Cassazione Lavoro: limiti al risarcimento in caso di decadenza dall’impugnazione del licenziamento

"Al lavoratore, che non abbia impugnato nel termine di decadenza il licenziamento, è precluso il diritto di far accertare in sede giudiziale la illegittimità del recesso e di conseguire il risarcimento del danno, nella misura prevista dalle leggi speciali (L. n. 604 del 1966. art. 8 e L. n. 300 del 1970. art. 18); inoltre, se tale onere non viene assolto, il giudice non può conoscere della illegittimità del licenziamento neppure per ricollegare, di per sè, al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune.

La decadenza, infatti, impedisce al lavoratore di richiedere il risarcimento del danno secondo le norme codicistiche ordinarie, nella misura in cui non consente di far accertare in sede giudiziale la illegittimità del licenziamento.

In particolare, sul piano della responsabilità contrattuale, poiché l’inadempimento (nella specie, il dedotto recesso illegittimo) costituisce presupposto del risarcimento dovuto dal contraente inadempiente a norma dell’art. 1218 cod. civ., la impossibilità di tale accertamento esclude la possibilità di riconnettere al preteso inadempimento del datore di lavoro l’obbligazione risarcitoria in favore del lavoratore, ed a tal fine è irrilevante che si tratti di licenziamento individuale o collettivo, perché ciò che viene in rilievo è sempre la posizione soggettiva particolare del lavoratore che invoca la tutela risarcitoria".

Tuttavia, la Cassazione ricorda che "Questa stessa giurisprudenza, tuttavia, tiene a temperare il proprio assunto, affermando - come pure ha precisato Cass. 18216/2006 cit. - che, nell’area dei licenziamenti disciplinati dalla normativa speciale, in caso di decadenza, l’azione risarcitoria di diritto comune può essere esercitata, in via residuale, per far valere profili di illegittimità del licenziamento che siano diversi da quelli previsti dalla normativa speciale sui licenziamenti (individuali o collettivi), come nei casi del licenziamento ingiurioso o del licenziamento pubblicizzato con la finalità di nuocere alla figura professionale del lavoratore o, ancora, del licenziamento quale atto finale di un mobbing (per questi esempi, v. Cass. 12 ottobre 2006 n. 21833).

Tale orientamento appare condivisibile perché valorizza correttamente l’intento del legislatore di attribuire valore preminente alla certezza della situazione di fatto scaturita dalla decadenza. Pertanto, se il giudice, a seguito di questa, non può conoscere della eventuale illegittimità del licenziamento, appare evidente che neppure può conoscere il tale illegittimità al fine di integrare, di per sè, la illiceità del comportamento del datore di lavoro. In altre parole il fatto ingiusto posto alla base della pretesa risarcitoria extracontrattuale non può consistere nella semplice illegittimità del licenziamento, non più conoscibile, ma deve integrare un comportamento illecito ulteriore del datore di lavoro ex art. 2043 c.c., che deve essere allegato e provato dal lavoratore richiedente in base ai principi generali."

Pertanto la Cassazione ha riaffermato il seguente principio: "la decadenza dall’impugnativa del licenziamento preclude l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso e la tutela risarcitoria di diritto comune, venendo a mancare il necessario presupposto, sia sul piano contrattuale (in quanto l’inadempimento del datore di lavoro consista nel recesso illegittimo in base alla disciplina speciale), sia sul piano extracontrattuale (ove il comportamento illecito dello stesso datore consista, in sostanza, proprio e soltanto nella illlegittimità del recesso)".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 4 maggio 2009, n.10235: Decadenza dall’impugnativa del licenziamento - Azione per risarcimento del danno - Ammissibilità - Limiti).

"Al lavoratore, che non abbia impugnato nel termine di decadenza il licenziamento, è precluso il diritto di far accertare in sede giudiziale la illegittimità del recesso e di conseguire il risarcimento del danno, nella misura prevista dalle leggi speciali (L. n. 604 del 1966. art. 8 e L. n. 300 del 1970. art. 18); inoltre, se tale onere non viene assolto, il giudice non può conoscere della illegittimità del licenziamento neppure per ricollegare, di per sè, al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune.

La decadenza, infatti, impedisce al lavoratore di richiedere il risarcimento del danno secondo le norme codicistiche ordinarie, nella misura in cui non consente di far accertare in sede giudiziale la illegittimità del licenziamento.

In particolare, sul piano della responsabilità contrattuale, poiché l’inadempimento (nella specie, il dedotto recesso illegittimo) costituisce presupposto del risarcimento dovuto dal contraente inadempiente a norma dell’art. 1218 cod. civ., la impossibilità di tale accertamento esclude la possibilità di riconnettere al preteso inadempimento del datore di lavoro l’obbligazione risarcitoria in favore del lavoratore, ed a tal fine è irrilevante che si tratti di licenziamento individuale o collettivo, perché ciò che viene in rilievo è sempre la posizione soggettiva particolare del lavoratore che invoca la tutela risarcitoria".

Tuttavia, la Cassazione ricorda che "Questa stessa giurisprudenza, tuttavia, tiene a temperare il proprio assunto, affermando - come pure ha precisato Cass. 18216/2006 cit. - che, nell’area dei licenziamenti disciplinati dalla normativa speciale, in caso di decadenza, l’azione risarcitoria di diritto comune può essere esercitata, in via residuale, per far valere profili di illegittimità del licenziamento che siano diversi da quelli previsti dalla normativa speciale sui licenziamenti (individuali o collettivi), come nei casi del licenziamento ingiurioso o del licenziamento pubblicizzato con la finalità di nuocere alla figura professionale del lavoratore o, ancora, del licenziamento quale atto finale di un mobbing (per questi esempi, v. Cass. 12 ottobre 2006 n. 21833).

Tale orientamento appare condivisibile perché valorizza correttamente l’intento del legislatore di attribuire valore preminente alla certezza della situazione di fatto scaturita dalla decadenza. Pertanto, se il giudice, a seguito di questa, non può conoscere della eventuale illegittimità del licenziamento, appare evidente che neppure può conoscere il tale illegittimità al fine di integrare, di per sè, la illiceità del comportamento del datore di lavoro. In altre parole il fatto ingiusto posto alla base della pretesa risarcitoria extracontrattuale non può consistere nella semplice illegittimità del licenziamento, non più conoscibile, ma deve integrare un comportamento illecito ulteriore del datore di lavoro ex art. 2043 c.c., che deve essere allegato e provato dal lavoratore richiedente in base ai principi generali."

Pertanto la Cassazione ha riaffermato il seguente principio: "la decadenza dall’impugnativa del licenziamento preclude l’accertamento giudiziale dell’illegittimità del recesso e la tutela risarcitoria di diritto comune, venendo a mancare il necessario presupposto, sia sul piano contrattuale (in quanto l’inadempimento del datore di lavoro consista nel recesso illegittimo in base alla disciplina speciale), sia sul piano extracontrattuale (ove il comportamento illecito dello stesso datore consista, in sostanza, proprio e soltanto nella illlegittimità del recesso)".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sentenza 4 maggio 2009, n.10235: Decadenza dall’impugnativa del licenziamento - Azione per risarcimento del danno - Ammissibilità - Limiti).