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Art. 572 - Richiesta della parte civile o della persona offesa

1. La parte civile, la persona offesa, anche se non costituita parte civile, e gli enti e le associazioni intervenuti a norma degli articoli 93 e 94, possono presentare richiesta motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione a ogni effetto penale.

2. Il pubblico ministero, quando non propone impugnazione, provvede con decreto motivato da notificare al richiedente.

Rassegna giurisprudenziale

Richiesta della parte civile o della persona offesa (art. 572)

È inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, l’atto di appello proposto dal PM a richiesta della parte civile, ai sensi dell’art. 572, nel quale il PM si limiti, per relationem, ad esprimere condivisione per le censure contenute nella predetta richiesta, senza indicare le ragioni del proprio dissenso dalla sentenza impugnata. Il requisito di specificità, invece, può dirsi rispettato qualora nell’atto di appello siano trascritte, testualmente e per esteso, le doglianze contenute nell’istanza della parte civile (Sez. 5, 41782/2016).

L’interesse del PM all’impugnazione sancito dall’art. 568, comma 4 si misura, al pari di quello di ogni altra parte del processo, in termini di attualità e concretezza: non è perciò sufficiente, sia pur considerando la sua funzione di parte pubblica volta ad assicurare la funzione di vigilanza sull’osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia demandatagli dall’ordinamento giudiziario, che sussista una violazione o l’erronea applicazione della legge, occorrendo, per contro, che l’impugnazione svolta sia idonea a rimuovere gli effetti, non altrimenti rimovibili, che si assumono pregiudizievoli.

Deve perciò escludersi che il PM, siccome estraneo al rapporto processuale civile instauratosi incidentalmente nel processo penale tra il soggetto danneggiato dal reato e l’imputato e, come tale, indifferente ai profili di soccombenza propri dell’azione civile risarcitoria, sia legittimato a impugnare un provvedimento all’esclusivo fine di tutelare gli interessi civili della parte privata, così surrogandosi all’inerzia di quest’ultima la quale, rimanendo acquiescente alla decisione a sè pregiudizievole, ha invece consentito il formarsi del giudicato sul punto.

Estraneità questa che trova puntuale riscontro nella disposizione di cui all’art. 572, che consente alla parte civile o alla persona offesa di proporre istanza motivata al pubblico ministero di proporre impugnazione “a ogni effetto penale”, mentre non è prevista analoga istanza al fine di far valere i soli interessi civili. Per le stesse ragioni deve essere escluso l’interesse del PM a far valere eventuali vizi afferenti alla regolare instaurazione del contraddittorio nei confronti della parte civile (Sez. 3, 35783/2017).

Non può proporsi, da parte dei soggetti indicati nell’art. 572 comma 1 (richiesta della parte civile o della persona offesa), ricorso per cassazione avverso il decreto motivato emesso dal PM di non proposizione di impugnazione ai sensi del comma 2 del citato art. 572. Ciò sia in virtù del generale principio di tassatività dei mezzi di gravame, sia in quanto il provvedimento menzionato non ha natura giurisdizionale ma meramente amministrativa (Sez. 7, 4316/2018).

L’attuale assetto normativo, così come ricostruito dalle Sezioni Unite (SU, 6509/2013), prevede in via generale che la parte civile non possa impugnare i capi penali della sentenza di primo grado se non indirettamente, attraverso il potere di sollecitazione del PM previsto dall’art. 572, mentre le è riconosciuto il potere di impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardino l’azione civile, nonché, ai soli effetti della responsabilità civile, contro le sentenze di proscioglimento pronunciate nel giudizio, così come espressamente previsto dall’art. 576 (Sez. 5, 9924/2018).

Il potere sollecitatorio che l’art. 572 attribuisce alla parte civile non è agganciato ad un diritto sostanziale alla punizione del colpevole - al contrario, riservato allo Stato. Laddove, pertanto, l’organo dell’accusa lasci inutilmente decorrere il termine di impugnazione, non potrà la richiesta della parte civile consentire, in danno dell’imputato, una riapertura dei termini idonea a rimettere in discussione la responsabilità penale di quest’ultimo (Sez. 7, 36051/2016).