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Per l’assegno divorzile rileva anche l’apporto ai successi del coniuge

viale della vita
Ph. Luca Martini / viale della vita

Abstract:

L’assegno divorzile ha una funzione ugualmente “assistenziale” e “compensativa e perequativa per cui in giudizio occorre accertare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive secondo i criteri equi-ordinati previsti dall’articolo 5 comma 6 della Legge n. 898 del 1979 che costituiscono il parametro per decidere sia sulla attribuzione che sulla quantificazione dell’emolumento.

In questo contesto, peraltro, assume rilevanza anche l’elemento del contributo offerto dal soggetto beneficiario per il successo professionale e lavorativo avuto dal coniuge obbligato, da intendersi non solo come presupposto per il miglioramento della situazione economica e patrimoniale di quest’ultimo, ma anche e soprattutto quale concausa delle nuove e più gratificanti opportunità nel mondo del lavoro che lo stesso coniuge possa avere avuto in costanza di matrimonio o anche successivamente a questo ma in maniera da esso dipendente.

Il punto debole di questo lodevole orientamento è solo l’aspetto probatorio e, quindi, la difficoltà oggettiva di dimostrare in sede processuale il nesso causale tra il contributo del soggetto beneficiario e la progressione economica e professionale dell’altro.

 

La vicenda

La vicenda in esame trae origine dalla impugnativa, dinanzi alla Corte Suprema, della sentenza con la quale il Giudice di appello aveva riconosciuto, in favore della ex moglie, la corresponsione di un assegno divorzile, la cui richiesta in primo grado era stata rigettata, quantificato sulla base dello squilibrio economico intervenuto nella situazione delle parti in epoca successiva alla separazione in conseguenza del miglioramento professionale acquisito nel tempo dall’ex marito e alla inadeguatezza dei mezzi della ex moglie a consentirle il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

Il marito ricorrente, infatti, evocava il giudizio di legittimità chiedendo che fosse determinato in concreto il diritto all’assegno divorzile sulla base del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio e delle effettive disponibilità economiche e reddituali della moglie, senza limitarsi alle sole risultanze delle dichiarazioni dei redditi e senza valutare la propria progressione di carriera come conseguente al rapporto matrimoniale ma piuttosto quale evento eccezionale per essere stato egli vincitore di concorso pubblico.

 

La decisione

Con l’ordinanza (Corte di Cassazione, Sezione Prima, Ordinanza n. 3853 del 15 febbraio 2021)  la Corte di Cassazione ha precisato come nel caso di specie i Giudici di appello non abbiano considerato l’apporto effettivo dato dalla ex moglie alla conduzione del menage familiare, alla costituzione del patrimonio comune ed alla formazione di quello personale dell’altro coniuge e come pertanto gli stessi abbiano errato nelle loro conclusioni limitandosi soltanto a menzionare la durata del matrimonio senza dare conto degli altri parametri di rilevanza previsti dalla Legge n. 898 del 1970 e addirittura nemmeno valutando la situazione reddituale aggiornata degli ex coniugi nonché quella patrimoniale complessiva degli stessi.

Sempre gli Ermellini, inoltre, hanno evidenziato come la Corte di merito non abbia “…dato conto del nesso causale tra la sopravvenuta sproporzione economico-patrimoniale e il contributo fornito dall’ex moglie con riguardo ai criteri suddetti, ossia mediante la valutazione della sussistenza o meno dei presupposti assistenziali, compensativi e perequativi per l’attribuzione dell’assegno divorzile, con il quale è riconosciuto al coniuge richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato all’apporto dallo stesso fornito nella realizzazione della vita familiare in ogni ambito di rilevanza….”.

Alla luce di tanto, dunque, la Corte Suprema ha cassato la sentenza di appello impugnata e ha rimesso le parti dinanzi al Giudice di secondo grado perché si prendessero in esame i fatti decisivi emersi in sede di discussione di legittimità in modo tale da conformare la nuova decisione ai criteri a tal fine individuati.

 

Le riflessioni conclusive ed il rilievo dell’apporto ai successi personali del coniuge

I giudici di legittimità, con l’interessante ordinanza in commento, intervengono nella sempre dibattuta problematica della individuazione e corretta valutazione dei criteri di fatto atti a determinare il riconoscimento o meno dell’assegno divorzile in favore del coniuge istante.

