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Il vino nella letteratura: un racconto senza tempo

Riflesso
Ph. Anuar Arebi / Riflesso

Sono un lettore anomalo. Ho iniziato tardi a leggere. Quando andavo a scuola, in casa non c’erano libri, al massimo l’enciclopedia “Conoscere”, della quale, però, guardavo soprattutto le illustrazioni. Solo molti anni dopo, quando ho incontrato la compagna della mia vita, ho iniziato a leggere. È stata lei a farmi capire che in un libro ci sono molte vite da vivere e da condividere. Sono, comunque, rimasto un lettore lento, ma da allora ho letto un po’ di tutto, dalla storia dell’Islam, ai trattati medioevali di cucina, a “Del Furore d’aver libri” di Gaetano Volpi (che ho poi applicato disastrosamente nella gestione della mia cantina), forse per recuperare in parte il tempo perso. Da anni, però, leggo quasi esclusivamente letteratura gialla. Mi affascina. Mi piace provare emozioni che, spero, non proverò mai nella vita reale.

Anche se le citazioni del vino risalgono fino all’età classica, nella letteratura il vino non sembra avere un posto di particolare evidenza. Certo, nei libri non c’è spazio per, o forse è inutile, fare pubblicità. Ma sembra che gli scrittori abbiano una sorta di pudore nello scrivere di vino, quasi si trattasse di una debolezza inconfessabile.

Eppure la relazione tra l’uomo e il vino pare essere molto importante, quasi fondante, come attesta uno scritto che non è possibile attribuire, ma che dimostra chiaramente quale posto occupi questa bevanda nel cuore degli esseri umani:

“Dio ha creato l’acqua,
l’Uomo ha creato il vino
onoriamo l’acqua
e beviamo il Vino”

Già nell’antichità classica, Orazio, il poeta del Carpe Diem e del Nunc est Bibendum, riconosce il valore del vino e ne traccia addirittura un profilo territoriale, citando una denominazione di origine ante litteram, il Massico campano, molto apprezzata a quel tempo e che ancora oggi è in auge; il Falerno del Massico.

 

INNO AL VINO

“Anfora nata con me ai tempi del console Manlio,/ che tu porti lamenti o scherzi,/ litigi o amori insani,/ oppure un sonno pacifico, anfora sacra,/ a qualunque titolo fu scelto il Massico/ che tu conservi, degna d’essere aperta/ in un giorno felice, scendi: Corvino ordina/ di servire vini speciali./ Non sarà così cupo, per quanto marcio/ di dialoghi socratici, da disprezzarti:/ perfino la virtù di Catone, si dice,/ il vino la scaldava spesso./ Tu fai dolce violenza alle indoli/ più refrattarie, tu nella letizia/ del vino scopri gli affanni/ dei saggi e i segreti./ Tu ridoni speranza agli animi ansiosi,/ e forza al povero che dopo avere bevuto,/ non teme più le ire regali,/ e neanche le armi dei soldati./ Ti terranno con sé Bacco e, se vorrà giungere,/ Venere, e le Grazie restie a separarsi,/ e le vive lucerne, fin quando/ il ritorno del sole metterà in fuga le stelle.”

Anche la Persia ci regala perle di saggezza nelle parole del poeta e filosofo Omar Khayyam (1048-1131), che attribuisce al vino un valore di accompagnamento quotidiano e indispensabile della vita dell’uomo.

“Bevi vino, ché non sai donde sei venuto:
sii lieto, perché non sai dove anderai.”

“Non c’è nessuno che conosca il segreto del futuro.
Quello che vi serve è del vino, dell’amore e del riposo a piacere.”

Ma è Charles Baudelaire, ne I Fiori del Male, ad attribuire un valore taumaturgico alla bevanda divina, attribuendole il valore, alla pari della poesia, di strumento fondamentale nell’espletamento dell’atto creativo fondamentale: vivere!

 

IL VINO

È ora di ubriacarsi.
Ubriacatevi, per non essere gli schiavi martirizzati dal tempo.
Ubriacatevi in continuazione, di vino, di poesia, di virtù, come volete.”

