Cassazione Civile: responsabilità ospedale per somministrazione di farmaco

La Cassazione si è espressa in merito ad un caso di malpractice medica derivante dalla somministrazione di un farmaco in ospedale. La Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza di secondo grado in particolare per una non corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova.

In particolare, la Corte ha rilevato che "la corte d’appello ha conferito determinante rilevanza alla mancanza di prova, da parte della paziente, di aver comunicato al personale medico o paramedico che gli asseriti disturbi si erano manifestati prim’ancora della sospensione della somministrazione del farmaco, ma ha del tutto omesso di considerare che già la febbre era inferiore ai 37 gradi, in un contesto nel quale il nesso causale tra somministrazione del farmaco e le lesioni del labirinto erano ormai accertate, in esito al giudicato interno formatosi sul punto a seguito della sentenza di primo grado. Quanto alla mancanza di prova, dei disturbi che la apziente affermava di aver accusato e manifestato, la corte d’appello non si pone in alcun modo il problema del come tale prova sarebbe stato possibile dare. La ricorrente sostiene in ricorso di aver inutilmente domandato che la convenuta Usl (poi Asl) indicasse i nomi e gli indirizzi del personale medico e paramedico in servizio in quei giorni, costituenti dati di cui non poteva essere a conoscenza. Ma il problema travalica tale aspetto ed investe quello della distribuzione dell’onere della prova".

Quando il paziente ricoverato assume di aver subito un danno a seguito del trattamento medico ricevuto, stante la natura contrattuale della responsabilità della struttura ospedaliera, occorre applicare la regola posta dall’art. 1218 c.c., secondo la quale il creditore che alleghi l’inadempimento deve provare solo la sussistenza di nesso causale fra questo ed il danno, mentre compete al creditore offrire la prova della non imputabilità della sua causa: dunque, dell’assenza di colpa.

Quest’ultima - ricorda la Cassazione - "va valutata in relazione all’affidamento del paziente nella diligenza del debitore della prestazione sanitaria, nella specie caratterizzata dalla somministrazione di un farmaco di risaputa ototossicità, sicché più ancora che all’intervenuta denuncia dei propri malesseri da parte della paziente avrebbe dovuto aversi riguardo all’avvenuto interpello della stessa sull’assenza di sintomi collaterali, neppure esso annotato nella cartella clinica, costituente documento la cui formazione rientra pur sempre nella totale disponibilità di una sola delle parti del rapporto obbligatorio e le cui eventuali carenze non possono in alcun modo ridondare a carico del paziente, come reiteratamente affermato questa corte".

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 30 settembre 2009, n.20954).

La Cassazione si è espressa in merito ad un caso di malpractice medica derivante dalla somministrazione di un farmaco in ospedale. La Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza di secondo grado in particolare per una non corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova.

In particolare, la Corte ha rilevato che "la corte d’appello ha conferito determinante rilevanza alla mancanza di prova, da parte della paziente, di aver comunicato al personale medico o paramedico che gli asseriti disturbi si erano manifestati prim’ancora della sospensione della somministrazione del farmaco, ma ha del tutto omesso di considerare che già la febbre era inferiore ai 37 gradi, in un contesto nel quale il nesso causale tra somministrazione del farmaco e le lesioni del labirinto erano ormai accertate, in esito al giudicato interno formatosi sul punto a seguito della sentenza di primo grado. Quanto alla mancanza di prova, dei disturbi che la apziente affermava di aver accusato e manifestato, la corte d’appello non si pone in alcun modo il problema del come tale prova sarebbe stato possibile dare. La ricorrente sostiene in ricorso di aver inutilmente domandato che la convenuta Usl (poi Asl) indicasse i nomi e gli indirizzi del personale medico e paramedico in servizio in quei giorni, costituenti dati di cui non poteva essere a conoscenza. Ma il problema travalica tale aspetto ed investe quello della distribuzione dell’onere della prova".

Quando il paziente ricoverato assume di aver subito un danno a seguito del trattamento medico ricevuto, stante la natura contrattuale della responsabilità della struttura ospedaliera, occorre applicare la regola posta dall’art. 1218 c.c., secondo la quale il creditore che alleghi l’inadempimento deve provare solo la sussistenza di nesso causale fra questo ed il danno, mentre compete al creditore offrire la prova della non imputabilità della sua causa: dunque, dell’assenza di colpa.

Quest’ultima - ricorda la Cassazione - "va valutata in relazione all’affidamento del paziente nella diligenza del debitore della prestazione sanitaria, nella specie caratterizzata dalla somministrazione di un farmaco di risaputa ototossicità, sicché più ancora che all’intervenuta denuncia dei propri malesseri da parte della paziente avrebbe dovuto aversi riguardo all’avvenuto interpello della stessa sull’assenza di sintomi collaterali, neppure esso annotato nella cartella clinica, costituente documento la cui formazione rientra pur sempre nella totale disponibilità di una sola delle parti del rapporto obbligatorio e le cui eventuali carenze non possono in alcun modo ridondare a carico del paziente, come reiteratamente affermato questa corte".

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 30 settembre 2009, n.20954).