Umano e disumano
Umano e disumano
In un periodo storico in cui risulta preponderante il dibattito sull’intelligenza artificiale, sull’etica degli algoritmi e sui dettagli delle norme invocate per regolamentare l’utilizzo di tali risorse nei diversi ambiti lavorativi, sociali e personali, non si può non riflettere anche su quali siano i motivi che rendono tali strumenti così affascinanti, avvertiti come straordinariamente forieri di opportunità e – al contempo – di rischi.
Un elemento sicuramente caratterizzante è il venir meno della “componente umana” nell’assunzione di decisioni, nello svolgimento di analisi, nel conseguimento dei risultati, nel processo creativo di testi, immagini, etc., che l’utilizzo di tali strumenti comporta, in favore di processi decisionali totalmente automatizzati (facendo riferimento all’art. 22 del GDPR) o, comunque, non dipendenti dalla volontà, dalla competenza e dal controllo umano, ma rimessi all’oggettività (relativa) degli algoritmi, di cui – evidentemente - non ci fidiamo del tutto, proprio perché privi di quel quid, per alcuni identificabile con la morale o il libero arbitrio, diverso sia dal mero istinto sia dalla semplice conoscenza, che solo il genere umano possiede.
Sarebbe, altresì, interessante, chiederci cosa ci spinge a presupporre che l’apporto di una o più persone nei processi prima citati costituisca - almeno nella percezione intuitiva - la garanzia di un risultato corretto, migliore e, in definitiva, preferibile a quello dei sistemi di intelligenza artificiale proprio perchè più “umano”.
Alcuni accadimenti, tuttavia, risultano del tutto stridenti con tale visione fideisticamente positiva del “fattore umano”.
Basti pensare ad alcune recenti notizie di cronaca che hanno maggiormente colpito l’opinione pubblica, non già ascrivibili alla responsabilità di singoli individui che commettono degli atti illeciti o abnormi, ma a fatti e circostanze che costituiscono il frutto di processi decisionali esclusivamente ascrivibili all’applicazione di norme, provvedimenti e procedure amministrative, che sono approvati, codificati, decisi e governati da persone.
In particolare, si fa riferimento – nell’ordine - alle modalità di traduzione in un’aula di giustizia ungherese (Paese UE) della connazionale Ilaria Salis, della detenzione di un neonato di un mese insieme alla madre nel carcere di Torino (Italia) e alla pena di morte inflitta mediante soffocamento con l’azoto a un condannato (dopo un primo tentativo al quale il condannato era sopravvissuto) in Alabama (USA).
Tuttavia, proprio per rendere il più possibile oggettiva la valutazione in termini di “umanità” di tali accadimenti (rectius, meno influenzata dalle convinzioni soggettive personali di chi scrive, oltre che dall’analisi degli elementi giuridici rilevanti), può essere interessante scoprire cosa risponde proprio ChatGPT – il sistema di intelligenza artificiale attualmente più noto - alle domande relative al giudizio su alcuni comportamenti esclusivamente imputabili a soggetti umani.
Di seguito si condividono le domande e le risposte fornite.
Domanda:
Tenere una persona legata e in catene può essere considerato un trattamento "umano"?
Risposta di ChatGPT:
Il concetto di trattamento "umano" è ampiamente influenzato da valori culturali, etici e legali, ed è importante considerare il contesto specifico. In generale, la detenzione di una persona legata e in catene è spesso considerata come una forma di trattamento inumano e degradante. Questo tipo di pratica è generalmente vietato da convenzioni internazionali sui diritti umani, come la Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti.
Domanda:
Tenere un bambino in carcere con la madre può essere considerato un trattamento "umano"?
La detenzione di un bambino insieme alla madre è una questione complessa e dibattuta, soprattutto in relazione ai diritti umani e al trattamento umano. Le organizzazioni internazionali e i difensori dei diritti umani spesso considerano questa pratica problematica e potenzialmente dannosa per lo sviluppo del bambino.
La Convenzione sui Diritti del Bambino sottolinea il principio del superiore interesse del bambino, affermando che le decisioni e le azioni che riguardano i bambini dovrebbero essere prese con il loro benessere come priorità principale. Detenere un bambino in carcere può avere conseguenze negative sulla sua salute mentale e psicologica, oltre a potenzialmente violare i suoi diritti fondamentali.
Domanda:
Uccidere una persona per punirla di un reato può essere considerato un trattamento "umano"?
Risposta di ChatGPT:
Molti organismi internazionali per i diritti umani considerano la pena di morte come una violazione del diritto alla vita e del divieto di trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti. Alcuni sostengono che uccidere una persona per punirla non sia una risposta umana o giustificata, poiché l'obiettivo della giustizia dovrebbe essere il recupero, la rieducazione o la protezione della società, piuttosto che la rappresaglia.
D'altra parte, ci sono coloro che sostengono la pena di morte come un mezzo di giustizia retributiva, ritenendo che certi crimini gravi richiedano una risposta proporzionata e che la pena di morte possa servire come deterrente.
La questione è complessa e le opinioni possono variare a seconda delle prospettive culturali, sociali e filosofiche. È importante notare che molti paesi hanno abbandonato la pena di morte o limitato la sua applicazione, riflettendo un cambiamento nelle opinioni pubbliche e nelle norme internazionali sui diritti umani.
Se, dunque, paradossalmente, anche un sistema di intelligenza artificiale riesce a identificare come abnormi e disumani alcuni trattamenti derivanti da decisioni esclusivamente ascrivibili all’applicazione di norme, provvedimenti e procedure che sono regolamentati, assunti e controllati da persone è davvero la mancanza di umanità degli algoritmi che deve farci più paura?