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Concorrenza sleale: tra i “pregi” anche i clienti del concorrente!

Antelope Canyon
Ph. Antonio Capodieci / Antelope Canyon

Indice:

1. Concorrenza sleale: i giudici di merito negano sussista in caso di pubblicazione di clienti altrui

2. Concorrenza sleale per appropriazione di pregi: la Cassazione precisa la nozione di pregi

3. Concorrenza sleale: riflessioni conclusive sull’appropriazione di pregi

 

1. Concorrenza sleale: i giudici di merito negano sussista in caso di pubblicazione di clienti altrui

Un’agenzia pubblicitaria si è rivolta all’Autorità Giudiziaria chiedendo la condanna di una propria concorrente (i) alla cessazione dell’attività di concorrenza sleale, per avere pubblicato sul proprio sito internet i nomi di propri clienti e (ii) al risarcimento del danno.

Sia in primo che in secondo grado le domande della società attrice non sono state accolte; nello specifico, la Corte d’Appello ha escluso che la condotta della società convenuta fosse qualificabile come un’attività di concorrenza sleale appropriativa, non potendo i clienti qualificarsi quale “pregio”, ma “meri elementi storici del livello imprenditoriale raggiunto”.

In sintesi, per la Corte d’Appello, la società convenuta ha posto in essere una mera vanteria o pubblicità menzognera a danno del mercato ma non del singolo concorrente, in assenza di attività denigratorie.

 

2. Concorrenza sleale per appropriazione di pregi: la Cassazione precisa la nozione di pregi

Con riferimento al caso oggetto della controversia, la Cassazione – con la recente decisione n. 19954/2021 - fornisce un diverso inquadramento, interpretando estensivamente la nozione di “pregi”.

La Corte, infatti, sulla base della premessa che il divieto di appropriazione di pregi intende impedire “non propriamente l’inganno del consumatore in ordine alla qualità del prodotto o di un’impresa, ma, ancora prima, la decettività del riferimento, il quale suggestivamente mutui da un’esperienza che il consumatore ha fatto con riguardo ad altro prodotto od altra impresa, un risultato positivo, che, invece, il consumatore deve ancora sperimentare per il nuovo prodotto o impresa” giunge a stabilire che “l’imprenditore concorrente si appropria di pregi di un’altra impresa in quanto operi in una comunicazione destinata a terzi una c.d. auto attribuzione di qualità, peculiarità o caratteristiche riconosciute all’altrui impresa”.

Una nozione di “pregi” dunque, sostanzialmente ampia, volta ad includere “ogni indebita appropriazione di qualità altrui”, nella quale può rientrare, pertanto, anche un “carnet di clienti con i quali un imprenditore non abbia in passato intrattenuto rapporti professionali, invece in essere con un diverso imprenditore”.

Secondo la Corte, in sostanza, “la condotta di appropriazione di pregi consiste anche nell’operare vanto a proprio favore con riguardo a caratteristiche dell’impresa, mutuate da quelle di altro imprenditore, e ciò tutte le volte in cui detto vanto abbia l’attitudine di fare indebitamente acquisire meriti non posseduti”.

È la Corte stessa che riconosce l’ampiezza delle proprie osservazioni, statuendo che “vi è appropriazione di pregi di un concorrente quando, in forme pubblicitarie o equivalenti, un imprenditore attribuisca ai propri prodotti o alla propria impresa qualsiasi caratteristica dell’impresa o dei prodotti concorrenti che sia considerata dal mercato come qualità positiva e diventi quindi motivo di preferenza e di turbamento della libera scelta del cliente”.

Da tali premesse, discende, pertanto, il riconoscimento come atto di concorrenza sleale per appropriazione di pregi ex articolo 2598, n.2, Codice Civile della condotta consistente nel fatto di “pubblicizzare su internet o su altri mezzi di comunicazione, come propri, clienti reputati di prestigio o comunque significativi della qualità del servizio reso (“pregi”), ma in realtà riferibili ad un concorrente, vantando in tal modo una “storia imprenditoriale”, che presuppone, contrariamente al vero, un’attività esercitata senza soluzione di continuità con quella di altra impresa concorrente”.

