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L’antitesi gnoseologica tra giuspositivismo e giusnaturalismo e la possibile linea di convergenza tra le due teorie del diritto

Abstract:

L’antinomia delle interpretazioni offerte dalle dottrine facenti capo al giuspositivismo, da un alto, e al giusnaturalismo, dall’altro, trova forti limiti nel campo della tutela dei diritti umani e, in particolare, in relazione all’avvento delle Dichiarazioni ovvero Convenzioni scritte e vincolanti, deputate a sancire la solennità e l’inviolabilità di diritti che trovano il primo fondamento nella natura dell’uomo, in quanto essere vivente.

Invero, tali Carte, pur essendo prima facie pregne di contenuti giusnaturalistici, non mancano neppure di riflettere i caratteri voluti e predicati dal giuspositivismo, in quanto trattasi di prodotti della Volontà legiferante umana.

 

 

Le posizioni antinomiche rivestite dal positivismo giuridico e dal giusnaturalismo traggono origine, innanzitutto, dal diverso presupposto logico su cui esse fanno perno: mentre le correnti facenti capo al giusnaturalismo contemplano e ammettono l’esistenza dualistica di diversi ordini di diritto, ossia del diritto naturale e del diritto positivo, sostenendo l’indubbia superiorità del primo in quanto discrimine tra il giusto e l’ingiusto, il secondo, più restrittivamente, riconosce quale unico diritto esistente e valido il diritto “positum” ¯ ossia “posto” ¯ dalla volontà legislatrice umana.

Esordendo con il positivismo giuridico ¯ nella breve digressione attinente ai principali tratti caratterizzanti le due scuole di pensiero ¯, si ritiene che la teorizzazione dei principi salienti risalga per lo più al 1798, epoca in cui vide la luce il “Trattato di diritto naturale come filosofia del diritto positivo” di Gustav Hugo (tralasciando di considerare, in questa sede, tutte le varie argomentazioni e suggestioni puramente per-giuspositivistiche, emerse prodromicamente a tale acquisito “punto di partenza” temporale).

Eppure, fu successivamente Norberto Robbio a riempire di significativi contenuti le righe del giuspositivismo.

Ne “il positivismo giuridico” (Giappichelli, Torino, 3° ed. 1996), il celebre giurista, nell’enucleare i sette punti cardine della dottrina positivistica, pose preliminarmente l’accento sulla questione involgente le fonti del diritto, ergendo la teoria della legislazione a fonte preminente e concependo il “diritto come sub specie legis”, addivenendo a tali conclusioni attraverso una discettazione non scevra di allusioni al formalismo giuridico e alla teoria cooperativistica del diritto (la quale vedrà la sua più compiuta espressione nelle teorie del filosofo e giurista inglese J. Austin).

Nondimeno, lungi dal fornirne una definizione solida e statica, Bobbio riteneva che il neopositivismo potesse essere visto come “un certo modo di accostarsi allo studio del diritto”, ovvero come “una certa teoria del diritto”, o ancora “una certa ideologia del diritto” (“il positivismo giuridico”, cit., pag. 154).

Tuttavia, la dottrina del positivismo giuridico trova il suo acme nelle teorie di Hans Kelsen, il quale intendeva decisamente rompere il legame tra diritto e morale, senza tuttavia “certo mettere in dubbio l’esigenza che il diritto debba essere morale, cioè debba essere buono (…) La giustizia è un ideale irrazionale. All’uomo è stato dato soltanto il diritto positivo o, più esattamente, come oggetto di ricerca” (Hans Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, 1934, ca. II, § 8).

Per il giurista austriaco, in breve, il diritto viene ridotto a “ciò che viene stabilito dagli organi competenti”, essendo al contempo rifiutato alcun tentativo di accogliere l’idea del diritto naturale, tacciato di essere intriso di metafisica.

E’ bene notare, inoltre, come mentre negli anni ’30 senza dubbio era in auge la dottrina neopositivista ¯ con conseguente diffusa necessità di “snidare” il diritto naturale ovunque esso apparisse ¯ tale tendenza mutò radicalmente a partire dal dopoguerra, creando non poco scoramento e smarrimento in Bobbio, il quale giustificò tale fenomeno con la “estrema labilità delle ideologie giuridiche il cui valore progressivo o reazionario dipende dalle circostanze storiche in cui vengono sostenute, e dai partiti storici che vi si richiamano” (Giusnaturalismo e positivismo giuridico, edizioni di Comunità, Milano, 1965, paga. 144).

