x

x

Un trust cieco che ci vede benissimo

Ars curandi
Ph. Elena Franco / Ars curandi

Anteprima della Rivista "Truste, Impresa e Famiglia" in uscita a settembre!

 

L’art.16 bis delle Norme Organizzative Interne (N.O.I.C.) della Federazione italiana Gioco Calcio (FIGC) così recita:

1. Non sono ammesse partecipazioni o gestioni che determinino in capo al medesimo soggetto controlli diretti o indiretti in società appartenenti alla sfera professionistica. 

2. Ai fini di cui al comma 1, un soggetto ha una posizione di controllo di una società quando allo stesso, ai suoi parenti o affini entro il quarto grado sono riconducibili, anche indirettamente, la maggioranza dei voti di organi decisionali ovvero un’influenza dominante in ragione di partecipazioni particolarmente qualificate o di particolari vincoli contrattuali.

Il divieto di controllo diretto e indiretto in capo allo stesso soggetto di società risale al 2005 e “venne introdotto – secondo le parole dell’Avv. Massimo Rossetti, responsabile dell’area legale  Federsupporters – per impedire rapporti intersocietari, potenzialmente idonei a favorire operazioni non trasparenti rappresentate, in particolare, da sottostimati e/o sovrastimati scambi di beni, servizi e personale, alterativi di bilanci e volti ad evadere ed eludere obblighi tributari e previdenziali”, oltre che, vorrei aggiungere, al fine di evitare ancora meno trasparenti e più dirompenti intrecci di interessi direttamente riconducibili alla partecipazione di entrambe le squadre, entrambe riferibili alla stessa proprietà, al medesimo campionato.

Da un punto di vista tecnico, la mancata osservanza del divieto configura un illecito da cui deriva la (temporanea, in attesa di sentenza definitiva) sospensione dei contributi federali. Se poi l’illecito permane alla scadenza del termine per l’iscrizione, la sanzione che ne deriva è quella della mancata ammissione al campionato di competenza oltre alla definitiva perdita dei contributi federali.

Se si esamina la disposizione in oggetto, emerge che il dato qualificante è dato dalla nozione di controllo.

La nozione di controllo è stata elaborata con particolare riferimento all’ambito societario nella previsione dell’art. 2359 c.c.. Tale norma recita testualmente:

 

Società controllate e società collegate

1. Sono considerate società controllate:

1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;

3) le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

2. Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

3. Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

In ambito societario, possiamo parlare di diversi tipi di controllo:

controllo di diritto:  quando una società di capitali partecipa in altra società di capitali di cui possiede tante quote o azioni che gli garantiscano la maggioranza richiesta per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria (cinquanta per cento più uno del capitale di un’altra società (art. 2359, comma 1o, n. 1 c.c.).

controllo di  fatto, allorché una società , pur non disponendo di un numero di quote o azioni tale da garantirle la maggioranza matematicamente necessaria è in grado tuttavia di esercitare una influenza dominante su di essa e a determinare l’esito di tali deliberazioni (art. 2359, comma 1o, n. 2 c.c.).
controllo esterno, che consiste  nell’ l’influenza dominante che una società  esercita sulle deliberazioni di un’altra società in forza di particolari vincoli contrattuali e indipendentemente da ogni controllo azionario (art. 2539, comma 1o, n. 2 c.c.). Si tratta di una fattispecie che può ricondursi a un ventaglio di possibilità sulle quali non interessa in questa sede indagare.
controllo indiretto, che si attua attraverso l’interposizione di una terza società, fra controllante e controllata, che è controllata dalla prima e controlla a sua volta la seconda (art. 2359, comma 1, n. 3 c.c.). L’ipotesi è stata aggiunta con la riforma del 1974 (l. n. 216 del 1974) per impedire che il divieto di partecipazioni reciproche tra società controllante e società controllata venisse eluso mediante l’interposizione di una terza società.

La nozione di controllo che emerge dalle NOIC rientra genericamente nel quadro delineato ed è comunque molto ampia perché comprende sia le ipotesi in cui a un soggetto sia riconducibile la maggioranza dei voti di organi decisionali, sia quella in cui lo stesso eserciti un’influenza dominante indipendentemente dal modo in cui ciò avvenga.

Questo dunque, riassunto per sommi capi, è il quadro normativo al cui interno si situa la vicenda, ora risolta, e che ha interessato da qualche tempo gli addetti ai lavori, ma non solo loro, relativo alla vexata questio della proprietà delle squadre della Lazio e della Salernitana, riferibile in entrambi i casi al dott. Lotito, attraverso una serie di partecipazioni azionarie.

Le norme dunque vietano che il medesimo soggetto sia proprietario di due squadre, ma al tempo stesso il dott. Lotito appare poco orientato a cederne una delle due, atteso che, a quanto si riferisce, la cessione di una squadra, in questo momento, lo esporrebbe a una minusvalenza che l’interessato vorrebbe, comprensibilmente, evitare.

La soluzione formalmente più semplice potrebbe esser quella di cedere una società a un terzo col quale non incorrano quei rapporti indicati dall’art.16 delle NOIC, negoziando l’utile che potrebbe derivare dalla cessione laddove questa dovesse intervenire in un momento di mercato più propizio.

