x

x

Una piccola enciclopedia filosofica per comprendere l’uomo e la contemporaneità

Giovanni Gentile
Giovanni Gentile

Di filosofia, di questi tempi, se ne avverte un gran bisogno. Ecco perché, forse, i filosofi sono tornati di moda: partecipano a conferenze e dibattiti sui più disparati argomenti, sono ospiti fissi di salotti televisivi, spopolano sul web e vantano ormai schiere di fan e followers, come si conviene a delle vere e proprie star mediatiche.

Filosofo (oltre che scrittore ed editorialista di chiara fama) è anche Giancristiano Desiderio che, da instancabile divulgatore qual è, ha dato tra l’altro alle stampe, qualche anno fa, un saggio dal titolo La verità, forse. Sottotitolo: Piccola enciclopedia del sapere filosofico dai Greci allo storicismo.

E una piccola enciclopedia davvero lo è questo volume, non così corposo come ci si potrebbe aspettare da un progetto che si propone come ambizioso e semplice allo stesso tempo. Perché, come scrive l’Autore, “la verità che qui si discute è per tutti e per nessuno. Tutti vi hanno a che fare, nessuno ne può esprimere il senso definitivo”.

Nello scorrere dei dieci capitoli che attraversano secoli di storia della filosofia (Necessità della verità; Il potere della verità; Ciò che è vivo e ciò che è morto della verità; Alétheia; Cogito; La scienza nuova; Hegel; La verità delle domande del terzo tipo; Che cos’è la verità; L’uno e i molti) Desiderio prova a chiarire il concetto di verità che gli sta a cuore, che non è un esercizio scolastico né un’analisi del discorso ma una concezione tutta umana della verità come storia, un’esigenza interiore dell’uomo per vivere.

L’Autore innesca quello che lui chiama un lungo “corpo a corpocon la verità, sua autentica ossessione, per rivelare all’uomo se stesso e la condizione in cui vive, perché “la verità è la pratica della libertà” e “salvaguarda la libertà civile e la libertà morale degli uomini da ogni tipo di totalitarismo, sia esso di natura politica, filosofica, religiosa, scientifica.”

 

Di seguito due paragrafi tratti dal capitolo Il potere della verità:

 

Sistema e sicurezza

La parola “filosofia” ha almeno due significati che mettono capo a due diverse idee di verità e di libertà.  Filosofia può significare o dottrina del sapere o amore del sapere. Nel primo caso il sapere è una dottrina che disegna e realizza un sistema di sicurezza. Nel secondo caso il sapere è storia che con il circolo di pensiero e azione offre un sistema di libertà. In entrambi i casi c’è l’esercizio del potere della verità: nel primo il potere della verità ha l’ambizione di impossessarsi della forza del mondo razionalizzandola fino al punto di ridurre mondo, uomo e Dio a un ordine vero e sicuro che per la sua realizzazione non si ferma neanche davanti allo sterminio di massa; nel secondo il potere della verità si manifesta come una critica del potere – anche e soprattutto del potere della verità – per limitarlo e riconoscere la libertà che caratterizza la condizione umana.

La razionalizzazione della vita – volontà di verità che diventa volontà di potenza – è una forma di possesso dell’esistenza che è trasformata in un ordine necessario. La ricerca della sicurezza – si è visto – non è estranea allo spirito filosofico e, anzi, la verità è ricercata come risposta all’incertezza e imprevedibilità dell’esistenza.

Ma la sicurezza senza pericolo è un mito che si capovolge in una sicurezza insicura e massimamente pericolosa. Il mito è parte integrante e determinante della filosofia moderna che si forma come sistema di sicurezza. Il fenomeno ideologico moderno è una forma di mito legata non, come in passato, alla religione ma alla scienza o, meglio, a un metodico sapere assoluto esercitato secondo dottrina. Il mito nasce quando si prende la parte per il tutto: la sicurezza è solo una parte della condizione umana – lo Stato e il sapere sperimentale – che diventa, però, la chiave per interpretarla e ridurla a sistema.

Agli inizi della modernità Hobbes teorizza lo Stato – lo Stato assoluto – isolando proprio l’esigenza della sicurezza. Solo che nell’epoca moderna – epoca che ancora abitiamo, nonostante tutte le discussioni sulla “fine della storia” e tutti i post del caso – la sicurezza non resta confinata alla sfera statale e, anzi, al contrario, si allarga sempre più, tanto che lo Stato diventa insieme un organo di conoscenza e uno strumento di azione fino a dare il nome a una concezione etico-politica della vita: lo statalismo.