In tempi più recenti, nel cuore del novecento, George Simenon, stabilisce una relazione solida tra il suo personaggio più famoso, il Commissario Maigret, e lo spirito divino. Simenon era un uomo metodico: si alzava presto e scriveva metodicamente per tutta la mattina, ogni giorno, così come, con assiduità si dedicava alla frequentazione dei bordelli e del vino. Beveva almeno due bottiglie di vino al giorno, così ci dicono le sue biografie. I vini di Bordeaux! Il Commissario Maigret sembra apprezzare un ventaglio più ampio di prodotti alcolici, ma il Vino Bianco della Loira lo accompagna nelle sue riflessioni, spesso sofferte, alla ricerca dei colpevoli. Senza dimenticare di apprezzare altri prodotti locali in occasioni delle sue trasferte, qua e la per le contrade di Francia; come quando si vede costretto a rifiutare uno Châteauneuf-du-Pape bianco per fare onore alla moglie, che lo vuole a dieta. Per gli amanti del genere, questa situazione è interpretata magistralmente da Gino Cervi in un episodio dei telefilm RAI sul soggetto.

Alla fine del novecento, è Manuel Vázquez Montalban, attraverso il suo personaggio principe, ancora una volta un investigatore, Pepe Carvalho a indicare nel piacere del vino e della buona tavola una fonte di conoscenza e di adesione alla vita che trascende il semplice atto dell’ingurgitare. Il vino e i liquori vengono spesso usati nei suoi romanzi come strumenti di persuasione o di corruzione, ma l’integrità del protagonista, sostenuta dal rispetto che ha per i prodotti che ama, gli impedisce di cedere alle lusinghe. Niente vale quanto una Grande Reserva della Rioja, della Ribera del Duero o di Chablis!

Il suo eponimo italiano, il Commissario Montalbano, del recentemente scomparso Andrea Camilleri, non ha un’attenzione altrettanto spiccata nei confronti del vino, ma conserva lo stesso atteggiamento intransigente nei confronti dell’alimentazione.

Sempre alla fine del novecento, un insospettato Daniel Pennac, guida il suo personaggio più noto, Benjamin Malaussène, nell’ultimo libro della saga a lui dedicata, in una incursione nel sud della Francia, a incontrare diversi vini e prodotti locali. Tra questi una strampalata Clairette de Die, un vino spumante di alta collina, fresco e asprigno, spesso arricchito da un po’ di Muscat per rendergli un po’ di dolcezza. Incastonato nelle avventure mirabolanti di questo personaggio involontariamente avventuroso, si tratta di un percorso, un omaggio, alla Francia dei mille comuni, delle piccole comunità rurali, capaci di scaturire altrettanti prodotti gastronomici quasi dimenticati.

Ma è indubbiamente Roald Dahl, scrittore Inglese di origini Norvegesi, famoso per i suoi libri per bambini, a restituirci un ritratto della borghesia britannica e del ruolo che il vino svolge all’interno di essa. Roald Dahl era un appassionato di vino, ancora una volta soprattutto del vino di Bordeaux, e alla sua morte, nel 1990, la vedova si è ritrovata a gestire una cantina di circa 30.000 bottiglie di cru bordolesi di grande valore. Nel racconto “Palato”, tratto dalla raccolta “Storie Impreviste” del 1979, ci narra di una cena in cui l’anfitrione fa di tutto per irretire l’ospite, un noto buongustaio un po’ pomposo, con piatti succulenti, accompagnati da un vino “mascherato”, che quest’ultimo dovrà tentare di svelare. Ma il gioco nasconde un sotterfugio.

L’esperto si sente tanto sicuro di indovinare il vino, da proporre al padrone di casa una scommessa, il cui premio sarà la mano della figlia. Una proposta decisamente assurda, accolta dalla famiglia con sdegno, ma che lo sfidante si sente di accettare perché immagina che, per quanto esperto, l’ospite non potrà mai avere la soluzione esatta dell’indovinello. E invece, questi, dopo svariate moine e circonlocuzioni, tanto per prendere tempo e aumentare il patos, scodella la risposta esatta: il vino è un Saint-Julien Château Branaire-Ducru del 1934! Sorpresa, sgomento, fin quasi terrore, negli occhi di tutti i partecipanti alla cena! Il vino è proprio quello! Il finale, esilarante, vede il nostro esperto alle prese con il padrone di casa, che ha scoperto il suo sotterfugio. Ma non voglio svelarvi di più, per non rubarvi il piacere della lettura.

Cosa non si fa per una bottiglia di vino… Cosa non si fa grazie a una bottiglia di vino!!!