In particolare la Corte, come vedremo di seguito aderendo al suo indirizzo più recente e maggioritario, ha anzitutto ribadito ancora la funzione ugualmente “assistenziale” e “compensativa e perequativa” che l’articolo 5 comma 6 della Legge n. 898 del 1979 riconosce all’assegno divorzile, al punto da affermare la necessità, in sede di giudizio di merito, dell’“accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno”.

Come è noto, infatti, sul tema vi è stata una lunga evoluzione interpretativa.

Da un primigenio e preminente orientamento della giurisprudenza di legittimità, sviluppatosi fino al 2017, che ha visto come criterio principale di riconoscimento del diritto all’assegno quello dall’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che fosse necessario provare uno stato di bisogno dell’avente diritto (1)  si è passati ad un altro, totalmente differente, in base al quale il criterio distintivo veniva individuato unicamente nel raggiungimento o meno dell’indipendenza economica reale o potenziale da parte del soggetto richiedente (2).

Solo con il decisivo intervento a Sezioni Unite del 2018 si è finalmente affermato il principio della parità della funzione assistenziale dell’assegno rispetto a quella, altrettanto importante, compensativa – perequativa, secondo una più corretta applicazione dei criteri dell’articolo 5, comma 6, della Legge n. 898 del 1970 (3) che la Corte di Cassazione dimostra, con la pronuncia in commento, di fare propri anche oggi e di volere ritenere gli unici validi e pertinenti ai fini del riconoscimento del contributo di mantenimento.

Testualmente, invero, questa disposizione normativa subordina tale obbligo pecuniario al fatto che si tenga conto “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi…” nonché all’ulteriore circostanza che tutti i suddetti elementi siano comunque valutati “ … anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

L’indiscusso merito, dunque, che ha l’ordinanza in commento è certamente quello di prestare finalmente la dovuta attenzione, lo ripetiamo sempre in un contesto di riconoscimento della centralità della funzione compensativa-perequativa dell’assegno, all’elemento del contributo offerto dal soggetto beneficiario per il successo professionale e lavorativo avuto dal coniuge obbligato, da intendersi, si badi bene, non solo come presupposto per il miglioramento della situazione economica e patrimoniale di quest’ultimo in termini, ad esempio, di avanzamenti di carriera, ma anche e soprattutto, e lo si intuisce tra le righe della decisione, quale concausa delle nuove e più gratificanti opportunità nel mondo del lavoro che lo stesso coniuge possa avere avuto in costanza di matrimonio o anche successivamente a questo ma in maniera da esso dipendente.

Solo in questo modo, del resto, si comprende, da una parte, la linea di difesa assunta nel caso esaminato dal marito obbligato per far ritenere il proprio avanzamento di carriera come un evento eccezionale ed indipendente dalla vita coniugale e dalla vicinanza della ex moglie, e dall’altra il monito dei Giudici di legittimità, rivolto alla Corte territoriale rimettente, di osservare ed applicare “una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente l’assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”.

La spiegazione che in proposito ci fornisce la Corte è, del resto, quanto mai chiara ed esaustiva poiché la stessa sottolinea come “…la natura perequativo-compensativa (ndr. dell’assegno), che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi .

Si tratta, pertanto, di un provvedimento che conferisce il giusto peso al predetto elemento del contributo del beneficiario alle fortune lavorative e professionali dell’altro coniuge, troppo spesso nemmeno preso in considerazione non tanto per una dimenticanza degli organi giudiziali, quanto piuttosto per la difficoltà, oggettiva, della parte interessata di fornire dello stesso una dimostrazione concreta e valida in sede processuale.

Eppure, se riflettiamo attentamente ci rendiamo agevolmente conto di quanto detto elemento contraddistingua nei fatti le sempre difficili relazioni interpersonali tra i coniugi e quale incidenza esso abbia nella delicata fase della fine del rapporto matrimoniale, così contraddistinta con frequenza anche da rivendicazioni personali e da altri fattori più emotivi che giuridici.

