Cassazione Civile: principi generali in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro
Gli ermellini hanno disatteso la pronuncia dei giudici di merito evidenziando, tra l’altro, i seguenti principi:
- la L. n. 230 del 1962, art. 1 (come successivamente il D.Lgs n. 368 del 2001, art. 1 "di attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES"), in tema di disciplina del contratto a termine, sancisce espressamente che l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto che deve risultare in maniera chiara ed univoca dal contratto di assunzione e la cui copia (nel quale sono specificate le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo a fondamento dell’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro) deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore;
- per effetto del disposto dell’art. 1 cit. l’apposizione, al contratto di lavoro, del termine o l’indicazione della circostanza che tale termine implichi, postula a pena di nullità un patto in forma scritta ad substantiam, che deve essere anteriore, o quanto meno contestuale, all’inizio del rapporto e non può essere surrogato ne da dichiarazioni scritte unilaterali delle parti (come la richiesta di avviamento del datore di lavoro) o di un terzo (quale il provvedimento di avviamento dell’Ufficio di collocamento) né da accordi verbali tra le parti, sicchè, in difetto di tale valida apposizione del termine, il contratto si reputa a tempo indeterminato (ex plurimis, Cass. n. 832/1987, Cass. n. 11173/1993);
- il requisito imposto dall’art. 1 cit. non è soddisfatto nel caso in cui la previsione del termine sia contenuta solo nella proposta scritta di assunzione del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 6076/1986);
- accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto l’attività di insegnamento presso una scuola privata - come è da qualificarsi l’intimata OPERA PIA che non risulta dotata di personalità giuridica di diritto pubblico - il rapporto deve ritenersi a tempo indeterminato "senza che possa intendersi circoscritto alla durata dell’anno scolastico per l’interruzione delle lezioni durante le ferie estive e senza che debba escludersi tale natura per essere la prestazione contenuta in alcune ore settimanali, assegnate alla singola materia d’insegnamento, o per il contemporaneo svolgimento da parte del docente di distinta attività, eventualmente di lavoro alle dipendenze di altro soggetto" (Cass. n. 7158/1986, Cass. 5878/1986), nè tale carattere viene meno per il fatto che tale assunzione sia soggetta in base ad una convenzione intervenuta con il Provveditorato agli studi, all’approvazione annuale da parte del Provveditore in quanto tale approvazione non incide sul processo formativo del negozio, ma assume mera rilevanza esterna correlativa all’indispensabilità controllo che la pubblica amministrazione deve esplicare in ordine ad una attività di particolare importanza sociale esercitabile anche da privati ex art. 33 Cost. (Cass. n. 4452/1980 alla cui parte motiva vale riportarsi per extenso);
- "nel caso di scadenza di un contratto di lavoro a termine illegittimamente stipulato e di comunicazione (da parte del datore di lavoro) della conseguente disdetta, non sono applicabili - tenuto conto della specialità della disciplina della normativa sul contratto di lavoro a tempo determinato rispetto a quella della L. n. 604 del 1966 (relativa all’estinzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato) e della qualificabilità dell’azione diretta all’accertamento dell’illegittimità del termine non come impugnazione del licenziamento ma come azione (imprescrittibile) di nullità parziale del contratto - nè la norma dell’art. 6 della L. n. 604 del 1966, relativa alla decadenza del lavoratore dall’impugnazione dell’illegittimo recesso, nè la norma della L. n. 300 del 1970, art. 18 relativa alla reintegrazione nel posto di lavoro (ancorchè la conversione del rapporto a termine nel rapporto a tempo indeterminato dia ugualmente al dipendente il diritto di riprendere il suo posto e di ottenere il risarcimento del danno qualora ciò gli venga negato: è, peraltro, salva l’applicabilità di entrambe le norme citate qualora il datore di lavoro, anzichè limitarsi a comunicare (con un atto nel quale non è assolutamente ravvisatale un licenziamento) la disdetta per scadenza del termine, abbia intimato - nel presupposto dell’intervenuta conversione del rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato - un vero e proprio licenziamento da quest’ultimo rapporto" (Cass. Sez. Unite n. 7471/1991);
- nel rapporto di lavoro subordinato è configurabile l’obbligo del lavoratore di ricevere comunicazioni e, in particolare, di accettare la consegna di comunicazioni scritte sul posto di lavoro e durante l’orario di lavoro, in dipendenza del potere direttivo e disciplinare al quale il lavoratore stesso è sottoposto (Cass. n. 23061/2007).
(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, 15 luglio 2009, n. 16473).
