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Ammissibilità delle dichiarazioni rese da terzi

Corte di Cassazione, ordinanza 16 maggio 2019, n. 13174
Dichiarazioni rese da terzi
Dichiarazioni rese da terzi

Abstract

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 13174 del 16 maggio 2019, è tornata a occuparsi del valore probatorio delle dichiarazioni sostitutive rese da terzi nell'ambito del processo tributario. E’ stato nuovamente chiarito che al contribuente, al pari dell’Amministrazione finanziaria, è consentito introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni e tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi.

 

Indice

1. Le dichiarazioni di terzi nel processo tributario

2. Corte di cassazione, ordinanza 16 maggio 2019, n. 13174

 

1. Le dichiarazioni di terzi nel processo tributario

La questione in esame, quanto mai rilevante e interessante, è quella relativa alla ammissibilità nel processo tributario delle dichiarazioni rese dai terzi, stante la previsione di cui all’articolo 7 del D.Lgs. n. 546/92 che, al comma 4, espressamente prevede: “Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale”. Tale addentellato normativo esclude, infatti, la prova testimoniale dall’ambito delle prove ammesse, sottolineando così il carattere scritto e documentale del processo tributario.

In tale contesto, si insinua il dubbio relativo alla possibilità di ammettere o meno nel processo tributario le dichiarazioni rese da terzi a Uffici e GDF durante la fase ispettiva.

In sostanza, alla luce del divieto della prova testimoniale, si discute circa la possibilità di vietare anche l’utilizzo delle dichiarazioni rese dai terzi in sede extraprocessuale; ciò è stato correlato al fatto che stante il divieto di cui all’articolo7 del D.lgs 546/92, il terzo non può essere chiamato a testimoniare su quanto sostenuto durante la fase dell’accertamento e la sua credibilità non può essere vagliata con l’esame orale.

Invero, il problema dell’utilizzabilità in sede processuale delle dichiarazioni dei terzi acquisite durante una procedura d’accertamento, della loro efficacia probatoria e, per di più, di quale strumento si può avvalere il contribuente al fine di contestarne il contenuto, sono ormai oggetto di costante contrasto giurisprudenziale.

Più nel dettaglio, sul punto la giurisprudenza di merito e di legittimità non è univoca: c’è, da una parte, chi ritiene che l’inutilizzabilità di predette dichiarazioni non escluda che esse, al pari delle testimonianze raccolte in altri processi, possano essere prese in considerazione dal giudice tributario, attribuendole valenza orientativo-propulsiva, per la ricerca di fatti rilevanti per la determinazione del presupposto d’imposta; dall’altra parte, chi sostiene, al contrario, che le dichiarazione dei terzi hanno sempre una certa efficacia probatoria, anche se hanno una connotazione indiziaria e possono costituire argomenti di prova per contribuire alla formazione del convincimento del giudice.

 

2. Corte di cassazione, ordinanza 16 maggio 2019, n. 13174

In merito all’ammissibilità delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario, occorre rilevare che, per giurisprudenza ormai costante della Corte di Cassazione, il divieto di prova testimoniale, sancito dall’articolo 7 del D.Lgs. n. 546/92, deve essere riferito soltanto alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio, con la conseguenza che è consentito ai giudici, ai fini della decisione, di utilizzare le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice (Cass. n. 9080 del 7/4/2017; Cass. n. 8639 del 5/4/2013; Cass. n. 5746 del 10/3/2010; Cass. n. 18065 del 14 settembre 2016; Cass. n. 5018 del 2015; Cass. 14 maggio 2010, n. 11785; conformi Cass. 20028/11 e 8987/13).

Ebbene, in tal senso si è espressa anche la Suprema Corte, Sez. tributaria, con l’ordinanza 16 maggio 2019, n. 13174.

Nel caso oggetto della presente pronuncia, il contribuente ha impugnato due avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate, all’esito di indagini bancarie, ha rettificato la dichiarazione dei redditi. In particolare, mediante la produzione in giudizio di dichiarazioni sostitutive dei familiari che avevano affermato che le ingenti somme contestate erano pervenute al contribuente per donazione paterna, è stata dimostrata l’illegittimità e l’infondatezza delle contestazioni mosse dall’Agenzia delle Entrate. Con il ricorso introduttivo il contribuente ha eccepito, quindi, la mancanza di autorizzazione a procedere alla raccolta di dati bancari, la violazione dell’articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973 e la infondatezza della ricostruzione dei maggiori redditi.

