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Follower

Bologna, 2019
Ph. Francesca Russo / Bologna, 2019

Sul leader, lo sappiamo, c’è abbondanza di letteratura, ma sappiamo anche che per comprendere la leadership occorre collocarla all’interno dell’interazione che si snoda in relazione ai propri collaboratori i quali, a loro volta, esprimono proprie caratteristiche e dimensioni che qualificano la relazione stessa. Come evidenzia Francesco Muzzarelli nel suo libro “Io e il Capo”, “ci si occupa dell’arte della collaborazione senza mai dimenticare che comunque sono i capi, con le loro decisioni (sia con quelle strategicamente illuminate, sia con quelle terribilmente miopi), a determinare gran parte di ciò che accade nelle organizzazioni e di riflesso nella società. Ai collaboratori però spetta il compito di aiutarli, aiutarli anche a cambiare quando necessario, ai collaboratori spetta trovare la forza di essere propositivi e assumersi responsabilità nel determinare la qualità nei risultati del proprio lavoro e nel rapporto con il leader”.

Una relazione, dunque, nella quale la followership esprime proprie dimensioni di responsabilità che si traducono nel supporto, nella collaborazione e nel confronto, generando così un sistema di relazioni all’interno delle quali, il follower, con i propri comportamenti, può contribuire a costruire, arricchire e ispirare il leader stesso.

Non da ultimo, nonostante la scarsa letteratura presente sul tema della followership, è importante parlarne in quanto, non solo, come osserva Collinson, ogni organizzazione ha numericamente più follower che leader, ma «persino coloro che hanno i più alti livelli di responsabilità di leadership rispondono a qualcuno» (Tanoff e Barlow), ovvero sono dei follower.

In “The Power of Followership”, Kelley evidenzia come i comportamenti di collaborazione possono declinarsi lungo due differenti dimensioni, una più legata al pensiero e l’altra all’azione.

Nella prima i così detti “pensatori indipendenti” sono orientati all’innovazione, al pensiero critico e costruttivo e sono desiderosi di portare il proprio contributo alle attività. In questo caso abbiamo collaboratori “esploratori” propensi ad assumersi una titolarità rispetto al lavoro, prendono l’iniziativa per la risoluzione dei problemi e partecipano attivamente, esprimendo – verso il leader, i colleghi e l’organizzazione - la propria dimensione extra-ruolo.

Al polo opposto troviamo i “pensatori dipendenti” – anche definiti in letteratura come “subordinate” – i quali aderiscono ordinatamente a procedure e manuali, accettano le idee del leader senza vagliarle attraverso un pensiero personale, esprimono una limitata autonomia e iniziativa personale. I follower posizionati nella “zona di comfort” si dimostrano restii a cimentarsi in nuovi compiti, limitando l’esecuzione del lavoro allo stretto necessario.

Il follower, dunque, è colui che esprime e interpreta la dimensione di subordinazione in modo attivo; ha una propria visione ma è “attratto” e “ispirato” da quella del leader; rimane responsabile delle proprie azioni ma comprende – e questa è la parte a volte più difficile - le dimensioni in cui si distinguono le differenti quote di responsabilità che caratterizzano il proprio agire da quello del leader e dunque in relazione agli assetti stessi di ruolo e anche organizzativi.

Più in generale, per le parole di Michele Mennalavorare insieme agli altri, dentro un’organizzazione, significa agire all’interno di un sistema interdipendente di ruoli, ovvero un insieme di diritti e di doveri, di obbligazioni e privilegi. L’armonia che nasce dal saper collaborare – e quindi dal saper lavorare insieme – richiede che chi ricopre e agisce interpretando un ruolo, debba rispondere ad attese coerenti da parte di tutti coloro che svolgono ruoli collegati al suo” e dunque tenuto conto, ma anche prescindendo, dalla linea essenzialmente gerarchica. Ancora, “agire in collaborazione significa innanzitutto capire e capirsi apportando ogni giorno un valore aggiunto, processuale, al lavoro svolto”.

