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Dal Regno alla Repubblica: il passaggio istituzionale nella Gazzetta Ufficiale

Festa della Repubblica
Festa della Repubblica

Il referendum

Con il referendum del 2 giugno 1946 gli Italiani scelsero la nuova forma istituzionale dello Stato: cessava di esistere il Regno d’Italia e nasceva la Repubblica italiana.

Il risultato fu proclamato dalla Corte suprema di Cassazione con due adunanze. La prima in seduta solenne riunita il 10 giugno 1946, alle ore 18, nella sala della Lupa del palazzo di Montecitorio, mentre il 18 giugno successivo fu dato conto dei voti contestati e di alcune decine di migliaia di voti di pochissime sezioni mancanti, le quali – per l’esito del referendum – sarebbero risultate del tutto ininfluenti.

 

La Gazzetta ufficiale

Tra le due date anzidette – 10 e 18 giugno 1946 – la Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia continuò le pubblicazioni, con una piccola curiosità diplomatistica e bibliografica.

Le uscite, infatti, recarono costantemente la data del 10 giugno 1946, anno 87°, n. 133, distinte unicamente dalla cautela di accompagnare il numero di repertorio con un sottonumero, da 1 a 7, con la precisazione del giorno effettivo di stampa (10-19 giugno).

Nel rigore editoriale, possiamo ipotizzare una sorta di attesa istituzionale, di cristallizzazione temporale dell’esito che sarebbe stato sancito di lì a poco dalla Suprema Corte, quasi un limbo prima del passaggio alla Repubblica.

Il 20 giugno 1946, infine, la testata uscì in edizione straordinaria, mutando la denominazione in Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, a tutt’oggi esistente. Ovviamente, fu lasciato cadere l’ormai superato stemma sabaudo, ma senza aggiungerne uno nuovo.

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Le due Gazzette affiancate nei depositi dell’Archivio di Stato di Venezia.
A sx il n. 133 – 7, ultimo del Regno, a dx il n. 134, primo della Repubblica

Infatti, lo stellone, così come gli italiani sono soliti chiamare affettuosamente l’emblema della Repubblica, sarà inserito due anni più tardi.

Ideato dal professore di ornato Paolo Paschetto – all’esito di due concorsi e non senza polemiche – fu approvato dal Decreto Legislativo 5 maggio 1948, n. 535, rigorosamente vistato da Alcide De Gasperi. Il decreto così recita all’articolo 1:

«L’emblema dello Stato, approvato dall’Assemblea Costituente con deliberazione del 31 gennaio 1948, è composto di una stella a cinque raggi di bianco, bordata di rosso, accollata agli assi di una ruota di acciaio dentata, tra due rami di olivo e di quercia, legati da un nastro di rosso, con la scritta di bianco in carattere capitale “Repubblica italiana”. La foggia dell’emblema è effigiata nelle tavole unite al presente decreto e firmate dal Presidente del Consiglio dei Ministri».

foto 2

Decreto legislativo 5 maggio 1948, n. 535 che approva l’emblema dello Stato creato dall’artista Paolo Paschetto e disegno allegato
Raccolta originale delle leggi e dei decreti

Il successivo articolo 3, inoltre, disponeva al primo paragrafo: «Gli stemmi ed i sigilli attualmente in uso verranno gradatamente sostituiti in conformità degli articoli precedenti».

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Così avvenne.

 

Un piccolo mistero, presto risolto, sulla numerazione

A questo punto risulta necessario chiarire un piccolo mistero sull’annata 87. Infatti, posto che il Regno d’Italia fu istituito nel 1861, il numero 87 non torna. È possibile che l’inizio abbia avuto un decorso dai plebisciti del 1860?

Sfogliando la Gazzetta del Regno, è possibile rilevare che fino al 30 giugno 1923 la testata uscì priva dell’indicazione dell’annata. Quest’ultima comparve soltanto dal 2 luglio 1923, “anno LXIV”.