Ebbene, la Commissione tributaria provinciale ha accolto le doglianze del contribuente, ritenendo che le dichiarazioni sostitutive dei familiari prodotte in giudizio fossero idonee a provare che le ingenti somme di denaro erano allo stesso pervenute per donazione paterna.

Tuttavia, mentre i giudici di primo grado hanno accolto il ricorso presentato dal contribuente, i giudici di seconde cure hanno ritenuto, invece, che le dichiarazioni sostitutive non potevano assurgere a prova idonea a giustificare le ingenti somme di moneta contante transitate dal padre defunto al figlio.

Avverso la sfavorevole sentenza dei giudici di secondo grado, il contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, in particolare eccependo l’insufficiente e contradditoria motivazione della sentenza della CTR che si era limitata a ritenere le dichiarazioni sostitutive non idonee ad assurgere a fonte di prova, senza tenere in considerazione alcuna l’ulteriore produzione documentale esibita in giudizio, costituita da assegni, estratti conto, atti di vendita e ricevute di pagamento.

Il contribuente ha rilevato, altresì, come gli atti notori costituivano valida giustificazione delle operazioni segnalate in sede di verifica, rivestendo valore di elementi indiziari, considerato che il divieto di cui all’articolo 7 del D. Lgs. n. 546/1992 si riferisce alla sola prova testimoniale nella sua accezione tipica e non preclude, quindi, al giudice tributario di porre a fondamento della decisione dichiarazioni di soggetti terzi acquisite dalle parti processuali.

Ebbene, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla questione, con l’ordinanza 16 maggio 2019, n. 13174, ha inequivocabilmente chiarito che il divieto di cui all’articolo 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992 fa riferimento alla sola prova testimoniale e non preclude al giudice tributario di porre a fondamento della propria decisione dichiarazioni di soggetti terzi acquisite dalle parti processuali.

Più specificamente, i giudici di legittimità hanno chiarito che:<< (…) tali dichiarazioni hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all'articolo 2729 codice civile, danno luogo a presunzioni (Cass. n. 9402 del 20/4/2007); infatti, dal divieto di ammissione della prova testimoniale non discende la inammissibilità della prova per presunzioni, ai sensi dell'articolo 2729 codice civile, comma 2, - secondo il quale le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova testimoniale - poichè questa norma, attesa la natura della materia ed il sistema dei mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari, non è applicabile nel contenzioso tributario (Cass. n. 22804 del 23/10/2006Cass. n. 960 de 21/1/2015). Al fine di evitare che l'ammissibilità di tali dichiarazioni possa pregiudicare la difesa del contribuente ed il principio di uguaglianza delle parti, è necessario riconoscere che, al pari dell'Amministrazione finanziaria, anche il contribuente possa introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni e tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi>>.

Inoltre, i giudici di legittimità hanno anche posto in evidenza come:<< (…) l’attribuzione di valenza indiziaria delle dichiarazioni dei terzi anche in favore del contribuente non si pone in contrasto con l’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva dalla l. 4 agosto 1955, n. 848, atteso che la Corte Europea dei diritti dell’uomo, a tal proposito, ha chiarito che l’assenza di pubblica udienza o il divieto di prova testimoniale nel processo tributario sono compatibili con il principio del giusto processo solo se da siffatti divieti non deriva un grave pregiudizio della posizione processuale del ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile (Corte EDU 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/0143, Jussilla contro Finlandia, e 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia). A conforto di ciò, la Corte Costituzionale, dichiarando manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate riguardo al divieto di prova testimoniale nel processo tributario, sia con riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica n. 636 del 1972, articolo 35, comma 5, (ordinanza 506/1987, 91/1989, 6/1991, 328/1992), sia con riferimento all'attuale Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 7, comma 4, (Corte Cost. n. 18 del 2000), ha statuito che "la limitazione probatoria stabilita dal Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 7, comma 4, non comporta l'inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi eventualmente raccolte dall'amministrazione nella fase procedimentale", trattandosi di dichiarazioni rese al di fuori e prima del processo, diverse dalla prova testimoniale, che è necessariamente orale, richiede la formulazione di capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio; ha rilevato, tuttavia, che tali dichiarazioni hanno efficacia minore rispetto alla prova testimoniale e possono considerarsi come meri argomenti di prova, da soli non idonei a formare il convincimento del giudice in assenza di riscontri oggettivi>>.

Da tanto ne deriva che gli atti notori hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e che, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all’articolo 2729 codice civile, danno luogo a presunzioni.