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Peste e lazzaretti. La politica sanitaria della Serenissima

peste e lazzaretti
peste e lazzaretti

Venezia – sia per la sua posizione geografica sia anche per la capacità imprenditoriale del suo ceto dirigente – è sin dalle origini un naturale, affollato crocevia di uomini e merci, punto di incontro tra il Nord e il Sud del mondo allora conosciuto. Pertanto, si trova a dover far fronte sin dal Medioevo ai problemi connessi alle epidemie e ai contagi.

A questi problemi la Serenissima risponde impostando in modo organizzato ed efficiente la macchina statale in termini di:

prevenzione e controllo sulla popolazione;

misure per arginare/contenere la diffusione del contagio e circoscriverlo nel territorio;

creazione di luoghi isolati dove ricoverare gli ammalati;

norme, divieti e prescrizioni per tenere sotto controllo il transito di uomini, merci e mezzi di trasporto, per terra e per mare.

Le risposte che Venezia elabora nel corso della storia sono conservate in un luogo antico, il convento francescano di Santa Maria dei Frari, sede dell’Archivio di Stato di Venezia, custode di un patrimonio documentario secolare.

Qui si conservano le carte di una magistratura istituita ad hoc, dapprima in modalità occasionale e temporanea, poi stabile dal gennaio 1486 fino alla fine della Serenissima: sono i Provveditori alla sanità, che troviamo citati per la prima volta in occasione della peste nera del 1348, quella di Boccaccio per intenderci.

Spetta a loro predisporre piani di azione organici in relazione all’emergenza con poteri amplissimi anche in materia penale: come

richiamare i medici fuggiti per paura del contagio, e così pure gli impiegati addetti ai pubblici uffici, compresi i notai,

vietare gli “assembramenti” (le feste di popolo e le processioni nelle ricorrenze religiose),

occuparsi delle sepolture in luoghi lontani e separati dalla città,

attuare blocchi di uomini e mercanzie per via di terra e di mare.

 

Primo aspetto: la normativa

Avere a disposizione una fonte normativa univoca e regole di comportamento chiare, anche e soprattutto quando l’epidemia è in corso, è un obiettivo primario.

È compito dunque dei Provveditori alla sanità far trascrivere in appositi registri in pergamena, chiamati Capitolari, dalle pagine iniziali riccamente miniate, il corpus delle leggi in materia, norme statuite e varate per secoli, nel corso dell’attività ordinaria o anche straordinaria, dagli organi sovrani, Maggior Consiglio e Senato – per intenderci i vari DPCM di questi mesi – e darvi puntuale applicazione.

 

Secondo aspetto: la prevenzione

In questo quadro d’interventi si colloca anche la prevenzione: quali siano le modalità poste in atto, lo attesta un’altra fonte archivistica, unica per continuità e sistematicità nel panorama documentario europeo: i Necrologi di sanità.

Giorno dopo giorno, a partire dal 1537, questi registri danno conto – parrocchia per parrocchia – di ogni decesso avvenuto in città, compresi, più tardi, anche turchi ed ebrei. Di ognuno si indica non solo l’identità e l’età, ma anche e soprattutto la residenza o domicilio, e la causa di morte.

Così leggiamo che la terribile epidemia del 1575-76 arriva a causare 50.726 decessi e che in un solo terribile giorno, il 3 agosto 1576, si registrano, ad opera del personale sanitario preposto, 260 morti in città.

 

La tutela dal ‘mal contagioso’ basata sull’isolamento

lazzaretto

Portale al Lazzaretto

Venezia fu il primo stato al mondo a prevedere non solo l’isolamento dei malati di peste conclamata bensì anche la quarantena preventiva di quanti si sospettava potessero essere ‘portatori asintomatici’ del mal contagioso.

Pur essendo ignoti i meccanismi di trasmissione – individuati solo nel tardo ‘800 – s’intuiva che esso potesse essere importato nella Capitale tramite la via d’accesso più consueta, quella marittima. Lo chiarisce il decreto approvato dal Senato nell’agosto 1423: constatato che “civitas nostra Venetiarum quasi omni anno inficiatur pestifero morbo” e che le ricorrenti epidemie erano favorite dal “concursum personarum forinsecarum venientium Venetias de terris et locis pestiferatis”, era stata infatti disposta la costruzione di un hospitale sul lido di San Nicolò, dotato di medici e personale d’assistenza adeguati.

Esaminate varie ipotesi, venne di lì a breve prescelta l’isola di Santa Maria di Nazareth, a poche decine di metri dal litorale, a metà strada fra le bocche portuali di San Nicolò e di Malamocco che collegavano la laguna al mare; gli edifici del piccolo insediamento eremitano dedicato alla Vergine, oramai in abbandono o sottoutilizzato, nel volgere di pochi anni vennero riadattati per le nuove funzioni anche grazie a consistenti lasciti di privati.

