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Violenza sessuale - Cassazione Penale: la condotta rimane allo stadio del tentativo se si verifica il solo contatto di zone non erogene per tempestiva reazione della vittima

Violenza sessuale - Cassazione Penale: la condotta rimane allo stadio del tentativo se si verifica il solo contatto di zone non erogene per tempestiva reazione della vittima
Violenza sessuale - Cassazione Penale: la condotta rimane allo stadio del tentativo se si verifica il solo contatto di zone non erogene per tempestiva reazione della vittima

La Corte di Cassazione ha precisato gli incerti confini tra tentativo e consumazione nel reato di violenza sessuale, stabilendo che sussiste la forma tentata del delitto di violenza sessuale non solo nei casi in cui non vi sia stato alcun contatto corporeo, ma anche quando il contatto si sia effettivamente verificato e abbia interessato solo parti non erogene per tempestiva reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, mentre resta irrilevante il tempo in cui tale condotta si sia estrinsecata. Conseguentemente, il contatto, anche fugace, delle parti intime determina la consumazione del reato di violenza sessuale.

 

La condotta contestata e le decisioni di merito

Nel caso in esame, il soggetto era stato condannato dal Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) del Tribunale di Catania, con conferma della sentenza da parte della Corte d’Appello di Catania, per il reato di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis, comma primo, del Codice Penale, aggravato ai sensi dell’articolo 609-ter n.1 perché commesso anche nei confronti di minori di anni quattordici, alla pena di cinque anni di reclusione, in quanto, con il pretesto di proporre un lavoro di volantinaggio o di richiedere informazioni, aveva condotto o trattenuto le vittime in un luogo appartato e, contro la volontà delle stesse, aveva afferrato improvvisamente il braccio delle stesse, effettuando ripetuti toccamenti, sfregamenti e baci sul collo e sulle mani, atti accompagnati in un caso con l’azione di annusare e strofinare le labbra sull’arto e in un altro con la pronuncia di frasi di inequivoco significato.

Avverso la sentenza della Corte territoriale, il difensore dell’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando, tra i vari motivi, la mancata qualificazione dei fatti contestati come violenza privata o molestie ovvero come tentativo di violenza sessuale, essendosi l’imputato limitato a baciare la mano o il braccio delle persone offese.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso limitatamente a questo motivo, chiarendo i limiti, ampiamente condivisi dalla giurisprudenza di legittimità, tra la forma tentata e la forma consumata del delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis del Codice Penale.

 

La molestia sessuale

Nel caso di specie, secondo i giudici di legittimità, non potrebbe riconoscersi l’ipotesi della violenza privata, essendosi verificate condotte dal contenuto inequivocabilmente sessuale ed essendo intervenuta una indesiderata intrusione nella sfera sessuale altrui. Né, allo stesso modo, potrebbe ritenersi sussistente la fattispecie di molestia sessuale.

La molestia sessuale, infatti, rappresenta “una forma particolare di molestia prevista e punita dall’articolo 660 cod. pen., [che] prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta. Essa coincide con tutte quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall’abuso sessuale, che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di instaurazione di un rapporto interpersonale”. Nel caso di toccamenti a sfondo sessuale, invece, si configurerebbe il diverso reato di violenza sessuale e la forma consumata o tentata dipenderebbe dalla natura del toccamento e dalle circostanze del caso.

 

Il reato di violenza sessuale

La norma incriminatrice richiede, per l’integrazione del reato, che il soggetto agente costringa (attraverso violenza, minaccia o abuso di autorità) taluno a compiere o a subire atti sessuali, intendendosi con tale espressione tutti quegli atti che “siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona e ad invadere la sua sfera sessuale”.

Tra questi si ricomprendono gli atti insidiosi e rapidi su zone erogene su persona non consenziente. Il concetto di violenza, infatti, ricomprenderebbe al suo interno non solo le esplicazioni di energia fisica direttamente poste in essere sulla persona offesa e dirette a vincere la resistenza opposta dalla stessa, ma anche “qualsiasi atto o fatto cui consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, così costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà”; il reato di violenza sessuale non necessiterebbe di una violenza tale da porre “il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre una resistenza, essendo sufficiente che l’azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo”.

Secondo la Cassazione, l’effettivo discrimen tra tentativo e consumazione è rappresentato dalla concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, che si ha “quando l’agente raggiunge le parti intime (zone genitali o comunque erogene) della persona offesa o prova un contatto della vittima con le parti intime proprie”.

La Corte di Cassazione ha, dunque, precisato che: “il tentativo del reato di violenza sessuale è configurabile non solo nel caso in cui gli atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere un abuso sessuale non si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ma anche quando il contatto sia stato superficiale o fugace e non abbia attinto una zona erogena o considerata tale dal reo per la reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, mentre per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua la soddisfazione erotica”.

Ragion per cui, è configurabile il reato di tentata violenza sessuale “in tutte le ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l’agente non ha raggiunto le zone intime (genitali o erogene) della vittima ovvero non ha provocato un contatto di quest’ultima con le proprie parti intime”.

Nella maggior parte degli episodi oggetto di contestazione, l’imputato non aveva raggiunto le parti intime delle vittime. Conseguentemente, la condotta posta in essere doveva essere qualificata come tentata violenza sessuale, non essendosi verificata quell’intrusione nella sfera sessuale della persona offesa richiesta dall’articolo 609-bis del Codice Penale, ma potendosi rilevare la sussistenza di soli atti idonei e diretti in modo non equivoco a tal fine.

