x

x

Letture, riletture, considerazioni e digressioni

Scorci romani
Ph. Riccardo Radi / Scorci romani

Di recente il mio interesse è stato attirato da questa sentenza del Tribunale di Milano, di cui in appresso la massima:

Tribunale Milano - 17 febbraio 2021

È nullo il trust il cui disponente sia trustee e beneficiario, a nulla rilevando che egli successivamente (circa 2 anni e mezzo dopo l’istituzione) indichi un altro trustee e un altro beneficiario. Lo stesso trust non può ritenersi simulato sulla base dell’apodittica asserzione secondo cui il disponente ha mantenuto il potere di disporre dei beni in trust.

Nel caso in esame era stato l’attore a chiedere che venisse accertata la nullità degli atti, istitutivi e modificativi del trust, in origine denominato CARLO B. TRUST e poi IACOPO TRUST.

Il Tribunale ha ritenuto che la richiesta dovesse essere accolta “risultando condivisibile l’orientamento di legittimità e di merito che afferma la nullità dell’atto istitutivo di trust (ovvero la non riconoscibilità di tale atto nel nostro ordinamento in quanto non riconducibile alla disciplina di cui all’articolo 2 della Convenzione dell’Aja 1.7.1985 resa esecutiva in Italia dalla l. n.364/1989)” laddove manchi “nella sostanza un vero affidamento intersoggettivo dei beni” che il disponente ha inteso segregare: evenienza questa senz’altro verificatasi nel caso in esame, nel quale il convenuto B. ha istituito il trust CARLO B. figurando sia come disponente dei beni, sia come trustee degli stessi, sia, infine, come beneficiario”.

A conferma della propria decisione, la sentenza ha inteso richiamare alcuni passi di precedenti pronunce del Supremo Collegio:

“Quanto al trust nel quale i due disponenti hanno conferito le loro quote, nominando loro stessi trustee e nel contempo primi beneficiari, appare radicalmente nullo perché con abuso dello strumento contrattuale ed in violazione dell'articolo 2 della Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, resa esecutiva in Italia con L. 16 ottobre 1989 n. 364, entrata in vigore il 1 gennaio 1992, reca una integrale coincidenza tra i tre soggetti che sono parte di un trust. Al riguardo va rammentato che i tre centri di imputazione (disponente, trustee e beneficiario) non possono coincidere. Il trust, infatti, postula in capo al trustee una proprietà limitata nel suo esercizio in funzione della realizzazione del programma stabilito dal disponente del trust nell'atto istitutivo a vantaggio del o dei beneficiari. Se tutte tali figure coincidono, la proprietà del trustee in nulla differisce dalla proprietà piena e il trust, pertanto, è nullo con la conseguenza che tale nullità, ove pure non eccepita dalla parte che vi abbia interesse e non rilevata nei precedenti gradi può comunque essere d'ufficio rilevata nel giudizio di Cassazione.”

Fatte queste premesse e in accoglimento della domanda dell’attore – ribadisce il Tribunale – va dunque dichiarata la nullità dell’atto 30.11.2010 istitutivo del trust CARLO B. TRUST così come degli atti modificativi di tale trust del 22.5.2013 e del 29.5.2014, posti in essere, quello del 22.5.2013, dal B. quale trustee invalidamente istituito dal primo atto e, quello del 29.5.2014, in via di mera correzione materiale del secondo, come precisato dallo stesso convenuto G. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone: omissis 2. in accoglimento della domanda di cui al punto 4. delle conclusioni dell’attore sopra riportate, dichiara la nullità degli atti istitutivi e modificativi di trust del 30.11.2010, del 22.5.2013 e del 29.5.2014.

Devo dire che, letta la sentenza nella sua integrità – assolutamente condivisibile nelle conclusioni secondo cui non può esservi diritto di cittadinanza per quel trust in cui coincidano disponente trustee e beneficiari – non si possa che rilevare come ancora una volta la categoria della nullità venga evocata, a mio sommesso parere, in modo improprio secondo una tendenza che era già tipica delle corti milanesi in tema di trust liquidatorio, ritenuto impropriamente nullo ove non avesse previsto la devoluzione di beni al curatore in caso di sopraggiunto fallimento, e sul quale Cass.n.10105 del 2004 sembrava aver finalmente messo un punto fermo.

Il primo assunto è pacifico: laddove le tre figure coincidano manca l’affidamento fiduciario che è l’essenza del trust e pertanto il trust non è neppure venuto ad esistenza per mancanza di un presupposto essenziale, ma non è nullo.

Secondo il 1482 codice civile,

Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente

Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa, l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346.

Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge.

Nell’esaminare la norma in oggetto la dottrina parlando di nullità individua alcune ipotesi:

  • una nullità testuale in presenza dell’espressa comminatoria di nullità contenuta in una norma di legge;
  • una nullità strutturali in caso di mancanza o di vizio di uno degli elementi essenziali del negozio;
  • una nullità per contrarietà a norme imperative, anche in mancanza di una specifica norma che la commini.

Quindi quello che risulta è che, nel caso in esame il giudice appare aver valutato la fattispecie alla stregua dei canoni ermeneutici propri del diritto interno individuando nell’articolo 2 della Convenzione dell’Aja la norma la cui violazione avrebbe indotto la nullità del trust una volta preso atto che nel caso in esame difetterebbe “quell’affidamento intersoggettivo dei beni che il disponente ha inteso segregare”.