A proposito del giusnaturalismo, è interessante notare come la teorizzazione dei concetti spesi intorno al “diritto di natura” presenti origini ben più antiche della corrente rivale: dai primordi in Aristotele e Cicerone passando poi al giusnaturalismo scolastico di San Tommaso d’Aquino, fino al giusnaturalismo moderno di Hobbes e Grozio per poi giungere, finalmente, al giusnaturalismo contemporaneo. Dunque, le varie ramificazioni e sfaccettature assunte da questa teoria ¯ o dottrina, o filosofia del diritto che dir si voglia ¯ traggono vita dall’idea base dell’esistenza un diritto naturale e razionale, valido universalmente, su cui poggiano le fondamenta tutti gli altri “diritti civili”.

Alla luce di tale considerazione, il diritto naturale si pone in posizione cronologicamente e gnoseologicamente superiore alle leggi prodotte dall’uomo, in quanto legge già presente nello stato di natura, preesistente allo stato civile e intrisa di principi validi in qualunque tempo, in qualunque luogo, tant’è che sin nell’“Etica nicomachea” di Aristotele, il “filosofo dell’immanenza” asseriva che “del giusto in senso politico, poi, ci sono due specie, quella naturale e quella legale: è naturale il giusto che ha dovunque la stessa validità, e non dipende dal fatto che venga o non venga riconosciuto; legale, invece, è quello che originariamente è affatto indifferente che sia in un modo piuttosto che in un altro, ma che non è indifferente una volta che sia stato stabilito” (V, 1134 b).

Tuttavia, probabilmente è il giusnaturalismo groziano che permette, ove adeguatamente letto, di costruire una linea di collegamento con il positivismo giuridico, ma ciò può avvenire soltanto solcando un’unica via di passaggio, costituita dal diritto internazionale.

Per meglio esplicare il suddetto passaggio logico, si anticipi come, secondo il pensiero di Huig de Groot, meglio conosciuto come Ugo Grozio, il diritto naturale non costituiva più un insieme coordinato di norme prevalentemente prescrittive, bensì esso diveniva un coacervo di diritti, inalienabili ed immodificabili, di cui l’uomo risultava titolare sin dalla nascita, prescindendo dall’appartenenza allo Stato ed alle sue strutture.

Il cennato assunto, condusse il giurista olandese, nel “De iure belli ac pacis” del 1625, a porre le basi teoriche del diritto internazionale, materia sino ad allora sconosciuta ed ambito del diritto che illo tempore cominciava ad abbisognare di essere ben disciplinato, dato il notevole incremento dei traffici commerciali che interessarono l’Europa e non solo nei secoli XVI e XVII.

Ma veniamo al punto che più ci interessa.

E’ proprio sulla scia del riconoscimento dei diritti inalienabili e inviolabili dell’uomo, valevoli ovunque e sempre, che nacquero le prime Dichiarazioni dei diritti dell’uomo: la prima trae i natali nello Stato americano della Virginia nel 1776 e costituì la base per la successiva e ben più nota Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776, redatta da Thomas Jefferson, con la quale si statuì “che tutti gli uomini sono creati uguali tra loro, che essi sono dotati dal loro creatore di alcuni inalienabili diritti tra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità” (“we holds these truths to be self-evident: that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable rights, that among these are life, liberty and the pursuit of happiness”).

Passando ad ere successive, si citi la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, voluta dagli Stati del Consiglio d’Europa e siglata a Roma nel 1950, che rappresenta uno degli strumenti più importanti dei protezione dei diritti umani, e che è stata recepita nel nostro ordinamento con la legge ordinaria n. 848 del 1955.

In aggiunta, non si tralasci di considerare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, siglata il 7 dicembre 2000 a Nizza, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha assunto il medesimo valore giuridico dei Trattati, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, e che per l’effetto ha acquisito piena vincolatività per le istituzioni europee e gli Stati membri.

Ebbene, è indiscutibile il sapore giusnaturalistico delle predette Carte.

Invero già Georg Jellinek, autore de “la dottrina generale del diritto dello Stato” (Milano, 1949), aveva considerato come le Dichiarazioni dei diritti dell’uomo trovassero la propria matrice nel giusnaturalismo.

Altresì priva di dubbio, è la circostanza di ispirazione giuspositivistica per cui le Carte citate, per come vengono adattate e/o recepite nel nostro ordinamento, siano del tutto vincolanti e risultino, prima ancora, poste in essere da una Volontà Legislatrice.

Tanto basta, a chi scrive, per poter considerare l’idea che giusnaturalismo e positivismo giuridico possano trovare una qualche forma di confluenza e di commistione nel campo della tutela internazionalistica o, comunque, extrastatuale, dei diritti umani.

