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Favoreggiamento della prostituzione – Comportamenti implicanti una tolleranza abituale

Nota a Cassazione Penale - Sezione Terza, Sentenza 22 settembre 2005, n. 33799
La sentenza in oggetto affronta il tema specifico delle condotte rientranti nella fattispecie punita quale sfruttamento della prostituzione.

In particolare, nel caso de quo si contesta una condotta consistente nell’aver favorito e sfruttato la prostituzione di alcune ragazze, nonché tollerato che all’interno di un albergo si esercitasse abitualmente la prostituzione.

La condotta sopra descritta è punita dall’art. 3, n. 3, della legge n. 75/1958, il quale così dispone: “Le disposizioni contenute negli artt. 531 a 536 del codice penale sono sostituite dalle seguenti:

«È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 500.000 a lire 20.000.000 salvo in ogni caso l’applicazione dell’ art. 240 del codice penale:

[…]

3) chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all’interno del locale stesso, si danno alla prostituzione […].

In tutti i casi previsti nel n. 3) del presente articolo alle pene in essi comminate, sarà aggiunta la perdita della licenza d’esercizio e potrà anche essere ordinata la chiusura definitiva dell’esercizio.

I delitti previsti dai nn. 4) e 5), se commessi da un cittadino in territorio estero, sono punibili in quanto le convenzioni internazionali lo prevedano”.

Oltre ciò va rimarcato il fatto che la stessa disposizione normativa contiene una formula di chiusura molto ampia e che punisce “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”; ciò permette di sussumere in tale formula legislativa la maggior parte delle condotte contestate per un fenomeno del genere.

Anche la Cassazione, infatti, afferma che l’ampia formulazione della previsione di cui all’art. 3 n. 8 della legge 75/58, non può che porla come una norma di chiusura verso qualsivoglia comportamento volto in qualche modo a favorire o sfruttare la prostituzione altrui.

La pena nel caso specifico non è stata aumentata, in quanto il favoreggiamento è stato assorbito nello sfruttamento della prostituzione: la Corte specifica che l’esatta qualificazione giuridica del fatto delittuoso accertato è costituita solo dalla tolleranza abituale della prostituzione.

La tolleranza, per espressa previsione della norma incriminatrice, deve essere "abituale" e richiede, quindi, da parte del soggetto attivo (trattasi di "reato proprio"), la conoscenza, protratta nel tempo, della presenza nel locale di persone che si danno alla prostituzione e l’inerzia di fronte a tale situazione.

Sul tema, va premesso innanzitutto che i reati di favoreggiamento della prostituzione e di abituale tolleranza, nell’interno di un locale pubblico gestito, di un’attività di prostituzione non richiedono che l’agente presenzi all’adescamento o alla pubblica offerta di meretricio, essendo sufficiente la coscienza e la volontà di favorire comunque la prostituzione altrui, nel primo, e di tollerare quest’ultima nel proprio locale, nel secondo (Cass. pen., 22-02-1988).

In questo caso sussiste una specifica abitualità nella condotta, e va ricordato come quest’ultima debba essere riferita non alla frequenza nel locale delle persone che vi si prostituiscono, bensì alla tolleranza del comportamento di chi permette lo svolgimento di tali attività (vedasi pure Cass., Sez. III: 26.2.1991, n. 2613).

L’imputato è risultato essere pienamente cosciente dell’uso che si effettuava delle camere del proprio albergo, nel quale si favorivano incontri tra clienti e prostitute.

Tale circostanza era pressoché abituale (come accertato anche tramite le indagini investigative), non potendosi perciò qualificare saltuaria.

Secondo la giurisprudenza, infatti, non integra il reato di tolleranza abituale dell’altrui prostituzione, il consenso prestato saltuariamente dal gestore di un esercizio alberghiero all’utilizzo sporadico dei locali dell’albergo per esercitarvi la prostituzione, ma occorre che la condotta tollerante abbia una durata apprezzabile nel tempo (Cass. pen. Sez. III, 23 novembre 2004, n. 5457).

Il reato di tolleranza abituale dell’altrui prostituzione, commesso dal titolare di un esercizio alberghiero, invece, non esige la continuità della condotta, ma implica la sola reiterazione, per un tempo apprezzabile, del comportamento permissivo del gestore, idoneo a consentire che le persone che alloggiano nell’albergo svolgano attività di prostituzione (Cass. pen. Sez. III, 28-05-2004, n. 30132): condotta che può ascriversi all’imputato in esame.

In sintesi, si può affermare che commette il reato di tolleranza abituale della prostituzione previsto dall’art. 3 n. 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75 l’albergatore che tolleri abitualmente la presenza di prostitute che intrattengono i loro rapporti con i clienti dell’albergo, dovendosi invece configurare il reato di favoreggiamento previsto dall’art. 3 n. 8 della stessa legge là dove il suddetto comportamento sia caratterizzato dalla mera occasionalità (Cass. pen. Sez. III, 05-05-2004, n. 26925). La sentenza in oggetto affronta il tema specifico delle condotte rientranti nella fattispecie punita quale sfruttamento della prostituzione.