Ma qui è il punto: il giudice applica il diritto interno a una fattispecie che deve essere valutata secondo il diritto straniero richiamato nell’atto (non sappiamo se inglese o di Jersey, ma paradossalmente poco importa, stante la sostanziale omogeneità, sotto questo profilo, delle normative dei due paesi), perché ciò che rileva è che in questi casi il trust è void secondo la legge straniera, il che non vuol dire nullo, ma inesistente dal momento che non si è realizzata la fattispecie costituitiva di quell’istituto. È lo stesso accade quando manchi una delle tre certezze: il trust non è nullo, ma semplicemente non è neppure venuto a esistenza.

Peraltro le ulteriori conclusioni dei giudici milanesi appaiono condivisibili circa le conseguenze che si producono sugli atti intercorsi successivamente alla istituzione del primo trust attraverso i quali il disponente aveva modificato l’atto costitutivo del trust, variando la persona del trustee e quella dei beneficiari, nonché mutando la denominazione del trust, e conferito alcuni immobili nel trust. Vero è che anche in questo caso si parla di nullità laddove forse si sarebbe potuto parlare di inesistenza o di inefficacia, degli atti successivamente intercorsi. In questo caso, indipendentemente dalla tesi che si vuol sostenere, nullità o inesistenza, le conclusioni non differiscono perché la nullità opera ex tunc e quindi tutti gli atti successivi alla data in cui interviene la declaratoria di nullità sono travolti da tale accertamento e, d’altra parte se una fattispecie non è venuta e esistenza tanto meno potranno produrre effetto situazioni che a questo mancato presupposto si riconnettono.

Ora il concetto di nullità e di annullabilità non trovano la loro speculare rispondenza nella common law.

Nel diritto anglosassone si parla, di norma, di void o voidable act per far riferimento a un atto nullo, ma più spesso solo annullabile. Sovente poi si usa anche il termine unenforceable. Tali concetti non sono tuttavia pedissequamente interscambiabili fra i due ordinamenti anche perché le cause che determinano l’effetto non sono le medesime.

Quindi, concludendo sul punto, la situazione verificatasi, e di cui è stata interessata la Corte milanese, sarebbe stata sanzionata senza dubbio anche applicando il diritto straniero, in quanto in presenza di un atto (o di atti) void, ma come tali non nulli, ma inesistenti.

Lasciamo volutamente da parte l’altro termine, che impropriamente viene talora associato alla nullità, intendo dire sham, che riguarda tutt’altra fattispecie, e che attiene, se vogliamo trovare un’analogia, più propriamente alla categoria della simulazione pur avvertendo che, anche in questo caso, i due concetti non sono fra loro sovrapponibili. Infatti, secondo la definizione dell’Oxford Dictionary of law, un trust sham è “un trust istituito per mettere al riparo i propri beni dai creditori nel caso di fallimento o di insolvenza. In questi casi infatti manca l’intenzione di dar vita a un trust (che ricordiamo è una delle tre certezze che sono richieste) ed è chiaro che si è di fronte a una sorta di meccanismo assicurativo che quindi dev’essere considerato sham”. (Midland Bank v Wyatt [1995]). Se questa definizione avvicina il concetto di sham alla inesistenza del trust, secondo una delle più citate definizioni di sham, che si legge in Snook v London and West Riding Investments Ltd [1967] 2 QB 786, e più diffusamente Hitch v Stone [2001] EWCA Civ 63, sham indica quegli atti posti in essere o quei documenti, redatti fra le parti dell’accordo sham, cioè simulato, attraverso i quali le parti intendono dare ai terzi o al giudice l’impressione di aver dato vita fra loro a situazioni giuridiche o ad obbligazioni diverse da quelle che le parti hanno inteso effettivamente creare. E comunque il trust non diventa sham fino a che disponente e trustee non si siano accordati nel senso per cui le intese fra loro intervenute devono essere diverse da ciò che risulta dall’atto di trust.

Semmai è interessante rilevare una diversità che si rileva fra l’ipotesi del trust che non è venuto a esistenza e che quindi non potrà neppure diventare in seguito centro di riferimento di negozi o di atti di qualsiasi tipo, e il trust sham. La natura di un trust si determina infatti al momento in cui questo viene posto in essere. Un trust che inizialmente non venga a esistenza come sham non può poi divenire tale a meno che tutti i beneficiari non si accordino col trustee a tal fine. D’altra parte un trust che sia inizialmente sham può perdere nel tempo questa caratteristica. Infatti, dal momento in cui un nuovo trustee assume il suo incarico e laddove eserciti i suoi poteri e adempia ai suoi doveri in linea con quanto previsto dall’atto istitutivo, quel trust non può esser considerato sham indipendentemente dal fatto che possa esserlo stato all’inizio.

Infatti mentre la situazione del trust che non è mai venuto a esistenza o che sia stato successivamente dichiarato nullo, non può in alcun modo essere sanata a posteriori (quod nullum est nullum producit effectum) nello sham trust, se il vizio non è rilevato al momento opportuno, la possibilità di annullare il trust in parola può decadere perché nel frattempo possono essere sorte situazioni che hanno fatto sì che il trust in parola non sia più sham.