In questo caso però l’ostacolo sembra rappresentato, oltre che dalla mancanza di acquirenti al momento, dal fatto che la cessione non può essere perfezionata unicamente sulla carta, ma deve accompagnarsi al pagamento del prezzo, e a tutti quegli adempimenti necessari e conseguenti che renderebbero l’operazione particolarmente onerosa. Quand’anche fosse teoricamente possibile dubitiamo peraltro che questa soluzione incontrerebbe l’interesse della proprietà.

In ogni caso, soluzioni alternative rispetto alla vendita non sembrano esserci, al di fuori del trust.

Quanto al trust, abbiamo letto che il Presidente della FIGC, Gravina, avrebbe manifestato perplessità circa il suo impiego e, su altro piano, anche Marco Bellinazzo, autorevole giornalista del Il Sole 24 ore, in data 8 giugno, è autore di un intervento che non lascia adito a dubbi: “Doppia proprietà Lazio-Salernitana, perché il trust non può essere la soluzione”. Gli argomenti sui quali l’autore fonda la sua tesi sono sostanzialmente di due tipi. Il primo: la cessione di una delle due società a un trustee spoglierebbe solo formalmente il dott. Lotito della proprietà mentre gli effetti economici e sportivi ricadrebbero nella sua sfera personale e afferirebbero comunque alla sua sfera di influenza. Questo argomento è ripreso anche da Fanpage dove si legge che, qualora si vada in direzione del trust, questo “avrà mandato di vendere il club entro 6 mesi e sostanzialmente, in questo modo, la Salernitana sarebbe ancora formalmente di proprietà di Lotito fin quando, entro questa tempistica stabilita dalla Lega, non sarà venduta a terzi”. Il secondo argomento, dopo aver dato per scontata una durata del trust limitata a un anno, si interroga su quale sarebbe, in Lega, il comportamento dell’amministratore del trust.

Dissento, almeno in parte, da queste conclusioni per le ragioni che seguono. Il primo punto: il trust spoglierebbe solo formalmente l’originario intestatario della proprietà. È facile ribadire che se questo accade non siamo di fronte a un trust. Se infatti il disponente mantenesse il controllo dei beni conferiti saremmo in presenza di un trust sham, quindi di un trust non valido che non potrebbe produrre gli effetti tipici del trust in base ai quali il disponente perde la titolarità del bene a vantaggio di altro soggetto, che diviene proprietario, cui tiene dietro l’intangibilità del bene da parte dei creditori del disponente e del trustee. La perdita solo formale del bene farebbe mancare inoltre una delle tre certezze che sono richieste perché si abbia un trust, quella appunto di volerlo istituire (certezza dell’intenzione).

Questo essendo il quadro di riferimento, sembrerebbe che, a dispetto delle previsioni negative, la soluzione sia stata trovata in una sorta di blind trust, il trust cieco, schema negoziale in auge nei paesi anglosassoni, in particolare negli USA, che consente ai politici di quei paesi di superare il conflitto di interessi che potrebbe sorgere fra il ruolo politico rivestito e i loro interessi economici.

Nel blind trust il trustee gode di piena discrezionalità in ordine alla consistenza qualitativa dei beni in trust e parallelamente, né il disponente, né i beneficiari – che poi coincidono – possono o devono essere a conoscenza delle decisioni del trustee e degli effetti che queste riverberano sulla consistenza del fondo. Infatti è solo al termine della durata del trust che saranno note le risultanze dell’attività svolta dal trustee per il periodo in cui esso ha gestito i fondi durante il quale il trustee non può e non deve fornire alcun elemento circa i risultati della sua gestione.

Correndo il rischio di una risposta imprecisa derivante dalla mancanza della piena conoscenza dei dati, credo che si possa dire intanto che quello di cui si discute non è un blind trust, ma un trust tout court e che la disputa non riguarda tanto la presenza di un guardiano piuttosto che di due, ma attiene al rispetto di un principio essenziale dei trust che si esprime nella massima per cui donner et rétenir ne vaut. In altre parole sembrerebbe essere emersa la sostanziale diffidenza, da parte della Federazione, non tanto verso il trust, ma circa la soluzione in concreto proposta, in prima battuta, perché le censure della Federazione, a quanto si legge, verterebbero sulle persone indicate a ricoprire i ruoli, ritenute, probabilmente, troppo vicine alla proprietà, e poi sul potere di revoca del trustee affidato al guardiano. E questo spiegherebbe anche perché non è infondata la preoccupazione che emergeva dall’articolo de Il Sole sul comportamento che in Lega sarebbe stato tenuto dal trustee. D’altra parte, siccome il trustee è un fiduciario è inevitabile che questi debba godere della fiducia di chi gli conferisce l’incarico né, d’altra parte il disponente potrebbe esser costretto ad avere necessariamente fiducia in una persona che non conosce o che magari ritenga ostile.

