Il cavaliere della verità: vita ed esempi di san Tommaso d’Aquino
La giovinezza
Quando si parla di san Tommaso d’Aquino solitamente si fa riferimento alla grandezza del suo pensiero ed all’inimitabilità delle sue opere. Anche in questa rubrica abbiamo in generale seguito questa tendenza, presentando alcune opere del Dottore Angelico e proponendole alla lettura del cristiano contemporaneo. Se tuttavia è vero che non si diventa santi per la sapienza degli scritti, o meglio che non si trasmuta la scienza in sapienza senza santità di vita, allora l’Aquinate deve avere ben altro da dirci. Assunta questa prospettiva, proviamo a presentare brevemente la vita di questo grande santo cercando, al contempo, di sviscerarne l’esemplarità.
San Tommaso d’Aquino nacque attorno al 1226 a Roccasecca, una località sita nel Lazio meridionale. Suo padre, Landolfo, apparteneva ad un ramo secondario della potente famiglia d’Aquino, i cui possedimenti si trovavano a metà strada fra Roma e Napoli. La moglie, donna Teodora, nobile napoletana della famiglia Caracciolo, gli diede nove figli, cinque femmine e quattro maschi, fra cui Tommaso[1].
Nel 1231, come consuetudine all’epoca per i figli cadetti, Landolfo mandò il nostro nella potente e prestigiosa abbazia di Montecassino, allo scopo di studiare e di avviarlo alla carriera ecclesiastica; considerando la posizione del celebre monastero benedettino, oltre che i diritti feudali all’epoca legati al suo abate, non è escluso che i d’Aquino pensassero ad un’utilità politica della presenza di Tommaso nella famiglia benedettina.
Tuttavia nel 1239, a causa della turbolenta situazione politica, Tommaso lasciò il monastero e si diresse a Napoli, dove continuò gli studi al prestigioso Studium generale fondato, non molto tempo prima, da Federico II di Svevia. Fu qui che conobbe i frati Predicatori, due dei quali, allo scopo di custodire la loro chiesa, erano sfuggiti all’editto imperiale di espulsione dei Mendicanti[2].
Presumibilmente nel 1244 Tommaso vestì l’abito domenicano; a quel punto i frati, temendo che la famiglia gli impedisse di rimanere nell’Ordine, lo invitarono a partire da Napoli e a recarsi prima a Roma e poi a Bologna. Tuttavia, durante il viaggio, i fratelli di Tommaso, assieme ad alcuni importanti personaggi legati a Federico II, intercettarono i frati e condussero il giovane a Montesangiovanni, vicino a Roccasecca.
Lo scopo di un’azione così forte era non tanto di distoglierlo dalla vita religiosa, quanto di non permettergli di entrare nell’Ordine dei Predicatori. Questo infatti non solo era di recente fondazione, risalendo il suo riconoscimento al 1216, ma, in virtù della mendicità prevista dalle sue costituzioni, avrebbe impedito a Tommaso di ereditare e gestire il patrimonio di famiglia. Si trattava insomma della fine dei progetti politici legati a Montecassino.
Comunque, la prigionia del giovane, tutt’altro che crudele nella forma, durò appena un anno: donna Teodora, vedendolo fermo nella sua decisione, alla fine cedette e lo lasciò andare nel 1245. Appare plausibile che un tale mutamento d’opinioni corrispondesse ad un eguale mutamento politico: i d’Aquino, alleati di Federico II e quindi avversari di papa Innocenzo IV, vollero forse fare un gesto di buona volontà verso il pontefice dopo la pace stipulata fra lui e l’imperatore[3].
A Parigi…
Nei circa dieci anni che vanno dalla fine del 1245 al 1256 san Tommaso completò la sua formazione intellettuale. Seguendo il suo maestro, il domenicano sant’Alberto Magno, l’Aquinate andò da Parigi a Colonia e poi nuovamente a Parigi, dove terminò i suoi studi conseguendo la Licentia ubique docendi. Questo titolo, corrispondente all’incirca alla nostra laurea, attestava la preparazione filosofica e teologica di san Tommaso, riconoscendogli il diritto d’insegnare la sacra doctrina (cioè la teologia) in tutta la cristianità. Nonostante l’importanza di questo periodo della sua vita, non ci soffermeremo troppo su di esso[4]. Il lettore sappia che il santo costruì qui la sua eccezionale conoscenza filosofica, specie di Aristotele, e biblica, giungendo alla redazione di un’opera del calibro del suo Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo[5].
