le situazioni problematiche. Quando ad esempio ci licenziano perdiamo il lavoro, ma non perdiamo le nostre competenze. Se ci lascia la persona amata, perdiamo una relazione ma non la capacità di amare. Se ce lo ricordiamo, il processo di rielaborazione sarà più lieve.

Proviamo ora a vivere la nostra tristezza: immaginiamo una situazione di perdita, mancanza, vuoto, separazione, distacco. Sediamoci comodi e stiamoci dentro, riviviamola, sentiamo il calo di energie, le lacrime, la spossatezza; “mi calo nel sentire senza fuggire”. Sentiremo il dolore vivere e guidarci, le lacrime che drenano i pensieri ci lasciamo poi più leggeri.

Ora interroghiamo la nostra tristezza:

  • Dimmi quello che mi vuoi dire cara tristezza?
  • Che cosa sto perdendo di me?
  • Che cosa voglio perdere?
  • Che cosa devo lasciare?
  • Come cambierò dopo questa esperienza?
  • Che cosa avrò imparato?
  • Che cosa sto scoprendo di nuovo di me?

Perdendoci ci si ritrova.

Buon viaggio nella “tristezza” a tutti.