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Collaborazione

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Collaborazione

“La collaborazione non è un imperativo etico”

Julio Velasco

 

La definizione di collaborazione del Devoto-Oli come: “Partecipazione attiva, variamente determinata e valutabile, al compimento di un lavoro o allo svolgimento di un’attività. Obbligo del prestatore di lavoro subordinato di svolgere la propria attività manuale e intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”, è più adeguata, attualmente, a precisare forse l’aspetto giuridico.

Ormai nella pratica quotidiana è intesa piuttosto come una relazione lavorativa tra due o più entità (persone, uffici, dipartimenti, ecc.) di tipo sinergico per produrre qualcosa che il singolo non saprebbe fare da solo. L’alone semantico riguarda una tipologia di attività in cui le persone mettono in comune conoscenze, competenze, informazioni, risorse e, perché no, talento per raggiungere un obiettivo comune e per creare qualche  cosa di nuovo.

Collaborazione però non è fare semplicemente qualcosa insieme ad altri o condividere risorse con qualcun altro o comunicare informazioni ai colleghi: tutte queste azioni sono degli ingredienti della collaborazione, ma non è la collaborazione.

La collaborazione implica un agire come una squadra, senza annullare le caratteristiche proprie di ciascuno (G.P. Quaglino, C.G. Cortese), per raggiungere un nuovo traguardo: può essere la soluzione di un problema, un miglioramento del know-how, una nuova idea, degli oggetti migliori e così via.

La collaborazione è qualcosa che può essere lasciata all’iniziativa individuale? Alla spontaneità dei singoli individui/enti che partecipano al gruppo?

Si può dire che frequentarsi al di fuori del lavoro, avere interessi o ideali comuni, trascorrere periodi insieme, può favorire la nascita della collaborazione, intesa nel senso sopra descritto. Ricordo che negli anni della mia formazione specialistica universitaria sono stato attore e testimone di una collaborazione vera, che ha portato ad un nuovo modo di fare e pensare psichiatria, ma è stata un’occasione molto rara e per questo preziosa, ove anche quegli aspetti di amicizia erano presenti. Il lavoro di èquipe era l’espressione cardine delle nostre discussioni. Ma l’ “università-azienda” come ci ricordano G. Canella, G. Pasqualetti, G. Penzo Doria, S. Berté (filodiritto, 9 febbraio 2021), nella quale formazione professionale ed apprendimento pratico di collaborazione dovrebbero costituire una mission specifica (senza ovviamente negare la ricerca), è certamente una situazione particolare ed affatto specifica.

Nell’attività lavorativa la collaborazione, in realtà, non si improvvisa: essa non dipende dalla buona volontà del singolo, perché la buona volontà è solo uno degli ingredienti, ma nemmeno il più importante del lavoro di squadra o meglio di un gruppo di lavoro che produce fattivamente trasformazione e innovazione.

La collaborazione va considerata come “parte del lavoro(Julio Velasco): per far sì che si crei una collaborazione, quindi, è necessario tempo, impegno e fatica, da dedicare alla definizione di ruoli, alla creazione di un ambiente adeguato, nel quale sia possibile far germogliare il senso di appartenenza al gruppo. Questo si sviluppa se viene  definito in modo chiaro lo spazio/tempo in cui si vogliono raggiungere gli obiettivi, se si lavora insieme per individuare tattiche per far fronte agli insuccessi, prevedendoli, se si crea la capacità di affrontare eventuali défaillances individuali, con il supporto di tutti. Questa parte del lavoro è ovviamente compito del leader, ma non solo: proprio la diversità dei singoli, con i propri punti di vista, le proprie peculiarità, i propri “talenti” dovrebbe contribuire ad arricchire questo lavoro di amalgama. La partecipazione dell’insieme è  il lievito per la crescita e la permanenza della collaborazione, fino al raggiungimento degli obiettivi.

La vera collaborazione mette all’angolo i giochi relazionali presenti, si può dire di norma, nei gruppi di lavoro: il gioco del cerino, quello dello scaricabarile, quello della ricerca del colpevole o della giustificazione. Si sa che per interrompere questi giochi relazionali, che frenano il lavoro, è necessario che qualcuno si tenga il cerino in mano, ad esempio: molto opportuno che questo sia il leader che dovrebbe sapere ed avere la capacità di non scottarsi. Se questo accade, a quel punto nella mia esperienza, il gioco del gruppo di lavoro cambia, le relazioni ed i rapporti tra le persone si modificano, magari lentamente, nel senso di rendere possibile che l’obiettivo diventi qualcosa da raggiungere insieme.

Proprio per le considerazioni svolte, quando sorgono problemi nella collaborazione, è bene innanzitutto chiedersi e valutare che cosa può non aver funzionato nell’organizzazione e nella funzionalità complessiva del gruppo di lavoro, considerando il comportamento individuale “non collaborativo” come espressione di un qualche disagio del gruppo/istituzione/azienda.

La collaborazione, una volta raggiunta, non è un dato di fatto irreversibile: anzi, essa è il frutto di un lavoro costante che continuamente deve alimentare il senso di appartenenza, gli obiettivi, le tattiche per raggiungerli, il supporto alle persone nei momenti di difficoltà, la definizione di ruoli e così via. Proprio per questo è più facile nei gruppi temporanei e con un obiettivo ben definito. Nelle organizzazioni complesse e stabili nel tempo, creare collaborazione è molto più complesso e richiede molte più iniziative e più lavoro per creare la collaborazione.

Nel primo caso, infatti, il tempo e la delimitazione ben precisa dell’obiettivo, per il quale è stato costituito il team, facilita il lavoro comune, perché lascia spazio alla persona per sviluppare altri progetti, nella seconda situazione invece, non vi è un tempo definito, perché una determinata funzione sociale (istruzione, sanità, assistenza, ecc.) si deve mantenere negli anni, i singoli individui sono più vincolati alle istituzioni di appartenenza, inoltre le persone cambiano ma gli obiettivi fondamentali rimangono.

Per tutti questi motivi la collaborazione va ulteriormente contestualizzata, ma questa è un’altra storia.