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Identità professionale

riflessi di cielo
Ph. Niccolò Gurioli / riflessi di cielo

Tra i mantra oggi più ripetuti nel linguaggio del management vi è la parola eccellenza. In altra occasione entreremo nel merito, qui si rimanda ad uno degli aspetti della parola, il concetto di identità professionale, che ne rappresenta uno degli elementi essenziali.

L’identità, l’essere del sé e non di altro, unitamente a professionale, in una attività manuale o intellettuale, rappresenta una sfida alla comprensione e alla azione personale nel mondo del lavoro e nel sistema delle relazioni sociali.

Ciascuno di noi saprebbe definire la propria identità professionale?

Questa è composta da diversi elementi e dal fattore scorrere del tempo. Nel periodo scolastico si prova a farsene un’idea prospettica nelle scelte obbligate di fine anno, quando si tratta di passare da un livello di istruzione al successivo, fino a confidare di diventare medico, ingegnere, meccanico, insegnante – giusto per citare alcune professioni in qualche modo definibili – oppure imprenditore, esperto in relazioni, influencer – giusto per indicarne altre già più difficili da inquadrare. È un concetto ancora generico di quella che potrebbe diventare ciò che sarò come identità professionale: fattori come il contesto, la possibilità di sfruttare o non sfruttare le opportunità per realizzarla, le normali vicissitudini della vita, possono farmi entrare nel ruolo generale per essa previsto. Il renderlo concretamente specifico dipende da due variabili: l’io ed il contesto in cui la eserciterò.

L’identità professionale è fatta di elementi tecnici, la cassetta dei metodi e degli attrezzi che impiego nello svolgere il lavoro, appresi nello studio e nell’esperienza e/o imposti dal contesto specifico in cui opero; è fatta da elementi comportamentali espressione del se e delle logiche valoriali e culturali del contesto che ha aspettative, spesso precise, verso il ruolo in cui mi ritrovo.

Sappiamo che la coniugazione del sé e delle aspettative di ruolo della azienda/istituzione è spesso complessa quanto più si hanno responsabilità di livello nei confronti degli altri, siano colleghi, collaboratori, clienti e quant’altri.

Ciò costruisce una gradazione di prestazione (verso l’eccellenza) che ci fa stimare in quanto in grado tecnicamente di eseguire lavoro standardizzato, di risolvere problemi operativi o direzionali, di impostare nuove soluzioni organizzative, di sviluppare e costruire business e servizi e così via.

È l’aspetto ovvio dell’identità professionale che risponde al quesito se “sai o no fare il tuo lavoro?”.

Ad esso si accompagna l’aspetto relazionale, inteso come la capacità di contestualizzare ciò che sai fare agendo insieme ad altri o per gli altri: risponde al quesito se sai capire la sostanza del problema che hai di fronte e se riesci ad affrontarlo riuscendo a farne comprendere ragioni e logiche esecutive con soddisfazione delle persone. Anche nelle decisioni ed azioni più difficili, delicate, antipatiche. 

A volte, e sono le situazioni più frequenti, l’oggettività del tecnicismo aiuta a fare comprendere; a volte non basta ed allora subentrano due fattori che se impiegati correttamente nobilitano la personale identità professionale: l’uso della logica nelle scelte ed il senso di oggettiva giustizia che la accompagna.

Entrambi sono messi alla prova dalle caratteristiche del contesto in cui si devono esprimere, il quale non sempre permette atti di logica in giustizia, ad esempio quando i valori in gioco sono divergenti. Ma è proprio in questi casi che si rivela nella sua profondità la nostra identità professionale: quando ci viene richiesto di essere conformi pur dissentendo interiormente nell’impiego degli strumenti o nella richiesta di agire non secondo giustizia ma per conformità procedurale o culturale.

Nel tempo ci si si adagia nella normalità del contesto facendosi guidare oppure si impara a orientare il sentimento interiore in posizioni razionali che dimostrano la piena padronanza della propria identità professionale, anche dando l’impressione di essere contro. In realtà ciò non è, perché è l’uso della razionalità con senso di giustizia a convincere gli altri che stai costruendo e non distruggendo: non sempre riesce in quanto la propria identità professionale si confronta con quella delle altre persone che possono avere un grado di logica e di giustizia differenti (opportunisticamente utilizzati), entrando qui in gioco il senso etico della professionalità (e della persona).

Il management moderno ha bisogno per costruire il futuro delle organizzazioni, e non credo ci sia necessità di evidenze scientifiche per affermarlo, di un recupero del profondo senso di identità professionale, ossia di persone che fanno della propria identità professionale un fatto di onore per la propria vita.

Scopriranno che l’identità professionale personale è nella profondità dei valori che rappresentano l’autorevolezza della propria persona. E questo se è importante per il riconoscimento nel lavoro, diventa l’essenza del proprio essere nelle relazioni sociali.