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Molestie - Cassazione Penale: è violenza sessuale l’atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, indipendentemente dal fine perseguito dall’agente

Molestie - Cassazione Penale: è violenza sessuale l’atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, indipendentemente dal fine perseguito dall’agente
Molestie - Cassazione Penale: è violenza sessuale l’atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, indipendentemente dal fine perseguito dall’agente

La Corte di Cassazione ha stabilito che integra il reato di violenza sessuale la condotta lesiva e invasiva della sfera sessuale della persona offesa non consenziente, a nulla rilevando l’assenza di un interesse sessuale o il perseguimento di fini ulteriori da parte dell’agente.

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, la Corte territoriale condannava l’imputato, già assolto dal giudice di primo grado, in ordine al reato di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis del Codice Penale, per aver costretto, con violenza e abuso di autorità (essendo superiore in servizio rispetto alla vittima) una collega, carabiniere in servizio presso la medesima Stazione CC, a subire atti sessuali, “consistiti nel prenderla alle spalle, cingendole i fianchi con le mani, toccarle il seno, dandole baci sulla testa, ed attaccandosi al corpo della vittima, costretta a piegarsi in avanti”, alla pena di anni uno, mesi uno e giorni dieci di reclusione, oltre al risarcimento del danno cagionato.

L’imputato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo un vizio di motivazione della sentenza impugnata, avendo riformato la pronuncia di primo grado, rivalutando le fonti di prova senza la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in violazione dell’articolo 533 del Codice di Procedura Penale e dell’articolo 6 CEDU; a giudizio del ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe violato la regola della c.d. motivazione rafforzata in caso di riforma di sentenza di assoluzione.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza in quanto vertente su questioni precluse al giudice di legittimità.

Ciononostante, ha rilevato l’incensurabilità della sentenza impugnata sul piano motivazionale, avendo il giudice di secondo grado correttamente ricondotto l’episodio descritto nel capo d’imputazione nella fattispecie tipica del reato di violenza sessuale.

La serie di atti posti in essere dall’agente, per i quali il giudice di prime cure aveva escluso la natura sessuale in virtù di un’interpretazione atomistica e manifestamente illogica, nonché avulsa dal tessuto probatorio, tradivano l’interesse sessuale dell’agente sin dal primo contatto fisico con la persona offesa, avvenuto attraverso “la presa dei fianchi della donna con le mani e con l’adesione del corpo al proprio, trattandosi di condotta che implicava il coinvolgimento della corporeità della ragazza, costretta a subire un’invasione della sua sfera più intima”.

Ritenendo integrato “l’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, sicché non è necessario che detto atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri dell’agente né rilevano possibili fini ulteriori – di concupiscenza, di gioco, di mera violenza fisica o di umiliazione morale – dal medesimo perseguiti”, il giudice di legittimità ha ritenuto corretta la valutazione giuridica del fatto operata dalla Corte territoriale.

Sulla c.d. “motivazione rafforzata” della sentenza riformatrice

Quanto alla asserita mancanza di una “motivazione rafforzata”, ossia di una “motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati”, necessaria al fine di rendere esente la sentenza riformatrice di una precedente pronuncia assolutoria da un vizio di motivazione, come evidenziato da una granitica giurisprudenza delle Sezioni Unite (Sezioni Unite, n. 45276 del 30/10/2003; Andreotti, Sezioni Unite, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino), la Corte di Cassazione ha ritenuto incensurabile la decisione di merito, per aver “la sentenza impugnata, nel riformare la pronuncia assolutoria di primo grado, condivisibilmente confutato le ragioni poste a fondamento della stessa, dimostrando l’insostenibilità della valutazione parcellizzata dei singoli atti (presa per i fianchi, abbraccio, baci sulla testa e toccamento del seno) costituenti la complessiva condotta abusante, e l’erroneità dell’interpretazione che ne escludeva, in alcuni casi, la natura sessuale (i baci), e, in altri, la volontarietà”.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 4 ottobre 2016, n. 41469)

La Corte di Cassazione ha stabilito che integra il reato di violenza sessuale la condotta lesiva e invasiva della sfera sessuale della persona offesa non consenziente, a nulla rilevando l’assenza di un interesse sessuale o il perseguimento di fini ulteriori da parte dell’agente.

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, la Corte territoriale condannava l’imputato, già assolto dal giudice di primo grado, in ordine al reato di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis del Codice Penale, per aver costretto, con violenza e abuso di autorità (essendo superiore in servizio rispetto alla vittima) una collega, carabiniere in servizio presso la medesima Stazione CC, a subire atti sessuali, “consistiti nel prenderla alle spalle, cingendole i fianchi con le mani, toccarle il seno, dandole baci sulla testa, ed attaccandosi al corpo della vittima, costretta a piegarsi in avanti”, alla pena di anni uno, mesi uno e giorni dieci di reclusione, oltre al risarcimento del danno cagionato.

L’imputato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo un vizio di motivazione della sentenza impugnata, avendo riformato la pronuncia di primo grado, rivalutando le fonti di prova senza la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, in violazione dell’articolo 533 del Codice di Procedura Penale e dell’articolo 6 CEDU; a giudizio del ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe violato la regola della c.d. motivazione rafforzata in caso di riforma di sentenza di assoluzione.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per manifesta infondatezza in quanto vertente su questioni precluse al giudice di legittimità.

Ciononostante, ha rilevato l’incensurabilità della sentenza impugnata sul piano motivazionale, avendo il giudice di secondo grado correttamente ricondotto l’episodio descritto nel capo d’imputazione nella fattispecie tipica del reato di violenza sessuale.

La serie di atti posti in essere dall’agente, per i quali il giudice di prime cure aveva escluso la natura sessuale in virtù di un’interpretazione atomistica e manifestamente illogica, nonché avulsa dal tessuto probatorio, tradivano l’interesse sessuale dell’agente sin dal primo contatto fisico con la persona offesa, avvenuto attraverso “la presa dei fianchi della donna con le mani e con l’adesione del corpo al proprio, trattandosi di condotta che implicava il coinvolgimento della corporeità della ragazza, costretta a subire un’invasione della sua sfera più intima”.

Ritenendo integrato “l’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, sicché non è necessario che detto atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri dell’agente né rilevano possibili fini ulteriori – di concupiscenza, di gioco, di mera violenza fisica o di umiliazione morale – dal medesimo perseguiti”, il giudice di legittimità ha ritenuto corretta la valutazione giuridica del fatto operata dalla Corte territoriale.

Sulla c.d. “motivazione rafforzata” della sentenza riformatrice

Quanto alla asserita mancanza di una “motivazione rafforzata”, ossia di una “motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati”, necessaria al fine di rendere esente la sentenza riformatrice di una precedente pronuncia assolutoria da un vizio di motivazione, come evidenziato da una granitica giurisprudenza delle Sezioni Unite (Sezioni Unite, n. 45276 del 30/10/2003; Andreotti, Sezioni Unite, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino), la Corte di Cassazione ha ritenuto incensurabile la decisione di merito, per aver “la sentenza impugnata, nel riformare la pronuncia assolutoria di primo grado, condivisibilmente confutato le ragioni poste a fondamento della stessa, dimostrando l’insostenibilità della valutazione parcellizzata dei singoli atti (presa per i fianchi, abbraccio, baci sulla testa e toccamento del seno) costituenti la complessiva condotta abusante, e l’erroneità dell’interpretazione che ne escludeva, in alcuni casi, la natura sessuale (i baci), e, in altri, la volontarietà”.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 4 ottobre 2016, n. 41469)