Siamo quindi all’interno di un percorso caratterizzato da forti dinamiche di interrelazione che si alimentano e sono destinate a funzionare quando guidate dalla reciproca chiarezza di intenti e attese, da capacità di ascolto e da una comunicazione costante ed efficace, nella quale il messaggio sotteso e indiretto, è presto destinato a cedere il passo a incomprensioni e conflitti. Incomprensioni e confitti che, nel medio periodo, andranno a minare la relazione stessa che, per sua natura, occorre si basi sulla fiducia reciproca e su un bilanciamento degli spazi espressivi che sia bidirezionale, benché – come detto poco sopra - basato sui differenti livelli di responsabilità connessi ai diversi ruoli agiti all’interno dell’organizzazione.

All’interno di questa relazione c’è un bisogno - che è un bisogno prima di tutto di carattere organizzativo - ma che, fra tutti, che esprime il leader e che si traduce nella necessità di scambiare e acquisire informazioni - fra le tante - sull’avanzamento e completamento delle attività assegnate, sull’anticipazione dei problemi, sulla trasformazione dei problemi stessi e delle difficoltà in proposte. Questo set di informazioni consentirà al leader, da un lato, di essere presente al tema, ciò in modo da poter agire correttamente gli ambiti di responsabilità connessi al proprio ruolo, senza il rischio di esporre sé stesso e i propri collaboratori, e dall’altro lato, di poter gestire gli ambiti di priorità in modo da assicurare il bilanciamento dei carichi di lavoro e al contempo riuscire ad assecondare le mutevoli esigenze organizzative che, via via, subentrano nel tempo.

A chi spetta il compito di alimentare il circolo informativo? Senza ombra di dubbio e in una dimensione top down, spetta al leader favorire momenti di confronto, allineamento e raccordo, individuali e di gruppo. Ma altrettanto senza ombra di dubbio è importante che il follower sviluppi una adeguata capacità di analisi del compito e del problema, ma anche organizzativa, che sia tale da poter attivare sollecitazioni, anche bottom up, e al fine di rendere l’informazione, oltre che chiara, accurata e tempestiva.

Anche la scelta del mezzo utilizzato per lo scambio di informazioni ha una propria rilevanza. Spesso siamo inondati da e-mail che con altrettanta frequenza appiattiscono la comunicazione e limitano il confronto. Questa dimensione comunicativa evidenzia tutta la sua debolezza, in prima istanza, sulla focalizzazione rispetto al problema e in seconda battuta nella disamina dei problemi stessi, quando complessi o potenzialmente “più spinosi”. La via breve non è sempre la più efficace. Saper individuare momento e strumento comunicativo più idoneo è al contempo una competenza del leader ma anche del follower.

Al di là dell’oggetto, dei fini e dei mezzi – come osserva Michele Menna - per ricomporre le naturali distanze connesse alle diverse responsabilità che definisco leader e follower - occorre alimentare una cultura della comprensione dei fenomeni in cui l’approccio diagnostico si distingua da quello ideologico, del giusto o sbagliato. Chi sa collaborare sa stare in relazione, si nutre di consapevolezza, comprende e apprende all’interno di dimensioni reticolari, di trame, contestualizza e relativizza i propri saperi, si apre al dubbio, impara a lavorare facendo e interagendo”.  

Una dimensione relazionale che presenta quindi, per natura, propri elementi di complessità e nella quale a leader e follower è richiesta una grande capacità di lettura della dimensione organizzativa e dei fondamenti che animano la relazione stessa, nel riconoscimento dei reciproci bisogni e nel rispetto e chiara identificazione degli spazi di responsabilità, di azione e interazione. Tutte dimensioni queste che richiedono una presa di distanza dal sé e si nutrono dell’essenza di qualsiasi relazione umana in quanto basata sull’ascolto e sulla reciproca fiducia.

Forse tutto sarebbe più semplice se imparassimo a chiedere più spesso ai nostri capi e collaboratori: che bisogno hai?