San Tommaso insegnò a Parigi come maestro in teologia in due periodi distinti della sua vita: fra il 1256 ed il 1259 e fra il 1268 ed il 1272. Il suo magistero consistette in tre specifici compiti: commentare la Sacra Scrittura, predicare, specificamente a studenti e docenti, e sostenere le dispute. Queste ultime potevano essere riservate ai suoi studenti, ad altri maestri o aperte al popolo e consistevano in una sorta di confronto intellettuale, fatto di tesi argomentate e risposte, che terminava con una sentenza magisteriale. Oltre ad avere l’evidente fine di consolidare nei giovani solide capacità argomentative, questa peculiare forma sarà la guida all’interno della quale si svilupperanno moltissime opere di san Tommaso. La struttura a “questioni”, anche laddove non c’era stato un previo effettivo dibattito, costituirà per lui un modo eccellente di organizzare e sviluppare il discorso[6].
… e poi in Italia
Nel 1259, abbandonando la vita accademica parigina, Tommaso rientrò in Italia. Nei nove anni successivi, fino a tutto il 1268, l’Aquinate si fece carico, nella penisola, di due mansioni richiestegli dai suoi superiori: lettore nel convento di Orvieto e maestro reggente di uno Studium personale a Roma. L’ufficio di lettore, che svolse fra il 1261 ed il 1265, consisteva, all’epoca, nel preparare corsi ed approfondimenti atti a consentire ai frati non direttamente impegnati nello studio accademico di consolidare le proprie conoscenze e la propria preparazione. Chi quindi, come Tommaso, aveva investito tempo e forze nella ricerca e nella crescita intellettuale, era chiamato ora a condividere i frutti dei propri sforzi con i confratelli altrimenti impegnati[7].
Sempre in quest’ottica di servizio, nell’autunno del 1265, ubbidendo alle ordinazioni del capitolo provinciale tenutosi a settembre ad Anagni, san Tommaso si recò a Roma, presso il convento di Santa Sabina, e qui diede vita ad un piccolo Studium interprovinciale. Le diverse provincie domenicane avrebbero mandato all’Aquinate i loro più promettenti studenti per una preparazione remota in vista di studi più avanzati. Si trattava quindi di una realtà ben più modesta di Parigi, centrata su di un unico maestro, ma che non per questo venne presa sottogamba dal santo.
Egli, resosi conto della disorganicità dell’insegnamento della teologia, fonte quindi di ripetizioni e lacune, decise di realizzare un’opera manualistica che disponesse in maniera ordinata e ragionata i singoli temi. Nacque così la Somma Teologica, la sua opera più nota, un testo pensato per l’insegnamento ed al quale si dedicò, pur senza completarlo, fino a che le forze lo sorressero[8].
Dopo il già citato secondo periodo d’insegnamento a Parigi, san Tommaso insegnò e predicò per un anno, fino al 1273, a Napoli, vicino alla sua terra natale. A questo periodo si devono le sue ultime opere o le parti conclusive di quelle precedentemente iniziate. Tuttavia, a questo punto, le forze lo abbandonarono. Lui che aveva seguito, per tutta la sua vita adulta, dei ritmi di studio e scrittura quasi sovrumani, oltretutto integrati con gli elementi essenziali della vita regolare dell’Ordine, improvvisamente cessò ogni attività. Anche se la tradizione vorrebbe attribuire questo mutamento ad una personale fase spirituale del santo, non è da escludersi anche una qualche difficoltà legata al suo stato di salute. Ciò sembra trovare conferma nella data della sua morte: il 7 marzo del 1274, mentre era in viaggio verso la Francia per partecipare al Concilio di Lione, morì nel monastero cistercense di Fossanova, dove era stato costretto a fermarsi[9].
Tommaso verrà canonizzato il 18 luglio del 1323 da papa Giovanni XXII e, il 15 aprile del 1567, san Pio V lo proclamerà “Dottore della Chiesa”[10].
Gli esempi del santo
Ora che abbiamo un’idea più chiara della vita di questo grande santo, proviamo a trarre dal suo esempio alcuni spunti di riflessione che possano sfociare in una sana imitazione.
Parliamo prima di tutto dello studio: si può dire, senza timore di essere contraddetti, che la maggior parte della vita di san Tommaso sia stata spesa nell’appassionata ricerca e trasmissione di quella Verità che è oggetto ultimo di ogni conoscenza, specie di quella teologica. Questo tipo di lavoro appare lontano dalla santità concreta e vissuta, tanto che quando pensiamo all’accademico, subito ci viene in mente un individuo freddo e distaccato, che conosce Dio con la stessa passione che un chimico mette nel suo esperimento. Non nego purtroppo che in alcuni casi questa sia una triste verità, tuttavia non è l’esempio che l’Aquinate ci ha lasciato.