[Dott. Donato Vozza]
Gli ermellini hanno disatteso la pronuncia dei giudici di merito evidenziando, tra l’altro, i seguenti principi:
- la L. n. 230 del 1962, art. 1 (come successivamente il D.Lgs n. 368 del 2001, art. 1 "di attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES"), in tema di disciplina del contratto a termine, sancisce espressamente che l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto che deve risultare in maniera chiara ed univoca dal contratto di assunzione e la cui copia (nel quale sono specificate le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo a fondamento dell’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro) deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore;
- per effetto del disposto dell’art. 1 cit. l’apposizione, al contratto di lavoro, del termine o l’indicazione della circostanza che tale termine implichi, postula a pena di nullità un patto in forma scritta ad substantiam, che deve essere anteriore, o quanto meno contestuale, all’inizio del rapporto e non può essere surrogato ne da dichiarazioni scritte unilaterali delle parti (come la richiesta di avviamento del datore di lavoro) o di un terzo (quale il provvedimento di avviamento dell’Ufficio di collocamento) né da accordi verbali tra le parti, sicchè, in difetto di tale valida apposizione del termine, il contratto si reputa a tempo indeterminato (ex plurimis, Cass. n. 832/1987, Cass. n. 11173/1993);
- il requisito imposto dall’art. 1 cit. non è soddisfatto nel caso in cui la previsione del termine sia contenuta solo nella proposta scritta di assunzione del datore di lavoro (cfr. Cass. n. 6076/1986);
- accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto l’attività di insegnamento presso una scuola privata - come è da qualificarsi l’intimata OPERA PIA che non risulta dotata di personalità giuridica di diritto pubblico - il rapporto deve ritenersi a tempo indeterminato "senza che possa intendersi circoscritto alla durata dell’anno scolastico per l’interruzione delle lezioni durante le ferie estive e senza che debba escludersi tale natura per essere la prestazione contenuta in alcune ore settimanali, assegnate alla singola materia d’insegnamento, o per il contemporaneo svolgimento da parte del docente di distinta attività, eventualmente di lavoro alle dipendenze di altro soggetto" (Cass. n. 7158/1986, Cass. 5878/1986), nè tale carattere viene meno per il fatto che tale assunzione sia soggetta in base ad una convenzione intervenuta con il Provveditorato agli studi, all’approvazione annuale da parte del Provveditore in quanto tale approvazione non incide sul processo formativo del negozio, ma assume mera rilevanza esterna correlativa all’indispensabilità controllo che la pubblica amministrazione deve esplicare in ordine ad una attività di particolare importanza sociale esercitabile anche da privati ex art. 33 Cost. (Cass. n. 4452/1980 alla cui parte motiva vale riportarsi per extenso);
- "nel caso di scadenza di un contratto di lavoro a termine illegittimamente stipulato e di comunicazione (da parte del datore di lavoro) della conseguente disdetta, non sono applicabili - tenuto conto della specialità della disciplina della normativa sul contratto di lavoro a tempo determinato rispetto a quella della L. n. 604 del 1966 (relativa all’estinzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato) e della qualificabilità dell’azione diretta all’accertamento dell’illegittimità del termine non come impugnazione del licenziamento ma come azione (imprescrittibile) di nullità parziale del contratto - nè la norma dell’art. 6 della L. n. 604 del 1966, relativa alla decadenza del lavoratore dall’impugnazione dell’illegittimo recesso, nè la norma della L. n. 300 del 1970, art. 18 relativa alla reintegrazione nel posto di lavoro (ancorchè la conversione del rapporto a termine nel rapporto a tempo indeterminato dia ugualmente al dipendente il diritto di riprendere il suo posto e di ottenere il risarcimento del danno qualora ciò gli venga negato: è, peraltro, salva l’applicabilità di entrambe le norme citate qualora il datore di lavoro, anzichè limitarsi a comunicare (con un atto nel quale non è assolutamente ravvisatale un licenziamento) la disdetta per scadenza del termine, abbia intimato - nel presupposto dell’intervenuta conversione del rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato - un vero e proprio licenziamento da quest’ultimo rapporto" (Cass. Sez. Unite n. 7471/1991);
- nel rapporto di lavoro subordinato è configurabile l’obbligo del lavoratore di ricevere comunicazioni e, in particolare, di accettare la consegna di comunicazioni scritte sul posto di lavoro e durante l’orario di lavoro, in dipendenza del potere direttivo e disciplinare al quale il lavoratore stesso è sottoposto (Cass. n. 23061/2007).
(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, 15 luglio 2009, n. 16473).
[Dott. Donato Vozza]