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Ne bis in idem e diritti umani

Nota a Corte costituzionale, sentenza n. 149/2022 (udienza del 10 maggio 2022)
ne bis idem
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Premessa

La Consulta definisce con sempre maggiore efficacia e limpidezza concettuale i limiti oltre i quali non può spingersi la pretesa punitiva statuale nel bilanciamento con i diritti umani sollecitati dai procedimenti penali.

L’occasione di chiarimento è stata offerta dal tribunale di Verona che ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., «nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato, al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo non legato a quello penale da un legame materiale e temporale sufficientemente stretto, una sanzione avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dei relativi protocolli», in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

 

La sequenza argomentativa della Consulta

Già nella parte destinata alla confutazione delle eccezioni preliminari poste dall’Avvocatura generale dello Stato la sentenza n. 149 ha compiuto un importante lavoro definitorio.

La Corte ha così riconosciuto che il diritto al ne bis in idem sancito dall’art. 4 del Protocollo 7 CEDU ha come scopo primario la tutela degli individui dalle sofferenze e dai costi di un nuovo procedimento penale intentato per il medesimo fatto già oggetto di un precedente procedimento concluso in via definitiva.

Ne deriva che la semplice pendenza del secondo procedimento (a prescindere dal suo esito), in difetto del requisito della stretta connessione sostanziale e temporale tra i due procedimenti, basta ad attivare quella tutela.

Ha ugualmente riconosciuto, concordemente alla comune prospettiva indicata dall’Avvocatura e dalla Difesa dell’imputato,

l’applicabilità diretta dell’art. 50 CDFUE (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) e quindi la possibilità per il giudice a quo di disapplicare egli stesso in tutto o in parte le norme da cui dipende il trattamento sanzionatorio

per il delitto oggetto del giudizio di sua competenza nella misura necessaria ad assicurare la proporzionalità della sanzione complessiva da irrogare all’imputato.

Ha avuto tuttavia cura di precisare che, contrariamente all’eccezione sollevata dall’Avvocatura, la diretta applicabilità del citato art. 50 non rende inammissibile la questione e non può di conseguenza impedire la verifica di costituzionalità chiesta dal giudice rimettente. Ciò perché

spetta sempre alla Corte dare una risposta alle questioni che denuncino un contrasto tra una disposizione di legge nazionale e i diritti riconosciuti dalla CDFUE,

posto che il ricorso alla Consulta che stimoli l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità è un rimedio che, senza sostituire la disapplicazione nel caso concreto, le si affianca componendo così un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo.

Nelle successive parti della motivazione la Corte si è confrontata col cuore della questione, giudicandola fondata. È tornata sulla natura del ne bis in idem, non solo per associarlo alle garanzie costituzionali del diritto alla difesa e del giusto processo ma anche per qualificarlo come diritto fondamentale della persona.

Ne ha precisato i presupposti: un idem factum (cioè un medesimo fatto materiale), una previa decisione irrevocabile, un bis cioè un secondo procedimento penale per l’idem factum.

Occorre poi che tra i due procedimenti non vi sia la «connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta» (Corte EDU, sentenza A e B, paragrafo 130) perché se invece ci fosse i procedimenti medesimi rappresenterebbero una risposta coerente e sostanzialmente unitaria al medesimo illecito e il divieto di bis in idem non sarebbe violato.

Questa connessione, sempre in accordo alla sentenza A e B (paragrafo 132), è ravvisabile: se i diversi procedimenti perseguano scopi complementari e pertanto concernano diversi aspetti del comportamento illecito in questione; se la duplicità di procedimenti in conseguenza della stessa condotta sia prevedibile, in astratto e in concreto; se i due procedimenti siano condotti in modo da evitare, nella misura del possibile, ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione delle prove; se siano previsti meccanismi che consentano, nel secondo procedimento, di tenere in considerazione la sanzione eventualmente già inflitta nel primo procedimento, in modo da evitare che l’interessato sia sottoposto a un trattamento sanzionatorio complessivo eccessivamente gravoso.

Ancora: la probabilità della violazione del bis in idem è direttamente proporzionale al quantum di stigmatizzazione proprio del nucleo duro del diritto penale:  maggiore è lo stigma di tipo penale connaturale ad un procedimento formalmente amministrativo, più alta è la probabilità della violazione (sentenza A e B, paragrafo 133).  

Infine: la violazione ricorre ugualmente se la pur presente connessione sia sostanziale ma non cronologica poiché chi subisce il procedimento è assoggettato a un’ingiustificatamente protratta situazione di incertezza circa la propria sorte (sentenza A e B, paragrafo 134).

Date queste coordinate, nella sentenza della Corte si osserva che la disciplina della L. 633/1941 in materia di tutela del diritto d’autore prevede un doppio binario sanzionatorio costituito dagli artt. 171-ter (sanzioni penali) e 174-bis (sanzioni amministrative).

Le due disposizioni sanzionano le medesime condotte materiali e si cumulano tra loro e sono costruite in modo da rendere fisiologico il bis.

La Consulta non ha avuto dubbi sulla natura punitiva delle sanzioni amministrative di cui si parla, avendo ritenuto sufficiente a tal fine l’elevata entità della sanzione pecuniaria prevista (pari al doppio del prezzo di mercato dell’opera o del supporto oggetto della violazione, moltiplicato per il numero di esemplari abusivamente duplicati o replicati, in modo da infliggere al trasgressore un sacrificio economico superiore al profitto ricavato dall’illecito).

Ha escluso che i due procedimenti perseguano scopi complementari o concernano diversi aspetti del comportamento illecito ed ha osservato l’assenza di un meccanismo che consenta al giudice penale (o all’autorità amministrativa in caso di formazione anticipata del giudicato penale) di tenere conto della sanzione già irrogata ai fini della commisurazione della pena, in modo da evitare che una medesima condotta sia punita in modo sproporzionato.

È quindi un doppio binario pensato e strutturato in modo da infliggere un danno rilevante a scopi deterrenti e senza alcuna possibilità di graduazione proporzionale.

L’unico rimedio possibile è dunque di intervenire sull’art. 649 cod. proc. pen. nella direzione proposta dal giudice a quo, dichiarandolo costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della legge n. 633 del 1941 che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174-bis della medesima legge.

Esaurito il suo compito primario, la Corte si è detta consapevole di non poter risolvere con la sua decisione l’intera gamma delle violazioni del divieto di bis in idem rese astrattamente possibili dalla L. 633/1941 e di non potere neanche restituire razionalità complessiva ad un sistema che abbonda di doppi binari e non si cura granché delle loro conseguenze negative nella sfera giuridica dei destinatari.

Ha quindi invitato il legislatore a farsi carico del problema «in modo da assicurare un adeguato coordinamento tra le sue previsioni procedimentali e sanzionatorie, nel quadro di un’auspicabile rimeditazione complessiva dei vigenti sistemi di doppio binario sanzionatorio alla luce dei principi enunciati dalla Corte EDU, dalla Corte di giustizia e da questa stessa Corte».

Sì, c’è davvero bisogno che il legislatore rimediti e se poi questo nuovo pensiero andasse nel senso di una robusta riduzione dei doppi e tripli binari ci sarebbe da essere contenti.