Più si allarga il potere della sicurezza – in qualunque modo: sia su base statale, sia su base scientifica – e più diminuiscono la libertà e le libertà degli uomini. Ma – ed è questo l’aspetto più importante e decisivo – l’aumento misurato della sicurezza non deprime solo le libertà ma rende inefficace la stessa sicurezza che perde il suo valore di ordine e stabilizzazione e diventa, privo com’è delle attività umane che sono ormai passività umane, fattore di rischio, pericolo e insicurezza. Così quello che è concepito come un sistema di sicurezza si rovescia in un sistema di insicurezza. Si vengono persino a perdere i significati originari e positivi dei due concetti: sistema e sicurezza.

La parola “sistema” in filosofia è ormai né più né meno che una parolaccia ed è respinta come se fosse la peste mentre non c’è pensiero senza sistema semplicemente perché sistematico significa relazione e ogni pensiero, anche i frammenti e gli aforismi, esprimono una relazione. La parola “sicurezza”, poi, è poco più di una parola perché l’eccesso della ricerca e della richiesta di sicurezza, là dove è fuori luogo, ha finito per svalutarne il senso sia teorico sia pratico.

 

Il filosofo e il tiranno

I filosofi si innamorano spesso e volentieri dei tiranni. Perché? Perché il filosofo è uno speciale tiranno che esercita la tirannia su se stesso. Però, la sua tirannia privata è fondata – almeno così ritiene – sulla vita vera che, proprio perché vera, aspira ad estendere agli altri tramite il potere che è esso stesso parte della verità. Il tiranno gli offre questa possibilità.

Tra la vita vera e il sistema di sicurezza non vi è differenza ma sovrapposizione: l’uno richiama l’altra, l’uno è nelle braccia dell’altra. La vita si configura come un sistema di sicurezza perché si fonda su un sapere assoluto che trascende la vita e così la domina e signoreggia. Attraverso il sapere assoluto il filosofo è in grado di sapere ciò che gli altri non sanno ma dovrebbero sapere per il loro bene: sicuramente lo saprebbero se fossero capaci di innalzarsi a quella scienza del sapere assoluto incarnata già dal filosofo. Detto in due parole: il filosofo ha quel sapere al quale la vita può adeguarsi per tutta la vita. Si tratta di un’idea grandiosa che non va presa sottogamba.

Questo tipo di sapere libera gli uomini dalle sottomissioni, dagli imbrogli, dagli errori, dai vizi e concede loro la possibilità di scegliere secondo necessità perché tutte le altre scelte erronee sono state dissolte dal sapere. Il sapere dissolvendo gli errori rende il volere uguale al sapere. A questo tipo di sapere ideologico, infallibile e non falsificabile manca una sola cosa: il potere. Il filosofo è pur sempre un profeta disarmato. Ha bisogno del tiranno per armarsi. A volte è lo stesso tiranno che si fa filosofo.

Solitamente la figura del filosofo accostata a quella del tiranno è a sua volta associata al filosofo antico e in particolare a Platone. Ma Platone ha fatto più male a sé che agli altri, al contrario dei filosofi moderni che hanno fatto più male agli altri che a se stessi. Il platonismo non ha mai fatto male a nessuno, mentre il marxismo ha ucciso idee e uomini. Il filosofo antico, diversamente dal filosofo moderno, sa meglio che deve tenere il potere a una certa distanza e quando il potere fa le capriole e presenta il conto, lui, il filosofo antico sa uscire di scena con maggior stile.

Il matrimonio funesto tra verità e potere, filosofia e tirannia, è un fenomeno moderno. È nella modernità che la filosofia diventa la conoscenza della struttura razionale della natura umana tutta squadernata e dispiegata: così il filosofo ha un alibi perfetto per prestare servizio al tiranno di turno.

I casi sono innumerevoli: in Italia abbiamo avuto la coppia Mussolini-Gentile e la teorizzazione dell’intellettuale organico che ha trovato piena applicazione nell’egemonia culturale del Pci e nel servilismo degli intellettuali; in Germania la relazione pericolosa c’è stata tra Hitler e Heidegger, ma altri grandi spiriti hanno dato il loro contributo, da Junger a Schmitt; in Russia c’è stato prima Lenin, il primo vero Bugiardo Metafisico – il dittatore diventato filosofo –, poi Lukacs che voleva essere il consigliere di Stalin. Ma sono solo alcuni casi perché gli innamoramenti, anche in tempi recenti, sono tanti: Sartre e Castro, Foucault e Khomeini e persino Gianni Vattimo, teorico del “pensiero debole”, è sempre alla ricerca di un forte dittatore. Le relazioni pericolose tra filosofia e politica, intellettuali e potere sono il capitolo più corposo del novecentesco tradimento dei chierici con cui gli uomini di cultura hanno ideologizzato e militarizzato le categorie dello spirito.

Giancristiano Desiderio, La verità, forse. Piccola enciclopedia del sapere filosofico dai Greci allo storicismo, Liberilibri 2015, collana Oche del Campidoglio, pagg. 264, euro 16.00, ISBN 978-88-98094-26-4.