Abstract:

L’antinomia delle interpretazioni offerte dalle dottrine facenti capo al giuspositivismo, da un alto, e al giusnaturalismo, dall’altro, trova forti limiti nel campo della tutela dei diritti umani e, in particolare, in relazione all’avvento delle Dichiarazioni ovvero Convenzioni scritte e vincolanti, deputate a sancire la solennità e l’inviolabilità di diritti che trovano il primo fondamento nella natura dell’uomo, in quanto essere vivente.

Invero, tali Carte, pur essendo prima facie pregne di contenuti giusnaturalistici, non mancano neppure di riflettere i caratteri voluti e predicati dal giuspositivismo, in quanto trattasi di prodotti della Volontà legiferante umana.

 

 

Le posizioni antinomiche rivestite dal positivismo giuridico e dal giusnaturalismo traggono origine, innanzitutto, dal diverso presupposto logico su cui esse fanno perno: mentre le correnti facenti capo al giusnaturalismo contemplano e ammettono l’esistenza dualistica di diversi ordini di diritto, ossia del diritto naturale e del diritto positivo, sostenendo l’indubbia superiorità del primo in quanto discrimine tra il giusto e l’ingiusto, il secondo, più restrittivamente, riconosce quale unico diritto esistente e valido il diritto “positum” ¯ ossia “posto” ¯ dalla volontà legislatrice umana.

Esordendo con il positivismo giuridico ¯ nella breve digressione attinente ai principali tratti caratterizzanti le due scuole di pensiero ¯, si ritiene che la teorizzazione dei principi salienti risalga per lo più al 1798, epoca in cui vide la luce il “Trattato di diritto naturale come filosofia del diritto positivo” di Gustav Hugo (tralasciando di considerare, in questa sede, tutte le varie argomentazioni e suggestioni puramente per-giuspositivistiche, emerse prodromicamente a tale acquisito “punto di partenza” temporale).

Eppure, fu successivamente Norberto Robbio a riempire di significativi contenuti le righe del giuspositivismo.

Ne “il positivismo giuridico” (Giappichelli, Torino, 3° ed. 1996), il celebre giurista, nell’enucleare i sette punti cardine della dottrina positivistica, pose preliminarmente l’accento sulla questione involgente le fonti del diritto, ergendo la teoria della legislazione a fonte preminente e concependo il “diritto come sub specie legis”, addivenendo a tali conclusioni attraverso una discettazione non scevra di allusioni al formalismo giuridico e alla teoria cooperativistica del diritto (la quale vedrà la sua più compiuta espressione nelle teorie del filosofo e giurista inglese J. Austin).

Nondimeno, lungi dal fornirne una definizione solida e statica, Bobbio riteneva che il neopositivismo potesse essere visto come “un certo modo di accostarsi allo studio del diritto”, ovvero come “una certa teoria del diritto”, o ancora “una certa ideologia del diritto” (“il positivismo giuridico”, cit., pag. 154).

Tuttavia, la dottrina del positivismo giuridico trova il suo acme nelle teorie di Hans Kelsen, il quale intendeva decisamente rompere il legame tra diritto e morale, senza tuttavia “certo mettere in dubbio l’esigenza che il diritto debba essere morale, cioè debba essere buono (…) La giustizia è un ideale irrazionale. All’uomo è stato dato soltanto il diritto positivo o, più esattamente, come oggetto di ricerca” (Hans Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, 1934, ca. II, § 8).

Per il giurista austriaco, in breve, il diritto viene ridotto a “ciò che viene stabilito dagli organi competenti”, essendo al contempo rifiutato alcun tentativo di accogliere l’idea del diritto naturale, tacciato di essere intriso di metafisica.

E’ bene notare, inoltre, come mentre negli anni ’30 senza dubbio era in auge la dottrina neopositivista ¯ con conseguente diffusa necessità di “snidare” il diritto naturale ovunque esso apparisse ¯ tale tendenza mutò radicalmente a partire dal dopoguerra, creando non poco scoramento e smarrimento in Bobbio, il quale giustificò tale fenomeno con la “estrema labilità delle ideologie giuridiche il cui valore progressivo o reazionario dipende dalle circostanze storiche in cui vengono sostenute, e dai partiti storici che vi si richiamano” (Giusnaturalismo e positivismo giuridico, edizioni di Comunità, Milano, 1965, paga. 144).

