Cassazione SU Penali: responsabilità per morte conseguente a cessione di droga

"Nell’ipotesi di morte verificatasi in conseguenza dell’assunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore ai sensi dell’articolo 586 Codice Penale per l’evento morte non voluto richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto rimproverabile allo spacciatore e che quindi sia accertata in capo allo stesso la presenza dell’elemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma penale che incrimina il reato base) e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza, valutate dal punto di vista di un razionale agente modello che si trovi nella concreta situazione dell’agente reale ed alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale".

Nel caso di specie, invece, la sentenza di secondo grado non si è conformata al citato principio di diritto, "avendo affermato la responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’articolo 586 Codice Penale a puro titolo di responsabilità oggettiva e sulla sola base del nesso di causalità materiale, pur avendo accertato che la morte del terzo cessionario (non conosciuto dall’imputato) era stata causata, o quanto meno favorita, dalla contemporanea assunzione di alcol etilico e pur essendo stato dedotto che la vittima si trovava in un precario stato di salute per l’assunzione di notevoli quantità di medicinali. La corte d’appello ha osservato che l’effetto letale era prevedibile, ma ha fatto riferimento esclusivamente ad una prevedibilità in astratto derivante dalla stessa cessione della sostanza stupefacente senza esaminare né indicare se vi fossero nel caso concreto specifiche circostanze, conosciute o conoscibili dal cedente, che rendevano probabile in concreto, e non solo astrattamente possibile, un maggior rischio di esito letale. In particolare, non ha accertato se l’imputato sapesse o potesse sapere che il compratore avrebbe a sua volta ceduto parte dello stupefacente a terzi e che uno di costoro era consumatore di notevoli quantità di medicinali, si trovava in precario stato di salute e avrebbe ingerito alcol etilico contemporaneamente all’assunzione dello stupefacente. La corte ha anche parlato di colpa dell’agente e di concreta prevedibilità dell’evento letale per l’assuntore della sostanza stupefacente, ma si tratta di affermazioni apodittiche e di motivazione di stile, non essendo stata indicata nessuna circostanza di fatto che dimostrasse una prevedibilità della morte in concreto ed una colpa in concreto dell’agente".

La Cassazione ha pertanto annullato la sentenza di secondo grado limitatamente al reato di cui agli articoli 83 e 586 Codice Penale per totale mancanza di motivazione sull’esistenza in concreto di una colpa dell’imputato rispetto all’evento morte non voluto, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che si uniformerà al principio di diritto dianzi affermato.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Penali, Sentenza 29 maggio 2009, n.22676: Cessione sostanza stupefacente - Morte - Responsabilità dello spacciatore - Colpa in concreto).

"Nell’ipotesi di morte verificatasi in conseguenza dell’assunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore ai sensi dell’articolo 586 Codice Penale per l’evento morte non voluto richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto rimproverabile allo spacciatore e che quindi sia accertata in capo allo stesso la presenza dell’elemento soggettivo della colpa in concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma penale che incrimina il reato base) e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza, valutate dal punto di vista di un razionale agente modello che si trovi nella concreta situazione dell’agente reale ed alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale".

Nel caso di specie, invece, la sentenza di secondo grado non si è conformata al citato principio di diritto, "avendo affermato la responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’articolo 586 Codice Penale a puro titolo di responsabilità oggettiva e sulla sola base del nesso di causalità materiale, pur avendo accertato che la morte del terzo cessionario (non conosciuto dall’imputato) era stata causata, o quanto meno favorita, dalla contemporanea assunzione di alcol etilico e pur essendo stato dedotto che la vittima si trovava in un precario stato di salute per l’assunzione di notevoli quantità di medicinali. La corte d’appello ha osservato che l’effetto letale era prevedibile, ma ha fatto riferimento esclusivamente ad una prevedibilità in astratto derivante dalla stessa cessione della sostanza stupefacente senza esaminare né indicare se vi fossero nel caso concreto specifiche circostanze, conosciute o conoscibili dal cedente, che rendevano probabile in concreto, e non solo astrattamente possibile, un maggior rischio di esito letale. In particolare, non ha accertato se l’imputato sapesse o potesse sapere che il compratore avrebbe a sua volta ceduto parte dello stupefacente a terzi e che uno di costoro era consumatore di notevoli quantità di medicinali, si trovava in precario stato di salute e avrebbe ingerito alcol etilico contemporaneamente all’assunzione dello stupefacente. La corte ha anche parlato di colpa dell’agente e di concreta prevedibilità dell’evento letale per l’assuntore della sostanza stupefacente, ma si tratta di affermazioni apodittiche e di motivazione di stile, non essendo stata indicata nessuna circostanza di fatto che dimostrasse una prevedibilità della morte in concreto ed una colpa in concreto dell’agente".

La Cassazione ha pertanto annullato la sentenza di secondo grado limitatamente al reato di cui agli articoli 83 e 586 Codice Penale per totale mancanza di motivazione sull’esistenza in concreto di una colpa dell’imputato rispetto all’evento morte non voluto, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che si uniformerà al principio di diritto dianzi affermato.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Penali, Sentenza 29 maggio 2009, n.22676: Cessione sostanza stupefacente - Morte - Responsabilità dello spacciatore - Colpa in concreto).