Ma – ancora! – i conti non tornano: 1923 meno 64 più 1 fa ancora 1860. Difficile ipotizzare per il boiardo l’errore di 1 unità nel 1923. Qual è, dunque, la ragione precisa?

In realtà la Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia rappresentava la continuazione della Gazzetta piemontese, il giornale ufficiale del Regno di Sardegna, pubblicato, dopo il periodo napoleonico, con una seconda serie, dal 2 agosto 1814 al 3 gennaio 1860. Infatti, dal 4 gennaio 1860 mutò nome in Gazzetta ufficiale del Regno.

A questo punto, l’introduzione dell’annata in prima pagina a partire dal luglio 1923 trova fondamento giuridico (e diplomatistico) nel Regio Decreto 7 giugno 1923, n. 1252 (GU 16 giugno 1923, n. 141, pp. 4776-4777), «che dispone il passaggio della Gazzetta ufficiale del Regno dalla dipendenza del Ministero dell’interno a quella del Ministero della giustizia e degli affari di culto e detta le norme per la compilazione e la pubblicazione di essa».

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Il provvedimento non fa parola della menzione dell’annata, ma certamente l’innovazione deriva da questa riforma.

foto 3

Le due Gazzette del 30 giugno e del 2 luglio 1923 (il 1° luglio era domenica)

A questo punto, oggi nel 2020, siamo al 161° anno di pubblicazione e, dunque, allineati con il conteggio: 1860 anno 1°, 2020 anno 161°.

 

La numerazione d’annata e di repertorio

Esiste, infine, un ulteriore elemento di pregio, soprattutto in una lettura sotto la lente della diplomatica e dell’archivistica speciale. Di fronte al cambio epocale da Regno d’Italia a Repubblica italiana ci saremmo aspettati una nuova edizione della Gazzetta o, comunque, una nuova repertoriazione. In pratica, anno 1° e n. 1, come segno distintivo di un nuovo inizio istituzionale.

Invece, come nel passaggio dalla Gazzetta piemontese a quella della Gazzetta del Regno d’Italia, i redattori scelsero di non dar corso alla soluzione di continuità e, pertanto, proseguirono – con la ben nota vischiosità archivistica – con il medesimo anno di pubblicazione (87°), riprendendo la numerazione dal 134.

In una parola, sembra che la repertoriazione della Gazzetta, pur mutando gli elementi estrinseci, non abbia percepito – o scelto di non percepire – per la seconda volta la cesura istituzionale sotto il profilo sostanziale.

Il qual fatto agli archivisti è noto in molti altri e differenti contesti e in capo a diversi soggetti produttori, tanto nei repertori quanto nei registri di protocollo. Si tratta di una scelta latrice di riflessioni che esulano dall’ambito tecnico, per far riaffiorare il senso di continuità nella storia del Paese[1].

 

[1] La puntualizzazione tecnica risale alla Circolare n. 39/1966 del Ministero dell’interno (dal quale all’epoca dipendeva l’amministrazione archivistica), a proposito della periodizzazione, § I.1: «L’esperienza mostra che molto spesso serie continue di atti presentano date iniziali o terminali non corrispondenti alle consuete partizioni storiche. Al cambiamento della struttura dello Stato, o dell’ordinamento territoriale sovrano che comprende l’istituzione o l’ufficio, può infatti non corrispondere il cambiamento dell’ufficio stesso o del suo archivio, che mantiene spesso vecchie serie, vecchi registri, magari contrassegnati da numerazione continua, riferentisi per lo più alla stessa materia o ad altra simile. Ciò può avvenire quando al mutamento del regime non abbia fatto seguito il mutamento della istituzione o del suo archivio o quando non siano state emanate, o applicate immediatamente, nuove regole di archiviazione. Esempi tipici, negli archivi comunali, sono i registri delle deliberazioni del Consiglio, i bilanci e gli atti contabili, ecc.».