Vigeva infatti l’obbligo in capo ai notai – deliberato dal Maggior consiglio nel 1431 – di chiedere espressamente a quanti predisponevano l’ultima loro volontà un contributo ‘pro Nazaretum’, come veniva chiamato si presume per corruzione del toponimo preesistente o per ‘contaminazione’ con il vicino insediamento insulare dedicato a San Lazzaro, protettore dei lebbrosi e dei malati contagiosi in genere.

Sullo scorcio di quel secolo un “inventario di robe di Nazareto”, oltre alle dotazioni sacre e delle cucine, elenca ben 209 letti, consentendoci d’intuire la capacità ricettiva dell’ospitale, che tenderà ad assumere il nome di Lazzaretto vecchio per distinguerlo dalla nuova struttura di contumacia deliberata nel 1468.

creazione del Lazzaretto, 18 luglio 1468

Creazione del Lazzaretto, 18 luglio 1468

Preso atto dei benefici ottenuti grazie al locus Nazaret nel preservare Venezia dalle ricorrenti pestilenze, ma sospettando che quanti vi uscivano sanati avrebbero potuto diffondere il contagio nella Capitale, il Veneto Senato aveva infatti deliberato in quell’anno la costruzione, sull’isola della Vigna murada nei pressi del litorale di Sant’Erasmo, di un locumad quem se reducere habeant illi qui discedent sanati a Nazaret, stando ibi diebus quadraginta prius quam huc redeant”.

La struttura di quarantena presto assumerà il nome di Lazzaretto nuovo, destinato in primis alla contumacia preventiva per gli equipaggi, le mercanzie e le milizie provenienti via mare dai focolai endemici del Levante o delle coste nordafricane.

Francesco Sansovino, diretto testimone della grande pestilenza del 1576, lo ricorda dotato di “cento camere et con una vigna serrata”: l’impianto originario del lazzaretto era infatti costituito da dozzine di “monolocali” a schiera addossati lungo i quattro lati dell’antico muro di cinta, ciascuno dotato di ingresso, focolare e servizi autonomi, integrati nei periodi d’emergenza con baracche allestite all’esterno della cinta muraria e con imbarcazioni alla fonda nei canali contermini: una vera e propria “città galleggiante” in grado di garantire ricetto – e rigido isolamento – a miriadi di malati e di “sospetti di mal contagioso” com’era stato, appunto, nel 1576.

Nel corso dell’Ottocento le autorità sanitarie opteranno per lo sviluppo di una nuova struttura di ‘sanità marittima’, che verrà definitivamente realizzata sull’isola di Poveglia e i due lazzaretti verranno destinati a depositi militari fino agli anni Settanta del secolo scorso.

Isolato esempio nell’ancora vasto arcipelago d’isole abbandonate, il Lazzaretto nuovo dalla metà degli anni Ottanta è tornato a nuova vita grazie all’ormai pluridecennale impegno della sezione veneziana dell’Archeoclub d’Italia, che ha saputo garantire tutela e custodia alle sue peculiari strutture storiche, fra le quali due splendidi torresìni da polvere del tardo XVI secolo – tipologie ormai uniche nel loro genere in àmbito lagunare – e l’imponente tezón grando edificato nel 1562: un manufatto lungo 100 metri e largo 20, anch’esso unico nel suo genere grazie alle migliaia di scritte, monogrammi mercantili e disegni tracciati per secoli sugl’intonaci interni dai guardiani e bastàzi addetti alla movimentazione delle merci in quarantena.

Databili fra la seconda metà del ’500 e l’ultimo scorcio del secolo successivo, queste testimonianze di rilevante interesse demo-etnologico, uniche al mondo, sono giunte fino a noi grazie ad un provvidenziale strato di calce con il quale vennero ricoperte e agli interventi di restauro edilizio condotti negli anni Novanta dalla locale Soprintendenza: restauri estesi in anni più recenti anche al Lazzaretto vecchio, garantendo la tutela fisica anche di quelle antiche strutture di contumacia che tuttavia – in difetto di una custodia continuativa e di nuovi permanenti utilizzi – iniziavano oramai ad essere oggetto di furti e vandalismi fino al provvidenziale affido in custodia dell’isola, ancora una volta, al benemerito Archeoclub d’Italia.

Il recente concreto interessamento del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, che prevede consistenti finanziamenti per insediarvi il Museo nazionale archeologico della laguna, consente di guardare con ottimismo al destino dei due antichi Lazzaretti, testimonianza preziosa e irripetibile per la storia globale della sanità.

 

Per vedere il video YouTube dell’Archivio di Stato di Venezia:

Pezzi unici, n. 4

www.lazzarettiveneziani.it

Pezzi unici