La Cassazione ha, pertanto, rinviato gli atti ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania per un nuovo esame.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 15 febbraio 2017, n. 7154)

La Corte di Cassazione ha precisato gli incerti confini tra tentativo e consumazione nel reato di violenza sessuale, stabilendo che sussiste la forma tentata del delitto di violenza sessuale non solo nei casi in cui non vi sia stato alcun contatto corporeo, ma anche quando il contatto si sia effettivamente verificato e abbia interessato solo parti non erogene per tempestiva reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, mentre resta irrilevante il tempo in cui tale condotta si sia estrinsecata. Conseguentemente, il contatto, anche fugace, delle parti intime determina la consumazione del reato di violenza sessuale.

 

La condotta contestata e le decisioni di merito

Nel caso in esame, il soggetto era stato condannato dal Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) del Tribunale di Catania, con conferma della sentenza da parte della Corte d’Appello di Catania, per il reato di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis, comma primo, del Codice Penale, aggravato ai sensi dell’articolo 609-ter n.1 perché commesso anche nei confronti di minori di anni quattordici, alla pena di cinque anni di reclusione, in quanto, con il pretesto di proporre un lavoro di volantinaggio o di richiedere informazioni, aveva condotto o trattenuto le vittime in un luogo appartato e, contro la volontà delle stesse, aveva afferrato improvvisamente il braccio delle stesse, effettuando ripetuti toccamenti, sfregamenti e baci sul collo e sulle mani, atti accompagnati in un caso con l’azione di annusare e strofinare le labbra sull’arto e in un altro con la pronuncia di frasi di inequivoco significato.

Avverso la sentenza della Corte territoriale, il difensore dell’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando, tra i vari motivi, la mancata qualificazione dei fatti contestati come violenza privata o molestie ovvero come tentativo di violenza sessuale, essendosi l’imputato limitato a baciare la mano o il braccio delle persone offese.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso limitatamente a questo motivo, chiarendo i limiti, ampiamente condivisi dalla giurisprudenza di legittimità, tra la forma tentata e la forma consumata del delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis del Codice Penale.

 

La molestia sessuale

Nel caso di specie, secondo i giudici di legittimità, non potrebbe riconoscersi l’ipotesi della violenza privata, essendosi verificate condotte dal contenuto inequivocabilmente sessuale ed essendo intervenuta una indesiderata intrusione nella sfera sessuale altrui. Né, allo stesso modo, potrebbe ritenersi sussistente la fattispecie di molestia sessuale.

La molestia sessuale, infatti, rappresenta “una forma particolare di molestia prevista e punita dall’articolo 660 cod. pen., [che] prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta. Essa coincide con tutte quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall’abuso sessuale, che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di instaurazione di un rapporto interpersonale”. Nel caso di toccamenti a sfondo sessuale, invece, si configurerebbe il diverso reato di violenza sessuale e la forma consumata o tentata dipenderebbe dalla natura del toccamento e dalle circostanze del caso.

 

Il reato di violenza sessuale

La norma incriminatrice richiede, per l’integrazione del reato, che il soggetto agente costringa (attraverso violenza, minaccia o abuso di autorità) taluno a compiere o a subire atti sessuali, intendendosi con tale espressione tutti quegli atti che “siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità della persona e ad invadere la sua sfera sessuale”.

Tra questi si ricomprendono gli atti insidiosi e rapidi su zone erogene su persona non consenziente. Il concetto di violenza, infatti, ricomprenderebbe al suo interno non solo le esplicazioni di energia fisica direttamente poste in essere sulla persona offesa e dirette a vincere la resistenza opposta dalla stessa, ma anche “qualsiasi atto o fatto cui consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, così costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà”; il reato di violenza sessuale non necessiterebbe di una violenza tale da porre “il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre una resistenza, essendo sufficiente che l’azione si compia in modo insidiosamente rapido, tanto da superare la volontà contraria del soggetto passivo”.

Secondo la Cassazione, l’effettivo discrimen tra tentativo e consumazione è rappresentato dalla concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, che si ha “quando l’agente raggiunge le parti intime (zone genitali o comunque erogene) della persona offesa o prova un contatto della vittima con le parti intime proprie”.

La Corte di Cassazione ha, dunque, precisato che: “il tentativo del reato di violenza sessuale è configurabile non solo nel caso in cui gli atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere un abuso sessuale non si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ma anche quando il contatto sia stato superficiale o fugace e non abbia attinto una zona erogena o considerata tale dal reo per la reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell’agente, mentre per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua la soddisfazione erotica”.

Ragion per cui, è configurabile il reato di tentata violenza sessuale “in tutte le ipotesi in cui la condotta violenta o minacciosa non abbia determinato una immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima, poiché l’agente non ha raggiunto le zone intime (genitali o erogene) della vittima ovvero non ha provocato un contatto di quest’ultima con le proprie parti intime”.

Nella maggior parte degli episodi oggetto di contestazione, l’imputato non aveva raggiunto le parti intime delle vittime. Conseguentemente, la condotta posta in essere doveva essere qualificata come tentata violenza sessuale, non essendosi verificata quell’intrusione nella sfera sessuale della persona offesa richiesta dall’articolo 609-bis del Codice Penale, ma potendosi rilevare la sussistenza di soli atti idonei e diretti in modo non equivoco a tal fine.

La Cassazione ha, pertanto, rinviato gli atti ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania per un nuovo esame.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 15 febbraio 2017, n. 7154)