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Tragedia di Varese: è successo ancora...

omicidio di Varese
omicidio di Varese

Ancora una volta ci troviamo a fare i conti con quella che, comunemente e con terminologia quanto mai abusata, si può definite una “tragedia annunciata”: una tragedia che si sarebbe potuta e dovuta evitare, se solo le Istituzioni – nelle sue articolazioni – fossero state più accorte e attente nella valutazione normative e giurisprudenziali del soggetto omicida.

Ancora una volta, superficialità, valutazioni – di una leggerezza disarmante – sono diventate pesanti fattori favorenti la commissione di un crimine efferato. Il grande Cicerone avrebbe detto: “Usque tandem?”.

Veniamo ai fatti.

In provincia di Varese, un soggetto violento, tossicodipendente cocainomane, dal temperamento aggressivo ed incline a frequenti accessi d’ira, gravato da precedenti penali e con un recente tentato omicidio alle spalle (per una banale lite con un collega di lavoro) ha ucciso a coltellate il figlioletto e tentato di uccidere anche la moglie.

Al di là della tragica efferatezza del crimine che lascia sgomenti, ciò che sconcerta ancora di più è che l’omicida – nonostante la sua personalità estremamente aggressiva e violenta con un recente tentato omicidio alle spalle – anziché essere ristretto in carcere fosse agli arresti domiciliari in compagnia della famiglia, già teatro di suoi maltrattamenti! È tragicamente assurdo.

In ogni caso è quanto mai opportuno procedere a una disamina di tipo criminologico dei fatti delittuosi avvenuti, abbinata a un’elaborazione del profilo del soggetto omicida.

Delitti efferati come questi vengono sussunti nella tipologia criminologica dei mass murderer (stragisti) appartenenti ad una sottocategoria definita family (vale a dire stragisti di tipo familiare). Volendo approfondire ulteriormente il loro inquadramento nello scibile criminologico, si può affermare che possono essere incasellati nel sottotipo dei soggetti tossicomani aggressivi.

Questi soggetti rivolgono la loro esplosione di ira e di aggressività anche e non solo nei confronti del loro nucleo familiare, sterminandolo o comunque cercando di farlo.

Come nel delitto in provincia di Varese.

Dal punto di vista del profilo criminologico del soggetto omicida, si tratta di individui inclini alla violenza per struttura personologica con ripetuti accessi di ira (spesso affetti da un disturbo della personalità definito “disturbo esplosivo intermittente”, caratterizzato da ripetuti episodi di furore di tipo alloplastico, cioè rivolti verso gli altri). Naturalmente, il già complesso, severo e criminogeno quadro della personalità aggressiva di questi soggetti è reso ancora più grave ed incandescente dalla tossicodipendenza dalla cocaina, sostanza che stimola l’aggressività e la potenzia in soggetti già di per sé propensi ad essa.

In linea generale, tali tipologie di crimini vengono definiti dal comune uomo della strada “crimini dovuti ad un raptus”. Tuttavia, tale terminologia è da evitare in questi contesti, dal momento che è pericolosamente fuorviante.

Infatti, se per raptus si intende un momento di discontrollo patologico legato a fattori che sopprimono o compromettono pesantemente la capacità di intendere e di volere del soggetto omicida, la definizione è estremamente errata. Ciò, nel caso in esame, è dimostrato lapalissianamente dalla lucidità dell’azione post-delictum del collocamento del corpo del bambino in un armadio, per ritardarne la scoperta. Se, invece, si intende per raptus una frattura nel continuum esistenziale di un soggetto, con esplosione di violenza, ma con conservate capacità di fondo di comprensione e di discernimento, solo allora la definizione può essere centrata.

Esaurita questa breve esposizione di taglio tipologico e in riferimento al profilo criminologico del soggetto agente, si deve procedere a una riflessione in termini di politica criminale e di applicazione della legge in generale.

Infatti, com’è noto, in Italia a partire principalmente dalla pietra miliare della cosiddetta “Legge Gozzini” del 1986 ha prevalso un’impostazione ordinamentale, in termini di legislazione criminale molto più mite ed intrisa di momenti applicativi di istituti normativi di tipo rieducativo e riabilitativo ad oltranza, orientati ad una sempre meno frequente carcerizzazione (vista giustamente come extrema ratio) con innumerevoli aperture verso l’esterno per i detenuti. Conseguentemente si è assistito al proliferare di permessi-premio, di misure alternative al carcere, di detenzione domiciliare e in generale di (a tratti eccessivo) favor rei.

Naturalmente, tutto questo ordito giuridico, fortemente innovativo nonché estremamente dirompente, il linea generale è stato ben accetto. I nuovi istituti premiali hanno reso più umano il trattamento dei detenuti ed hanno quasi eliminato gli odiosi episodi delle rivolte carcerarie.

Tuttavia, se questo si è dimostrato valido per i grandi numeri, ha prodotto dei pesanti e finache nefandi riverberi distonici in alcuni casi specifici. Come appunto quello della tragedia di Varese.

Infatti, non bisogna essere dei fini giureconsulti per rendersi conto della pesante anomalia (per usare un eufemismo) che un soggetto violento, pluripregiudicato, cocainomane, con trascorsi di maltrattamenti in famiglia e con un recente tentato omicidio fosse a casa sua per trascorrere il Natale. Quando, peraltro, si era già dimostrato inadatto alla convivenza familiare e si sarebbe dovuto trovare lontano dalla stessa, visto che paradossalmente il contesto acuiva il suo potenziale criminogeno.

Adesso, more solito, si assisterà al tragico scaricabile fra vari settori delle Istituzioni con avvilente addebito di responsabilità fra operatori del diritto da un lato – che incolpano le leggi troppo permissive – e legislatori dall’altro – che difendono le loro scelte ed addebitano la responsabilità a chi è stato inadeguato nelle sue valutazioni. Non servirà a nulla, come sempre.

Sullo sfondo, il cadavere di un piccolo corpicino soppresso dalla furia omicida bestiale di un “non padre” in una giornata di inizio anno, lasciato in un armadio come un oggetto posto in ripostiglio.