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Software - Cassazione Penale: è penalmente perseguibile chi presta assistenza informatica e installa programmi contraffatti

Software - Cassazione Penale: è penalmente perseguibile chi presta assistenza informatica e installa programmi contraffatti
Software - Cassazione Penale: è penalmente perseguibile chi presta assistenza informatica e installa programmi contraffatti

La Corte di Cassazione ha recentemente affermato che integra il reato di cui all’articolo 171-bis, comma primo, della Legge 22 aprile 1941, n. 633 (“Legge sul diritto d’autore”) la condotta del soggetto che, esercitando professionalmente attività di assistenza informatica, installi sugli apparecchi dei propri clienti programmi contraffatti.

Il caso oggetto di giudizio

L’imputato proponeva istanza di revoca della sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari (“GIP”) del Tribunale di Firenze. Il GIP dichiarava, con ordinanza, inammissibile l’istanza proposta.

Avverso quest’ultima decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando vizio di motivazione e violazione di legge, ritenendo che i fatti contestati, risalenti al 2008, dovessero ritenersi penalmente irrilevanti alla luce della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 8 novembre 2007, Schwibbert, che aveva sancito l’obbligo di disapplicare le norme che avessero come elemento costitutivo la mancata applicazione del contrassegno SIAE; ragion per cui, l’obbligo di apposizione del contrassegno doveva ritenersi efficace soltanto in seguito al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009, n. 31, con il quale veniva notificata la disciplina dei contrassegni alla Commissione Europea.

La decisione della Suprema Corte

I giudici di legittimità hanno ritenuto, nel solco della giurisprudenza europea in materia di diritto d’autore e, in particolare, della sentenza Schwibbert, che qualora si contesti la violazione di fattispecie penali contemplanti quale elemento costitutivo tipico l’assenza del contrassegno SIAE per condotte successive all’emanazione della direttiva CE n. 189 del 1983 e precedenti al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009, n. 31, si debba concludere per la non sussistenza penale del fatto, ma solo se ad essere contestata è esclusivamente l’assenza del contrassegno; diversamente, qualora si contesti l’abusiva riproduzione o duplicazione di opere tutelate dal diritto d’autore, detta sentenza non trova applicazione.

Come più specificamente precisato dalla Corte, il disvalore penale permane per l’illecita duplicazione o riproduzione di supporti ovvero la detenzione di tali supporti a fini commerciali, secondo quanto previsto dalla disposizione incriminatrice.

Conclusivamente, la Corte di Cassazione, annullando l’ordinanza impugnata per questioni di forma, ha affermato che “la detenzione di programmi per elaboratore elettronico abusivamente duplicati dagli originali da parte di soggetto esercente professionalmente l’attività di assistenza in campo informatico può integrare il reato previsto dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171-bis, comma 1, poiché la finalità di commercio della detenzione medesima non deve essere valutata esclusivamente con riguardo alla vendita diretta dei programmi, ma anche all’installazione dei medesimi sugli apparecchi affidati in assistenza e, più in generale, alla loro utilizzazione in favore dei clienti”.

Detto principio era già stato affermato dalla stessa Corte in una precedente pronuncia (sentenza 9 gennaio 2014, n. 6988), nella quale aveva ritenuto, ai fini della configurabilità del reato, la detenzione di supporti abusivamente duplicati e privi del contrassegno SIAE in epoca precedente all’entrata in vigore del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009, n. 31, come penalmente rilevante se ascrivibile ai detentori anche la condotta di duplicazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 29 dicembre 2016, n. 55107)

La Corte di Cassazione ha recentemente affermato che integra il reato di cui all’articolo 171-bis, comma primo, della Legge 22 aprile 1941, n. 633 (“Legge sul diritto d’autore”) la condotta del soggetto che, esercitando professionalmente attività di assistenza informatica, installi sugli apparecchi dei propri clienti programmi contraffatti.

Il caso oggetto di giudizio

L’imputato proponeva istanza di revoca della sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari (“GIP”) del Tribunale di Firenze. Il GIP dichiarava, con ordinanza, inammissibile l’istanza proposta.

Avverso quest’ultima decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando vizio di motivazione e violazione di legge, ritenendo che i fatti contestati, risalenti al 2008, dovessero ritenersi penalmente irrilevanti alla luce della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 8 novembre 2007, Schwibbert, che aveva sancito l’obbligo di disapplicare le norme che avessero come elemento costitutivo la mancata applicazione del contrassegno SIAE; ragion per cui, l’obbligo di apposizione del contrassegno doveva ritenersi efficace soltanto in seguito al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009, n. 31, con il quale veniva notificata la disciplina dei contrassegni alla Commissione Europea.

La decisione della Suprema Corte

I giudici di legittimità hanno ritenuto, nel solco della giurisprudenza europea in materia di diritto d’autore e, in particolare, della sentenza Schwibbert, che qualora si contesti la violazione di fattispecie penali contemplanti quale elemento costitutivo tipico l’assenza del contrassegno SIAE per condotte successive all’emanazione della direttiva CE n. 189 del 1983 e precedenti al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009, n. 31, si debba concludere per la non sussistenza penale del fatto, ma solo se ad essere contestata è esclusivamente l’assenza del contrassegno; diversamente, qualora si contesti l’abusiva riproduzione o duplicazione di opere tutelate dal diritto d’autore, detta sentenza non trova applicazione.

Come più specificamente precisato dalla Corte, il disvalore penale permane per l’illecita duplicazione o riproduzione di supporti ovvero la detenzione di tali supporti a fini commerciali, secondo quanto previsto dalla disposizione incriminatrice.

Conclusivamente, la Corte di Cassazione, annullando l’ordinanza impugnata per questioni di forma, ha affermato che “la detenzione di programmi per elaboratore elettronico abusivamente duplicati dagli originali da parte di soggetto esercente professionalmente l’attività di assistenza in campo informatico può integrare il reato previsto dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171-bis, comma 1, poiché la finalità di commercio della detenzione medesima non deve essere valutata esclusivamente con riguardo alla vendita diretta dei programmi, ma anche all’installazione dei medesimi sugli apparecchi affidati in assistenza e, più in generale, alla loro utilizzazione in favore dei clienti”.

Detto principio era già stato affermato dalla stessa Corte in una precedente pronuncia (sentenza 9 gennaio 2014, n. 6988), nella quale aveva ritenuto, ai fini della configurabilità del reato, la detenzione di supporti abusivamente duplicati e privi del contrassegno SIAE in epoca precedente all’entrata in vigore del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 febbraio 2009, n. 31, come penalmente rilevante se ascrivibile ai detentori anche la condotta di duplicazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 29 dicembre 2016, n. 55107)