Prudenza

Prudenza, Piero Pollaio
Prudenza, Piero Pollaio

Nell’Iconologia di Cesare Ripa è rappresentata come una figura femminile che tiene in mano uno specchio, in cui si riflette il suo volto; la medesima rappresentazione compare in un affresco di epoca rinascimentale di Piero del Pollaiolo: è la Prudenza.

Virtù cardinale, la prudenza ha un ruolo strategico: è detta auriga virtutum, cioè cocchiere di tutte le altre virtù. L’etimo rinvia a una tradizione sapienziale e a dinamiche di discernimento. Essere prudenti significa anzitutto comprendere per scegliere.

Perché mai, nell’allegoria della Prudenza, compare lo specchio? E cosa ha voluto comunicare Piero del Pollaiolo mettendo in mano alla Prudenza un serpente?

Nello specchio la Prudenza contempla se stessa, non già per autocompiacimento, come nel mito di Narciso, bensì nella prospettiva filosofica del nosce te ipsum: la prima e fondamentale forma di conoscenza. Di derivazione veterotestamentaria (Sapienza, 7, 26), lo specchio simboleggia la luce di conoscenza: «La sapienza... è uno splendido riverbero della luce eterna, specchio puro dell’attività di Dio, immagine della sua bontà». Dal Vangelo di Matteo (10, 16) giunge la spiegazione del ruolo del serpente raffigurato dal Pollaiolo: «Ecco io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate adunque prudenti come serpenti e semplici come colombe».

Il serpente, antico simbolo del Tempo, ricorda che la prudenza è figlia del Tempo (Chronos) e dell’esperienza. Conoscenza ed esperienza sono dunque i requisiti essenziali per l’esercizio della prudenza. Lo ricorda Tiziano, proponendo una allegoria della Prudenza nelle forme di un uomo a tre teste, le quali rappresentano il passato, il presente e il futuro.

Essere prudenti richiede, dunque, consapevolezza cognitiva ed esperienziale del mondo circostante e autoconsapevolezza delle proprie capacità di agire, di scegliere, di prevedere ed evitare, nei limiti del possibile, gli eventi.

Essere prudenti è un atteggiamento mentale, una disposizione dell’animo mai disgiunti dal coraggio. Spesso scambiata per timorosità o codardia, la prudenza è invece espressione di scelte che muovono dalla consapevolezza del senso del limite e dal dovere morale di rispettare la vita e il benessere altrui. L’imprudenza, infatti, non solo espone a pericolo chi la pratica ma mette a rischio una cerchia indeterminata di persone.

In ambito lavorativo essere prudenti può avere diversi significati e altrettanto diverse proiezioni di comportamento. Prudenza implica anzitutto prendere e, in qualche caso, «pretendere» il tempo adeguato (Kairos) per maturare una decisione saggia; richiede di abbandonare impulsività, malanimo o desiderio di rivalsa, capaci di suscitare reazioni a cortocircuito, di legittimare azzardi, di indurre a ripicche o a prese di posizione dettate dal puntiglio.

Agire con prudenza vuol dire minimizzare prevedibili rischi, esercitando la consapevolezza che condotte micro-offensive ma diffuse e reiterate nel tempo possono provocare danni incalcolabili. Significa saper tacere ma anche saper scegliere il momento opportuno per parlare. Può rivelarsi, infatti, imprudente chi tace per convenienza, chi si accoda ad altri per quieto vivere, chi non decide, chi è indifferente per disamore. È facile prevedere che i danni di tali imprudenze, forse poco percepite ma concrete e produttive di effetti, non tarderanno a verificarsi e susciteranno inevitabilmente sorpresa, disappunto e recriminazioni.

Letta in tale prospettiva, la Prudenza ci appare come sorella del Coraggio. Quello specchio in cui, nell’allegoria di Ripa, apparentemente contempla se stessa, ma che offre anche la possibilità di guardarsi le spalle, diventa improvvisamente più ampio. Esso riflette la dimensione del sapere, la consapevolezza degli effetti che i comportamenti di ciascuno producono sugli altri e sul mondo circostante. Non sono soltanto le nostre capacità a dire chi siamo ma anche e soprattutto le nostre scelte, che possono risparmiarci parole vane o inopportune, silenzi di convenienza, comportamenti inutilmente rischiosi, indifferenza dettata dall’egocentrismo.

Pensiamo dunque la prudenza come un’alleata e non come un limite di cui sbarazzarci. Essere prudenti significa, in definitiva, porsi in un’ottica di cura, come suggeriscono anche la dimensione valoriale e i metodi della giustizia riparativa, intesa qui come way of life: cura di noi stessi, degli altri, delle relazioni interpersonali, incluse quelle lavorative, della cultura, delle tradizioni, dell’ambiente. Una cura olistica che dovrebbe indurre ad operare, in ogni campo, in modo etico e sostenibile. La prudenza non impone solo di astenersi dal fare qualcosa ma implica, inaspettatamente, il coraggio di pensiero e di parola, la capacità di andare, se necessario, controcorrente e di parlare con ragionevole parresia.