In particolare, nel caso de quo si contesta una condotta consistente nell’aver favorito e sfruttato la prostituzione di alcune ragazze, nonché tollerato che all’interno di un albergo si esercitasse abitualmente la prostituzione.

La condotta sopra descritta è punita dall’art. 3, n. 3, della legge n. 75/1958, il quale così dispone: “Le disposizioni contenute negli artt. 531 a 536 del codice penale sono sostituite dalle seguenti:

«È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire 500.000 a lire 20.000.000 salvo in ogni caso l’applicazione dell’ art. 240 del codice penale:

[…]

3) chiunque, essendo proprietario, gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di bevande, circolo, locale da ballo, o luogo di spettacolo, o loro annessi e dipendenze o qualunque locale aperto al pubblico od utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all’interno del locale stesso, si danno alla prostituzione […].

In tutti i casi previsti nel n. 3) del presente articolo alle pene in essi comminate, sarà aggiunta la perdita della licenza d’esercizio e potrà anche essere ordinata la chiusura definitiva dell’esercizio.

I delitti previsti dai nn. 4) e 5), se commessi da un cittadino in territorio estero, sono punibili in quanto le convenzioni internazionali lo prevedano”.

Oltre ciò va rimarcato il fatto che la stessa disposizione normativa contiene una formula di chiusura molto ampia e che punisce “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”; ciò permette di sussumere in tale formula legislativa la maggior parte delle condotte contestate per un fenomeno del genere.

Anche la Cassazione, infatti, afferma che l’ampia formulazione della previsione di cui all’art. 3 n. 8 della legge 75/58, non può che porla come una norma di chiusura verso qualsivoglia comportamento volto in qualche modo a favorire o sfruttare la prostituzione altrui.

La pena nel caso specifico non è stata aumentata, in quanto il favoreggiamento è stato assorbito nello sfruttamento della prostituzione: la Corte specifica che l’esatta qualificazione giuridica del fatto delittuoso accertato è costituita solo dalla tolleranza abituale della prostituzione.

La tolleranza, per espressa previsione della norma incriminatrice, deve essere "abituale" e richiede, quindi, da parte del soggetto attivo (trattasi di "reato proprio"), la conoscenza, protratta nel tempo, della presenza nel locale di persone che si danno alla prostituzione e l’inerzia di fronte a tale situazione.

Sul tema, va premesso innanzitutto che i reati di favoreggiamento della prostituzione e di abituale tolleranza, nell’interno di un locale pubblico gestito, di un’attività di prostituzione non richiedono che l’agente presenzi all’adescamento o alla pubblica offerta di meretricio, essendo sufficiente la coscienza e la volontà di favorire comunque la prostituzione altrui, nel primo, e di tollerare quest’ultima nel proprio locale, nel secondo (Cass. pen., 22-02-1988).

In questo caso sussiste una specifica abitualità nella condotta, e va ricordato come quest’ultima debba essere riferita non alla frequenza nel locale delle persone che vi si prostituiscono, bensì alla tolleranza del comportamento di chi permette lo svolgimento di tali attività (vedasi pure Cass., Sez. III: 26.2.1991, n. 2613).

L’imputato è risultato essere pienamente cosciente dell’uso che si effettuava delle camere del proprio albergo, nel quale si favorivano incontri tra clienti e prostitute.

Tale circostanza era pressoché abituale (come accertato anche tramite le indagini investigative), non potendosi perciò qualificare saltuaria.

Secondo la giurisprudenza, infatti, non integra il reato di tolleranza abituale dell’altrui prostituzione, il consenso prestato saltuariamente dal gestore di un esercizio alberghiero all’utilizzo sporadico dei locali dell’albergo per esercitarvi la prostituzione, ma occorre che la condotta tollerante abbia una durata apprezzabile nel tempo (Cass. pen. Sez. III, 23 novembre 2004, n. 5457).

Il reato di tolleranza abituale dell’altrui prostituzione, commesso dal titolare di un esercizio alberghiero, invece, non esige la continuità della condotta, ma implica la sola reiterazione, per un tempo apprezzabile, del comportamento permissivo del gestore, idoneo a consentire che le persone che alloggiano nell’albergo svolgano attività di prostituzione (Cass. pen. Sez. III, 28-05-2004, n. 30132): condotta che può ascriversi all’imputato in esame.

In sintesi, si può affermare che commette il reato di tolleranza abituale della prostituzione previsto dall’art. 3 n. 3 della legge 20 febbraio 1958 n. 75 l’albergatore che tolleri abitualmente la presenza di prostitute che intrattengono i loro rapporti con i clienti dell’albergo, dovendosi invece configurare il reato di favoreggiamento previsto dall’art. 3 n. 8 della stessa legge là dove il suddetto comportamento sia caratterizzato dalla mera occasionalità (Cass. pen. Sez. III, 05-05-2004, n. 26925).