Dicevamo che tecnicamente non si può parlare di blind trust perché, per la natura del bene, non è possibile che il disponente rimanga all’oscuro di ciò che accade come nel caso in cui si debba gestire un pacchetto di azioni o di altri titoli. In realtà, la struttura proposta è quella di un trust, segnatamente un trust di scopo (la cessione del pacchetto azionario della società da perfezionare all’interno di un ristretto arco temporale, sei mesi a quanto si legge) nel quale il disponente esce di scena dopo aver effettuato il trasferimento dei beni al trustee che deve cercare un acquirente.

Indipendentemente dalla qualificazione che se ne dia, cos’è che rende complicato dar vita a questo meccanismo? Intanto la natura del bene per i limiti alla sua circolazione; in secondo luogo perché è interesse comune, nell’ottica, dichiarata, di addivenire alla cessione della Salernitana, che il disponente, pur uscendo formalmente di scena, continui a essere coinvolto anche nell’interesse del trustee che risulterà agevolato nello svolgimento del suo incarico (la vendita), da perfezionare, fatto non secondario, in un ristretto arco temporale. Oltre a non conoscere quale sia la legge regolatrice di questo strumento, la stessa struttura e alcune clausole di cui si legge nella stampa generano perplessità: il trust è istituito dalla proprietà che nomina trustees e guardiano. Questo accade di norma nei trust, ma come si fa a dire che non c’è controllo nel senso indicato dall’art. 16? Quanto alle clausole, una è quella relativa alla durata del trust. Infatti, a quanto si legge, la vendita dev’essere perfezionata entro il termine tassativo del 31 dicembre di quest’anno, pena l’esclusione dal campionato a stagione in corso. Nel merito, con una clausola di questo tipo i potenziali acquirenti avranno tutto l’interesse a far naufragare i tentativi di cessione nel periodo di durata del trust, ma d’altro canto la mancata conclusione dell’affare entro quella data, determinando l’esclusione dal campionato, determinerebbe una perdita potenzialmente molto maggiore di quella che la proprietà avrebbe subito se avesse ceduto la società prima della scadenza dei termini per l’iscrizione al campionato. Ma non è questo a generare perplessità. Se avessimo la consapevolezza di aver dato vita a uno strumento autonomo rispetto alla precedente proprietà, perché imporre un termine così rigido e breve per arrivare alla cessione?

Un altro elemento che suscita problemi è quello che prevede la presenza di un guardiano nominato dal disponente. Indipendentemente dai poteri attribuiti al guardiano, non si può dire che attraverso questa figura non si eserciti una forma di controllo che dall’art.16 non è consentita.

Ma altre considerazioni si possono aggiungere. A quanto si legge è stata ritenuta soddisfatta la richiesta della Federazione, sul fatto che fosse garantita l’autonomia finanziaria del trust: si è letto di quaranta milioni di cui la metà ricavabili da Lega, diritti TV e camera di compensazione, ma non si specifica chi abbia conferito l’altra metà.

Infine anche il divieto di “porte girevoli” che allude allo scambio di giocatori fra le due società, che senso ha se siamo consapevoli del fatto che la proprietà faccia riferimento a due soggetti diversi?

Concludendo, se questo è lo schema del trust che, d’accordo con la Federazione, è stato ritenuto idoneo a rimuovere l’ostacolo rappresentato dalle disposizioni del NOIC, credo che sia legittimo – almeno sulla base degli elementi di cui abbiamo potuto disporre – dire che si è voluto trovare una soluzione di comodo per risolvere il problema solo formalmente, con una non marginale forzatura a fronte della precisa formulazione dell’art.16 delle NOIC. Il fatto che il disponente nomini trustee e guardiano rende difficile immaginare che attraverso queste nomine, che sono di suoi fiduciari, non si attui, almeno formalmente, una forma di controllo che le norme del NOIC affermano non essere consentito? È chiaro che con queste domande non mi permetto, certo, di criticare l’atto dato che la proprietà ha legittimamente richiesto, e i suoi consulenti hanno conseguentemente predisposto, uno strumento che tutelasse al meglio i propri interessi, e la Federazione ha richiesto che venissero apportate alcune modifiche che sono state recepite. Se poi le modifiche hanno riguardato solo alcuni aspetti e non altri, questo è un problema della Federazione e non di chi ha predisposto l’atto e che, per definizione, è chiamato a tutelare interessi di parte.

Non c’è dubbio che il trust rappresenti l’unica alternativa alla vendita, e sia l’unico mezzo per risolvere questa spinosa questione, ma le richieste di modifica avanzate dalla Federazione non sembrano essersi state tali da superare la previsione del citato art.16 bis.

Per evitare di rientrare nell’ambito previsionale dell’art.16 bis delle N.O.I.C. il trust, a mio avviso, avrebbe dovuto essere istituito da un soggetto terzo, la Federazione stessa, che avrebbe dovuto provvedere alla nomina del trustee e del guardiano, che, a loro volta, avrebbero dovuto essere liberi di decidere a chi e quando vendere le azioni della Salernitana nello stesso apportate, senza quindi limiti temporali irragionevoli e senza quindi interferenze di sorta con la proprietà attuale delle società interessate.