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Prostituzione: per la Cassazione solo un libero affare

Il sindaco non può fare nulla per fermarla
prostituzione
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Con la sentenza n. 4927 del 2022 la Corte di Cassazione ha analizzato il tema della prostituzione e ha condannato la condotta dell’Amministrazione Comunale che aveva multato con 500 euro gli automobilisti che si erano fermati per far salire le lucciole. La prostituzione viene qualificata come condotta rientrante nella libera iniziativa economica. Nonostante la prostituzione sia contraria al buon costume, la Suprema Corte ha deciso di attribuirle tutela Costituzionale.

 

La Cassazione si pronuncia sulla prostituzione

La Suprema Corte di Cassazione ha analizzato il tema della prostituzione e con la sentenza n. 4927 del 2022 ha posto un orientamento innovativo in materia di iniziativa economica.

La prostituzione è sempre stata valutata come quella condotta contraria al principio del buon costume. Tuttavia, la Cassazione con una pronuncia “sconvolgente” ricollega la prostituzione alla libera iniziativa economica, riconosciuta e tutelata dall’art. 41 della Costituzione.

Si tratta davvero di una pronuncia sconvolgente, in quanto apre le porte a possibili attività del legislatore in materia di prostituzione.

La sentenza ha ritenuto illegittimo il provvedimento del Sindaco, il quale aveva multato gli automobilisti che si erano fermati per far salire nell’autovettura le lucciole, imponendo il pagamento di una somma pari a 500 euro.

Il provvedimento del Sindaco riguardava l’intero territorio comunale ed era in contrasto con la normativa primaria riservata allo Stato.

Soltanto la legge può ostacolare o limitare l’attività non illecita. Questo significa che il sindaco non è legittimato a determinare o limitare attività che per loro natura non sono illecite, ma soltanto contrare a quel principio generale posto alla base della società: il buon costume.

 

Prostituzione: cosa fa il sindaco?

L’ente proprietario delle strade è colui che deve garantire la sicurezza e l’ordine nei luoghi di sua proprietà.

Pur se è evidente che il provvedimento della multa sia funzionale a combattere l’attività di prostituzione, esso viene presentato come necessario per sanzionare la condotta degli automobilisti che avevano posto in essere l’intralcio alla circolazione stradale.

Cosa risponde la Cassazione a tale affermazione?

"Non risponde alla finalità di regolamentare la circolazione stradale degli autoveicoli, onde evitare gli intralci alla circolazione mediante l'eventuale imposizione del divieto di fermata degli stessi in una determinata strada o zona l'ordinanza sindacale con la quale si vieta la fermata dei veicoli su tutto il territorio comunale se effettuata al fine di contattare prestazioni sessuali a pagamento".

Difendere i beni demaniali, esercitare il diritto di proprietà in modo pieno ed esclusivo, garantire l’ordine pubblico: sono queste le motivazioni indicate dinanzi al giudice per legittimare il provvedimento dell’Amministrazione Comunale.

 Il comune non ha indicato la condanna della prostituzione come fine del provvedimento, bensì ha richiamato principi e norme del codice civile.

 

Prostituzione: cosa dice la Cassazione sul potere del Sindaco?

La Suprema Corte di Cassazione evidenzia che il sindaco ha il potere di emanare provvedimenti contingibili ed urgenti per prevenire gravi pericoli alla sicurezza urbana e all’incolumità pubblica. Il sindaco è tenuto al rispetto del Testo Unico degli enti locali.

Esiste una deroga alle norme primarie, ma essa vale soltanto per i provvedimenti limitati nel tempo.

L’ordinanza valutata dalla Corte di Cassazione aveva ad oggetto l’intero territorio comunale ed era privo del “limite del tempo”.

Inoltre, l’ordinanza non perseguiva le finalità di regolamentazione della circolazione stradale, ma aveva, secondo la Corte di Cassazione, lo scopo di combattere la prostituzione.

Si parla dunque di eccesso di potere da parte del Primo Cittadino.

Infatti, nella pronuncia si legge che questa è "un'ordinanza viziata da eccesso di potere", perché "il Comune non ha il potere di bloccare un'attività che non può considerarsi illecita, adducendo che si vuole tutelare la sicurezza del cittadino, in quanto si deborderebbe in una competenza esclusiva dello Stato a cui gli Enti locali non possono sostituirsi".

La Cassazione afferma che "l'attività di meretricio non è illecita e, anzi, rientra nelle attività economiche, per cui non può essere vietato l'esercizio se non attraverso una normativa statale".

Si pone il rinvio all’art. 117 della Costituzione, ove si attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato l’ordine pubblico e la sicurezza, escludendo la polizia amministrativa locale .

È evidente il richiamo alla pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Infatti nella causa C- 268/99 del 20.11.2001 i giudici europei hanno affermato che l'attività di meretricio non sia illecita ma anzi rientri "nelle attività economiche, per cui non può esserne vietato l'esercizio se non attraverso una normativa statale".

 

La prostituzione e il buon costume

Il buon costume è un principio di derivazione romanistica e corrisponde ai “boni mores”. Esso è un principio fondamentale poiché è alla base della società attuale, così come era alla base della vita e dell’ordinamento degli antichi romani.

Il principio del buon costume ha una valenza consuetudinaria. Si parla talvolta di morale giuridica, ossia di principio posto alla base del diritto dell’individuo, uomo e cittadino.          Tale principio, spesso richiamato nelle sentenze della giurisprudenza, è una scatola ampia, in quanto può essere utilizzato in molteplici situazioni.

Nel caso di specie, la prostituzione lede il buon costume. La vendita del proprio corpo e la commercializzazione della propria sessualità costituiscono la violazione di valori etico- morali. Tali valori etico – morali sono percepiti dalla società come un bene giuridicamente tutelato.

Se la libertà sessuale è espressione del principio di autodeterminazione dell’individuo, medesima cosa non può essere detta per la prostituzione.

L’accento posto dalla corte di Cassazione è in relazione al concetto di libertà nell’iniziativa economica; tuttavia, la domanda da porsi è: perché non ha considerato anche la violazione di questo principio non scritto?