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Pedopornografia - CEDU: se non ci sono ragioni di urgenza prima di “aprire” il pc le forze dell’ordine devono attendere l’autorizzazione del Giudice

Pedopornografia - CEDU: se non ci sono ragioni di urgenza prima di “aprire” il pc le forze dell’ordine devono attendere l’autorizzazione del Giudice
Pedopornografia - CEDU: se non ci sono ragioni di urgenza prima di “aprire” il pc le forze dell’ordine devono attendere l’autorizzazione del Giudice

Un’altra sentenza della Corte di Giustizia (CGE) è di recente sopraggiunta a sottolineare il valore, sempre maggiore, che la tutela della privacy ha assunto nell’ordinamento dell’Unione europea.

La Cedu accoglie il ricorso di un uomo, Trabajo Rueda, il cui personal computer è stato analizzato dalla polizia senza un ordine preventivo del giudice in base alla denuncia di un tecnico informatico riguardo alla presenza sul portatile di un ampio quantitativo di materiale pedopornografico.

 

Il caso

Trabajo Rueda porta il suo computer al tecnico di fiducia il quale, nell’aprirlo, rimane sconcertato nel trovare nell’hard disk 96 gigabyte di foto e video pedopornografici, messi a disposizione degli altri utenti tramite la piattaforma Emule, secondo il sistema di condivisione peer to peer.

Il tecnico consegna immediatamente il computer alla polizia, denunciandone il contenuto. Il pc è così in detenzione delle autorità, al sicuro da qualsiasi tipo di manomissione dato che non era nemmeno connesso a Internet. Nonostante ciò la polizia spagnola non attende l’autorizzazione giudiziaria per il controllo computer, ed effettua l’accesso, rinvenendo il materiale denunciato. Il 20 dicembre 2007 Trabajo Rueda viene arrestato, e nel maggio seguente riceve dall’audencia Provincial di Siviglia la condanna a quattro anni di reclusione, per detenzione e diffusione di immagini pedopornografiche.

Trabajo Rueda ritiene violata la sua privacy e fa ricorso, prima in appello poi in amparo presso la Corte Costituzionale. In entrambi i casi il ricorso viene respinto.

La Corte Costituzionale spagnola ritiene giustificato l’accesso della Policìa al computer in base a due ragioni: in primis, il Rueda non aveva protetto il computer con alcuna password e tale omissione, secondo la Corte Costituzionale, costituiva chiara indicazione del fatto che il soggetto non avesse intenzione di stabilire limiti all’accesso al computer ed ai file in esso contenuti. Inoltre, il programma Emule era installato sul pc del Rueda in maniera tale che l’intero archivio dell’hard disk fosse a disposizione di qualsiasi altro utente della piattaforma/applicazione.

La pronuncia della CEDU

L’articolo 8 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, titolato “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”, stabilisce che ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e della corrispondenza e che, nell’esercizio di tale diritto, non può esservi ingerenza di una autorità pubblica a meno che sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria, in una società democratica, al perseguimento della sicurezza nazionale e pubblica, alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o dei diritti e delle libertà altrui.

È in forza di questo l’articolo che il 15 maggio 2012 Trabajo Rueda si appella alla Corte europea dei Diritti dell’uomo, chiedendo un risarcimento allo Stato spagnolo per i danni morali subiti.

Il 30 maggio di quest’anno la Corte di Strasburgo accoglie il ricorso rilevando che l’accesso ai file dell’uomo, per come è avvenuto, costituisce una violazione al suo diritto alla vita privata e alla corrispondenza, ed è per questo ingiustificabile.

Sia la legge che la giurisprudenza costituzionale spagnola indicano infatti che, per eseguire tale genere di accesso, è necessaria la preventiva autorizzazione di un giudice, tranne quando ricorra una situazione di emergenza: in tal caso il controllo giudiziale potrà anche sopraggiungere in seguito, senza che le prove raccolte diventino illegittime.

Ma nel caso in esame alla Corte (ad esclusione del giudice Dedov, che si dichiara dissenziente) appare lampante che i rischi rispetto a una possibile sparizione dei files fossero pressoché inesistenti, in quanto il computer era in possesso delle autorità e non connesso ad internet. L’urgenza non sussiste, pertanto l’analisi del computer compiuta dalla polizia – senza la preventiva autorizzazione di un giudice – è sproporzionata rispetto agli scopi legittimi perseguiti.

Conclusioni

La CEDU si è trovata nella posizione di valutare se il diritto alla privacy dovesse godere della sua massima estensione anche in presenza di condotte integranti il reato di pedopornografia, definito in questa sentenza come “abominevole” dalla CEDU stessa, e la sua risposta è stata positiva.

La pronuncia ci porta a trarre le seguenti conclusioni: proprio per la gravità di reati di questo genere, chi ha la responsabilità della raccolta delle prove deve svolgere il compito con scrupoloso rispetto delle regole, affinché le prove risultino utilizzabili all’interno del processo.

Per visualizzare il testo della sentenza (in francese) clicca qui.  

(Corte europea diritti dell’uomo - Sezione Terza, Sentenza 30 maggio 2017, n. 32600/12)