La sua passione per la conoscenza, che cavallerescamente sfociava spesso in una sua fiera difesa, non era fine a se stessa, ma sempre orientata all’acquisizione della sapienza. Questa, nella fede, consentiva di tramutare l’arida nozione in una lode ed in una maggiore comprensione di quel Creatore che è Principio di ogni cosa. Uomini come Tommaso si facevano carico non solo dell’avventurosa cerca di questa cognizione superiore del cosmo, ma anche della sua trasmissione.
Anche dal poco che abbiamo detto sulla sua vita, appare evidente come l’Aquinate si sia speso per gli altri fino a consumarsi, lasciando una mole di scritti tale da non costituire, in un uomo come lui, un segno di vanità, ma la proporzione della sua carità.
Facendo un balzo in avanti di più di tre secoli, mi approprio di un testo di santa Teresa d’Avila, altro Dottore della Chiesa, la quale, nella sua umiltà, ben spiega questa forma di donazione attuata da san Tommaso osservandola dal punto di vista del ricevente: «Io lodo molto il Signore, […], per aver Egli voluto che ci fossero persone le quali, a costo di tante fatiche, sono riuscite ad acquistare la vera scienza che noi, ignoranti, ignoriamo. Ma fa spesso meraviglia il pensare che i dotti (specie i religiosi) hanno acquistato con tanta fatica ciò che ora, senza alcun’altra fatica che quella di domandare, riesce utile a me[11]».
Che san Tommaso fosse consapevole di questo pesante compito è, a mio parere, fuor di dubbio. Un uomo come lui possedeva certamente una ferma coscienza dell’alta missione che la Provvidenza gli aveva affidato; per questo la sua docilità risalta in modo ancora più splendido. Come abbiamo visto egli, quando gli fu chiesto, abbandonò senza remore le sedi del suo insegnamento e non esitò a dedicarsi anima e corpo ad uffici senza dubbio meno importanti. Oltre a ciò, la sua vita accademica, e molte sue opere lo dimostrano, fu ricca di una costante attenzione alle necessità intellettuali, piccole e grandi, manifestate dalle persone che lo circondavano.
Questi elementi ci consentono di vedere in Tommaso un individuo che, nonostante la sua grandezza, fu sempre capace di concepirsi come servo. Proprio come lo schiavo, per quanto mirabile sia il suo lavoro, non cessa mai di essere a disposizione delle diverse necessità del padrone, pur se più basse, così l’Aquinate comprese ogni suo ufficio per quello che era, ossia la momentanea richiesta di Dio. Conscio del fatto che neppure il suo lavoro era necessario all’Onnipotente, egli visse in piena libertà, lasciandosi davvero guidare dalla volontà del Signore.
Ecco che quindi noi, discepoli di Cristo o semplici cercatori della Verità, possiamo e dobbiamo imparare la lezione del Dottore Angelico, e vivere da un lato la vita cristiana come il costante approfondimento della conoscenza di un Salvatore che è liberazione e riscatto nostro e di molti; dall’altro dobbiamo rammentare ogni giorno a noi stessi la sola verità, ossia che siamo servi inutili la cui grandezza sta nell’umiltà del servizio.
[1] Cf. Jean-Pierre Torrell, Amico della verità. Vita e opere di Tommaso d’Aquino, terza ed. ampliata e rivista, ESD, Bologna 2017, pp. 28-32.
[2]Cf. ivi, pp. 37-44.
[3] Cf. ivi, pp. 41-43.
[4] Per approfondire cf. ivi, pp. 51-101.
[5] Quest’opera, completata nel 1256, era il commento composto dal candidato nell’anno trascorso sulle Sentenze di Pietro Lombardo, opera da alcuni decenni adottata a Parigi per l’insegnamento. Il gran numero di Commenti a tale scritto giunti fino a noi sono il frutto di una prassi accademica duratura. Il lettore che volesse confrontarsi con questo testo veda Tommaso d’Aquino, Commento alle sentenze di Pietro Lombardo (trad. Roberto Coggi), ESD, Bologna 2001-2002.
[6] Cf. Torrell, Amico della verità, pp. 107-158 e pp. 277-338. Qui il lettore troverà la trattazione delle opere dell’Aquinate frutto di questi anni di lavoro.
[7] Cf. ivi, 193-227.
[8] Per approfondire il periodo romano e la composizione della Somma Teologica, cf. ivi, pp. 228-276; per un’edizione moderna dell’opera il lettore può consultare Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, testo latino e nuova traduzione, ESD, Bologna 2014.
[9] Cf. Torrell, Amico della verità, pp. 374-444.
[10] Cf. ivi, pp. 477-489.
[11] Cf. Teresa d’Avila, Storia della mia vita (trad. Italo Alighiero Chiusano), San Paolo, Milano 2015, p. 158.