A proposito del giusnaturalismo, è interessante notare come la teorizzazione dei concetti spesi intorno al “diritto di natura” presenti origini ben più antiche della corrente rivale: dai primordi in Aristotele e Cicerone passando poi al giusnaturalismo scolastico di San Tommaso d’Aquino, fino al giusnaturalismo moderno di Hobbes e Grozio per poi giungere, finalmente, al giusnaturalismo contemporaneo. Dunque, le varie ramificazioni e sfaccettature assunte da questa teoria ¯ o dottrina, o filosofia del diritto che dir si voglia ¯ traggono vita dall’idea base dell’esistenza un diritto naturale e razionale, valido universalmente, su cui poggiano le fondamenta tutti gli altri “diritti civili”.

Alla luce di tale considerazione, il diritto naturale si pone in posizione cronologicamente e gnoseologicamente superiore alle leggi prodotte dall’uomo, in quanto legge già presente nello stato di natura, preesistente allo stato civile e intrisa di principi validi in qualunque tempo, in qualunque luogo, tant’è che sin nell’“Etica nicomachea” di Aristotele, il “filosofo dell’immanenza” asseriva che “del giusto in senso politico, poi, ci sono due specie, quella naturale e quella legale: è naturale il giusto che ha dovunque la stessa validità, e non dipende dal fatto che venga o non venga riconosciuto; legale, invece, è quello che originariamente è affatto indifferente che sia in un modo piuttosto che in un altro, ma che non è indifferente una volta che sia stato stabilito” (V, 1134 b).

Tuttavia, probabilmente è il giusnaturalismo groziano che permette, ove adeguatamente letto, di costruire una linea di collegamento con il positivismo giuridico, ma ciò può avvenire soltanto solcando un’unica via di passaggio, costituita dal diritto internazionale.

Per meglio esplicare il suddetto passaggio logico, si anticipi come, secondo il pensiero di Huig de Groot, meglio conosciuto come Ugo Grozio, il diritto naturale non costituiva più un insieme coordinato di norme prevalentemente prescrittive, bensì esso diveniva un coacervo di diritti, inalienabili ed immodificabili, di cui l’uomo risultava titolare sin dalla nascita, prescindendo dall’appartenenza allo Stato ed alle sue strutture.

Il cennato assunto, condusse il giurista olandese, nel “De iure belli ac pacis” del 1625, a porre le basi teoriche del diritto internazionale, materia sino ad allora sconosciuta ed ambito del diritto che illo tempore cominciava ad abbisognare di essere ben disciplinato, dato il notevole incremento dei traffici commerciali che interessarono l’Europa e non solo nei secoli XVI e XVII.

Ma veniamo al punto che più ci interessa.

E’ proprio sulla scia del riconoscimento dei diritti inalienabili e inviolabili dell’uomo, valevoli ovunque e sempre, che nacquero le prime Dichiarazioni dei diritti dell’uomo: la prima trae i natali nello Stato americano della Virginia nel 1776 e costituì la base per la successiva e ben più nota Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America del 4 luglio 1776, redatta da Thomas Jefferson, con la quale si statuì “che tutti gli uomini sono creati uguali tra loro, che essi sono dotati dal loro creatore di alcuni inalienabili diritti tra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità” (“we holds these truths to be self-evident: that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable rights, that among these are life, liberty and the pursuit of happiness”).

Passando ad ere successive, si citi la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, voluta dagli Stati del Consiglio d’Europa e siglata a Roma nel 1950, che rappresenta uno degli strumenti più importanti dei protezione dei diritti umani, e che è stata recepita nel nostro ordinamento con la legge ordinaria n. 848 del 1955.

In aggiunta, non si tralasci di considerare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, siglata il 7 dicembre 2000 a Nizza, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha assunto il medesimo valore giuridico dei Trattati, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea, e che per l’effetto ha acquisito piena vincolatività per le istituzioni europee e gli Stati membri.

Ebbene, è indiscutibile il sapore giusnaturalistico delle predette Carte.

Invero già Georg Jellinek, autore de “la dottrina generale del diritto dello Stato” (Milano, 1949), aveva considerato come le Dichiarazioni dei diritti dell’uomo trovassero la propria matrice nel giusnaturalismo.

Altresì priva di dubbio, è la circostanza di ispirazione giuspositivistica per cui le Carte citate, per come vengono adattate e/o recepite nel nostro ordinamento, siano del tutto vincolanti e risultino, prima ancora, poste in essere da una Volontà Legislatrice.

Tanto basta, a chi scrive, per poter considerare l’idea che giusnaturalismo e positivismo giuridico possano trovare una qualche forma di confluenza e di commistione nel campo della tutela internazionalistica o, comunque, extrastatuale, dei diritti umani.