Non possiamo infatti tralasciare di considerare come la dedizione ed il sacrificio personali che il soggetto più debole (e diciamolo pure quasi sempre la donna senza timore alcuno di scivolare nel qualunquismo) dimostra in costanza di matrimonio per il bene e l’unità familiare assumano una importanza fondamentale, se non decisiva, nella carriera dell’altro coniuge che, ovviamente, si tramuta in un corrispondente miglioramento reddituale e patrimoniale di questi.

È certamente anche a questo elemento, del resto, che il legislatore ha inteso riferirsi quando ha parlato di “contributo personale ed economico dato da ciascuno … alla formazione del patrimonio di ciascuno ed è proprio questo il criterio principe che nel caso di specie la Corte di Cassazione ha voluto, certamente non a caso, mettere nella giusta luce in un ambito processuale.

Se, infatti, facciamo mente locale ci si rende agevolmente conto di come nelle aule di giustizia l’espressione “contributo personale” abbia al più assunto il significato di “cure dedicate alla persona dell’altro coniuge”, soprattutto con riguardo a possibili ragioni di salute di questi che ne abbiano aumentato l’intensità e l’assiduità, ovvero quello di “lavoro domestico” del coniuge, quasi sempre di genere femminile, che vi si dedichi prevalentemente o addirittura totalmente, ma difficilmente lo si ricollega, come sarebbe giusto pretendere, al raggiungimento dei successi lavorativi ed all’affermazione professionale del coniuge obbligato.

Come detto, però, il punto debole di questa lodevole interpretazione è senza dubbio l’aspetto probatorio e, quindi, il riuscire a dimostrare, in maniera efficace e soprattutto valida dal punto di vista processuale, il nesso causale tra il contributo del soggetto beneficiario e la progressione economica e professionale dell’altro, poiché è indubbio che questo parametro assuma rilevanza, anche in termini di quantum dell’assegno divorzile, solo ed in quanto venga appunto dimostrato in sede giudiziale.

Nel caso considerato, ad esempio, qualche dubbio in proposito fondatamente sorge a chi legge poiché l’ordinanza in commento appare piuttosto come una condivisibile manifestazione di intenti che lascia però inalterato il problema della regolamentazione dei rapporti giuridici tra i coniugi, demandando interamente, anche per intuibili ragioni di competenza funzionale, ai Giudici di merito, cui la causa è stata poi rimessa, il difficile compito di veder rispettato concretamente l’onus probandi.

Non riusciamo, invero, a capire come si possa sviluppare in sede dibattimentale la discussione in ordine a questo parametro in un contesto familiare e coniugale in cui entrambi i coniugi abbiamo rilevato essere dotati di una propria adeguata indipendenza economica e titolari entrambi di ulteriori autonome fonti reddituali per cui il richiamo, giusto, della Corte alla doverosa applicazione anche di questo criterio ci appare più come una fattispecie di scuola che un vero e proprio principio giuridico che possa trovare applicazione pratica.

Ciò, in ogni caso, non sminuisce assolutamente l’importanza di questo richiamo che assurge a definitiva conferma del deciso cambio di rotta che i Giudici di legittimità hanno voluto assumere in materia con riguardo, appunto, al ruolo centrale della funzione perequativo-compensativa dell’assegno di mantenimento rispetto a quella esclusivamente assistenziale retaggio di un passato giurisprudenziale ormai abbandonato (4).  

 

1 - Vedi su tutte Cass. SS.UU. civili, sentenze nn. 11490/1990 e 11492/1990

2 - Vedi Cass. Civ. – Sezione Prima - sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017 (“…occorre «superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva» perché è "ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile. Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale”)

3 - Vedi Cass. SS.UU. civili, sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018

4 - Vedi Cass. civ. Sez. VI, sentenza 26 gennaio 2015 n. 1264; Cass. civ. Sez. VI, sentenza 13 ottobre 2014 n. 21597; Cass. civ. Sez. I, sentenza 12 febbraio 2013 n. 3398; Cass. civ. Sez. I, sentenza 27 novembre 2013 n. 26491; Cass. civ. Sez. I, sentenza 29 febbraio 2008 n. 5434; Cass. civ. Sez. I, sentenza 17 maggio 2005 n. 10344; Cass. civ. Sez. I, sentenza 14 febbraio 2004 n. 2897 e Cass. civ. Sez. I, sentenza 14 marzo 2000 n. 2920.