Nel caso specifico oggetto della controversia va, infatti, precisato che la persona fisica che aveva contribuito alla realizzazione delle passate campagne pubblicitarie per un determinato numero di clienti aveva poi continuato ad esplicare tale attività nell’ambito dell’organizzazione imprenditoriale del nuovo soggetto concorrente.

Per completezza, va rilevato che in un precedente caso il Tribunale di Milano (con ordinanza in data 09.07.2004) aveva qualificato illecito, sotto il profilo concorrenziale, l’utilizzo di una reference list contenente clienti del concorrente. Il Tribunale aveva, in quell’ occasione, argomentato che “l’evidenziare come propri clienti di un altro soggetto comporta l’acquisizione della pregressa attività aziendale altrui”, giungendo alla conclusione che “tale utilizzo concretizza un’ipotesi di concorrenza sleale per appropriazione di pregi, posto che viene rappresentato come proprio un impegno lavorativo effettuato da un’altra azienda, al fine di enfatizzare la propria attività nel medesimo settore”.

Meritano, altresì, attenzione – in analogia alla fattispecie sopra descritta - le ulteriori considerazioni del Tribunale, in base alle quali è risultato del tutto irrilevante il fatto che i lavori presso i clienti indicati fossero stati svolti da ex-collaboratori, poi divenuti soci della società resistente, dal momento che si trattava comunque di un’attività che era stata compiuta dai medesimi per conto della società ricorrente.

 

3. Concorrenza sleale: riflessioni conclusive sull’appropriazione di pregi

La recente decisione della Suprema Corte si pone in linea di continuità con le statuizioni del Tribunale di Milano e le consolida, dando luogo ad una lettura allargata della nozione di “pregi” e conformandosi all’orientamento che già si era delineato a seguito delle conclusioni raggiunte da alcune corti di merito, in virtù delle quali “per pregio deve intendersi qualsiasi caratteristica dell’impresa o dei prodotti che sia considerata dal mercato come qualità positiva e diventi quindi motivo di preferenza” (in questi termini, cfr. Trib. Torino 29.01.2007; cfr. anche Trib. Modena 19.08.02, ove si rinvengono ulteriori riferimenti a decisioni precedenti).

Analogamente si era espressa anche la dottrina (cfr. in particolare A. Vanzetti - V. Di Cataldo), cercando di qualificare in termini aderenti all’operatività delle imprese il significato dell’espressione “pregi”, assimilabile non solo e riduttivamente a “entità materiali” ma a qualità dell’impresa e dunque a qualsiasi caratteristica dell’impresa stessa o dei relativi prodotti, tale da diventare motivo di preferenza del mercato

La decisione in esame esprime una lettura profonda e “di sostanza” della disciplina della concorrenza sleale, andando al cuore della stessa e ponendosi in linea con l’impostazione originaria, mediante la quale –attraverso l’espressa previsione inserita nella Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale – venne qualificato quale atto di concorrenza sleale ogni atto di concorrenza “contrario agli usi onesti in materia industriale o commerciale”.

Se è vero – come osservato (cfr. in particolare G. Ghidini) – che non ogni attività/iniziativa concorrenziale, pur caratterizzata da una carica offensiva, può configurare un’attività illecita, da quanto sopra deriva, pertanto, che devono essere oggetto di repressione tutti quei comportamenti lesivi dell’avviamento del concorrente, che si connotino come “professionalmente scorretti”, tra cui, certamente, rientra l’auto attribuirsi, contro la verità, qualità di determinati rivali e, più in generale, ogni e qualsiasi arbitrario incremento della reputazione, derivante da una non veritiera auto attribuzione di caratteristiche positive dei prodotti o dell’attività di concorrenti, tra cui vanno ricompresi anche i rapporti falsamente intrattenuti con la clientela altrui.