Cassazione Sezioni Unite Civili: fallimento in Italia in caso di trasferimento fittizio all’estero

La Corte di Cassazione è tornata ad esaminare un caso di trasferimento fittizio di sede legale all’estero, ribadendo i principi elaborati con ordinanza Ordinanza 13 ottobre 2008, n.25038.

Le Sezioni Unite hanno innanzitutto ricordato che "A norma dell’art. 3, par. 1, del Regolamento CE 29 maggio 2000, n. 1346/2000, competente ad aprire la procedura di insolvenza (nozione che ricomprende, quanto all’Italia, anche la procedura di fallimento) è il giudice dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore, dovendosi presumere, fino a prova contraria, che l’ubicazione di siffatto centro d’interessi coincida, per le società e le persone giuridiche, col luogo in cui si trova la loro sede statutaria (non rileva, in questa fattispecie, l’eventualità di apertura di procedure territoriali, o secondarie, contemplata dal par. 2 del medesimo art. 3)".

"La citata disposizione del Regolamento - continuano le Sezioni Unite - non enuncia in modo preciso la definizione di centro degli interessi principali del debitore, ma, anche alla stregua di quanto indicato nel 13 considerando, è possibile affermare che esso corrisponde al luogo in cui il debitore medesimo gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi. La Corte di Giustizia delle Comunità europee ha sottolineato il carattere autonomo della su indicata nozione di centro d’interessi adoperata dal Regolamento, in funzione della necessità di fornire al riguardo interpretazioni uniformi, non influenzate dalle diverse normative nazionali, ed ha anche aggiunto che la presunzione di corrispondenza del centro d’interessi dell’impresa con la sua sede legale può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che appare corrispondente alla collocazione di detta sede statutaria, come ad esempio nell’ipotesi in cui una società non svolga alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui è ubicata formalmente la sede (Corte di Giustizia 2 maggio 2006, n. 341/04).

Secondo le Sezioni Unite, in generale (come del resto avvenuto nel caso di specie): "ove al trasferimento all’estero della sede legale della società non abbiano fatto seguito né l’effettivo esercizio di attività imprenditoriale nella nuova sede, né lo spostamento presso di essa del centro dell’attività direttiva, amministrativa ed organizzativa dell’impresa, la presunzione di coincidenza della sede effettiva con la nuova indicata sede legale è da considerarsi vinta; in simili casi permane, pertanto, la giurisdizione del giudice italiano a dichiarare il fallimento della società che in Italia abbia avuto, prima del (meramente formale) trasferimento, la propria sede legale".

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Ordinanza 18 maggio 2009, n.11398: Trasferimento fittizio sede legale all’estero - Fallimento - Giurisdizione italiana - Sussistenza).

La Corte di Cassazione è tornata ad esaminare un caso di trasferimento fittizio di sede legale all’estero, ribadendo i principi elaborati con ordinanza Ordinanza 13 ottobre 2008, n.25038.

Le Sezioni Unite hanno innanzitutto ricordato che "A norma dell’art. 3, par. 1, del Regolamento CE 29 maggio 2000, n. 1346/2000, competente ad aprire la procedura di insolvenza (nozione che ricomprende, quanto all’Italia, anche la procedura di fallimento) è il giudice dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore, dovendosi presumere, fino a prova contraria, che l’ubicazione di siffatto centro d’interessi coincida, per le società e le persone giuridiche, col luogo in cui si trova la loro sede statutaria (non rileva, in questa fattispecie, l’eventualità di apertura di procedure territoriali, o secondarie, contemplata dal par. 2 del medesimo art. 3)".

"La citata disposizione del Regolamento - continuano le Sezioni Unite - non enuncia in modo preciso la definizione di centro degli interessi principali del debitore, ma, anche alla stregua di quanto indicato nel 13 considerando, è possibile affermare che esso corrisponde al luogo in cui il debitore medesimo gestisce i suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi. La Corte di Giustizia delle Comunità europee ha sottolineato il carattere autonomo della su indicata nozione di centro d’interessi adoperata dal Regolamento, in funzione della necessità di fornire al riguardo interpretazioni uniformi, non influenzate dalle diverse normative nazionali, ed ha anche aggiunto che la presunzione di corrispondenza del centro d’interessi dell’impresa con la sua sede legale può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che appare corrispondente alla collocazione di detta sede statutaria, come ad esempio nell’ipotesi in cui una società non svolga alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui è ubicata formalmente la sede (Corte di Giustizia 2 maggio 2006, n. 341/04).

Secondo le Sezioni Unite, in generale (come del resto avvenuto nel caso di specie): "ove al trasferimento all’estero della sede legale della società non abbiano fatto seguito né l’effettivo esercizio di attività imprenditoriale nella nuova sede, né lo spostamento presso di essa del centro dell’attività direttiva, amministrativa ed organizzativa dell’impresa, la presunzione di coincidenza della sede effettiva con la nuova indicata sede legale è da considerarsi vinta; in simili casi permane, pertanto, la giurisdizione del giudice italiano a dichiarare il fallimento della società che in Italia abbia avuto, prima del (meramente formale) trasferimento, la propria sede legale".

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Ordinanza 18 maggio 2009, n.11398: Trasferimento fittizio sede legale all’estero - Fallimento - Giurisdizione italiana - Sussistenza).