Cassazione Civile: risarcimento del danno tanatologico a favore dei congiunti

"Il danno cd. "tanatologico’’ o da morte immediata va ricondotto nella dimensione del danno morale, inteso nella sua più ampia accezione, come sofferenza della vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita; ciò perché la lesione dell’integrità fisica con esito letale intervenuta immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo non è configurabile quale danno biologico dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita".

La Cassazione ha ricordato i propri orientamenti:

- (Cassazione - Sezione Terza, 28 novembre 2008, n.28423) secondo cui in caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia è autonomamente risarcibile non come danno biologico, ma come danno morale "jure haereditatis", a condizione però che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato, mentre va esclusa anche la risarcibilità del danno morale quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente lo stato di coma e la vittima non sia rimasta lucida nella fase che precede il decesso;

- (Cassazione - Sezione Terza, 16 maggio 2003, n.7632), secondo cui non è risarcibile la domanda di risarcimento del danno da "perdita del diritto alla vita", o danno tanatologico, proposta iure hereditatis dagli eredi del de cuius, in quanto la lesione dell’integrità fisica con verificarsi dell’evento letale immediatamente o a breve distanza di tempo dall’evento lesivo non è configurabile come danno tanatologico, in quanto comporta la perdita del bene giuridico della vita in capo al soggetto, che non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione degli effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando la persona abbia cessato di esistere, non essendo possibile un risarcimento per equivalente che operi quando la persona più non esiste.

In conclusione, secondo la Cassazione "il danno per perdita della vita non rientra nella nozione di danno biologico quale accolta dall’art. 13 d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38 al fine dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; nozione che fa riferimento alla "lesione dell’integrità psicofisica" suscettibile di valutazione medico-legale e causati va di una menomazione valutabile secondo le tabelle di cui al d.m. 12 luglio 2000; entro questo limiti opera l’assicurazione sociale del danno biologico".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 27 maggio 2009, n.12326: Risarcimento danni).

"Il danno cd. "tanatologico’’ o da morte immediata va ricondotto nella dimensione del danno morale, inteso nella sua più ampia accezione, come sofferenza della vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita; ciò perché la lesione dell’integrità fisica con esito letale intervenuta immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo non è configurabile quale danno biologico dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita".

La Cassazione ha ricordato i propri orientamenti:

- (Cassazione - Sezione Terza, 28 novembre 2008, n.28423) secondo cui in caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia è autonomamente risarcibile non come danno biologico, ma come danno morale "jure haereditatis", a condizione però che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato, mentre va esclusa anche la risarcibilità del danno morale quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente lo stato di coma e la vittima non sia rimasta lucida nella fase che precede il decesso;

- (Cassazione - Sezione Terza, 16 maggio 2003, n.7632), secondo cui non è risarcibile la domanda di risarcimento del danno da "perdita del diritto alla vita", o danno tanatologico, proposta iure hereditatis dagli eredi del de cuius, in quanto la lesione dell’integrità fisica con verificarsi dell’evento letale immediatamente o a breve distanza di tempo dall’evento lesivo non è configurabile come danno tanatologico, in quanto comporta la perdita del bene giuridico della vita in capo al soggetto, che non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione degli effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno, e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, esso operi quando la persona abbia cessato di esistere, non essendo possibile un risarcimento per equivalente che operi quando la persona più non esiste.

In conclusione, secondo la Cassazione "il danno per perdita della vita non rientra nella nozione di danno biologico quale accolta dall’art. 13 d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38 al fine dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; nozione che fa riferimento alla "lesione dell’integrità psicofisica" suscettibile di valutazione medico-legale e causati va di una menomazione valutabile secondo le tabelle di cui al d.m. 12 luglio 2000; entro questo limiti opera l’assicurazione sociale del danno biologico".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 27 maggio 2009, n.12326: Risarcimento danni).