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Violenza - Cassazione Penale: minaccia di pubblicare in rete un video e viene condannato per violenza privata

La Corte di Cassazione con la sentenza in disamina ribadisce che è integrato il reato di violenza privata ogniqualvolta sia violato il diritto del soggetto passivo ad autodeterminarsi liberamente. Inoltre, il concetto di nocumento richiesto affinché si possa punire la condotta criminosa in questione ricomprende qualsiasi effetto pregiudizievole che possa derivare dalla arbitraria condotta invasiva altrui.

Il caso di specie concerne la condanna in primo grado dell’imputato, poi confermata dai giudici dell’Appello in ordine ai reati di trattamento illecito di dati personali e violenza privata continuata. In particolare, il primo reato è ritenuto integrato con la pubblicazione sul canale You Tube di un video che vedeva protagonista la parte offesa in pose oscene, con conseguente lesione del diritto alla riservatezza dell’immagine. La violenza privata, invece, è ravvisata nell’aver costretto la parte offesa ad aver contatti informatici con l’imputato sotto continue minacce di pubblicazione in rete del video sopracitato.

Avverso tale pronuncia, l’imputato ricorre per Cassazione. I giudici di Piazza Cavour, investiti della questione, ribadiscono che il delitto di violenza privata si consuma “ogni qualvolta l’autore con la violenza o la minaccia lede il diritto del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente, costringendo a fare, tollerare od omettere qualcosa.” La violenza privata si configura inoltre come un reato di danno ove la condotta sanzionata si realizza con la coartazione della volontà altrui e l’evento lesivo si concretizza nel comportamento coartato di colui che l’ha subita.

In particolar modo, nel caso di specie, la Suprema Corte ravvisa gli estremi del reato nelle mail in cui l’imputato prospettava alla ragazza gravi danni all’immagine derivanti dalla divulgazione del video in un ambito territoriale molto ristretto, inducendo la donna a intrattenere comunicazioni con lui e coartandone conseguentemente la capacità di autodeterminazione, tendendola “sotto scacco”.

Lamenta, inoltre, l’imputato che la Corte territoriale non avrebbe motivato sul “nocumento” richiesto ai fini della punibilità della condotta. A tal proposito, alla luce di quanto disposto dal Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n.196), la Cassazione precisa che: “il concetto di nocumento è ben più ampio di quello di danno in quanto abbraccia qualsiasi effetto pregiudizievole che possa conseguire alla arbitraria condotta invasiva altrui. Nel richiedere il nocumento, la legge vuole escludere dalla sfera del penalmente rilevante quelle condotte, pure intrusive, che tuttavia siano rimaste del tutto irrilevanti nelle loro conseguenze”.In particolare, nel caso di specie, l’esistenza del nocumento è ravvisata nella lesione del diritto alla riservatezza dell’immagine.

Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, 8 ottobre 2015, n. 40356)

La Corte di Cassazione con la sentenza in disamina ribadisce che è integrato il reato di violenza privata ogniqualvolta sia violato il diritto del soggetto passivo ad autodeterminarsi liberamente. Inoltre, il concetto di nocumento richiesto affinché si possa punire la condotta criminosa in questione ricomprende qualsiasi effetto pregiudizievole che possa derivare dalla arbitraria condotta invasiva altrui.

Il caso di specie concerne la condanna in primo grado dell’imputato, poi confermata dai giudici dell’Appello in ordine ai reati di trattamento illecito di dati personali e violenza privata continuata. In particolare, il primo reato è ritenuto integrato con la pubblicazione sul canale You Tube di un video che vedeva protagonista la parte offesa in pose oscene, con conseguente lesione del diritto alla riservatezza dell’immagine. La violenza privata, invece, è ravvisata nell’aver costretto la parte offesa ad aver contatti informatici con l’imputato sotto continue minacce di pubblicazione in rete del video sopracitato.

Avverso tale pronuncia, l’imputato ricorre per Cassazione. I giudici di Piazza Cavour, investiti della questione, ribadiscono che il delitto di violenza privata si consuma “ogni qualvolta l’autore con la violenza o la minaccia lede il diritto del soggetto passivo di autodeterminarsi liberamente, costringendo a fare, tollerare od omettere qualcosa.” La violenza privata si configura inoltre come un reato di danno ove la condotta sanzionata si realizza con la coartazione della volontà altrui e l’evento lesivo si concretizza nel comportamento coartato di colui che l’ha subita.

In particolar modo, nel caso di specie, la Suprema Corte ravvisa gli estremi del reato nelle mail in cui l’imputato prospettava alla ragazza gravi danni all’immagine derivanti dalla divulgazione del video in un ambito territoriale molto ristretto, inducendo la donna a intrattenere comunicazioni con lui e coartandone conseguentemente la capacità di autodeterminazione, tendendola “sotto scacco”.

Lamenta, inoltre, l’imputato che la Corte territoriale non avrebbe motivato sul “nocumento” richiesto ai fini della punibilità della condotta. A tal proposito, alla luce di quanto disposto dal Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n.196), la Cassazione precisa che: “il concetto di nocumento è ben più ampio di quello di danno in quanto abbraccia qualsiasi effetto pregiudizievole che possa conseguire alla arbitraria condotta invasiva altrui. Nel richiedere il nocumento, la legge vuole escludere dalla sfera del penalmente rilevante quelle condotte, pure intrusive, che tuttavia siano rimaste del tutto irrilevanti nelle loro conseguenze”.In particolare, nel caso di specie, l’esistenza del nocumento è ravvisata nella lesione del diritto alla riservatezza dell’immagine.

Per questi motivi, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

(Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, 8 ottobre 2015, n. 40356)