Pensieri critici sull’idea di giustizia della coalizione Lega/Movimento Cinque Stelle
“Il diritto non deve mai adeguarsi alla politica,
ma è la politica che in ogni tempo deve adeguarsi al diritto.
Immanuel Kant
Sembra sempre più probabile che il Movimento Cinque Stelle e la Lega raggiungano l’intesa per la formazione del nuovo Governo.
Il programma politico di quest’inedita coalizione è stato condensato in un documento denominato contratto per il governo del cambiamento la cui ultima versione, al momento, è quella del 17 maggio 2018 ore 11.
Mi intendo solo di giustizia penale e di quella soltanto parlo.
La lettura di questa parte del contratto mi fa venire in mente tre espressioni: più, non più e meno.
Nell’area del più penso si possano collocare anzitutto gli inasprimenti di pena concordati dalle due formazioni politiche: pene più alte per la violenza sessuale, per tutti i delitti contro la pubblica amministrazione a sfondo corruttivo, per i “reati particolarmente odiosi” quali i furti in abitazione o aggravati o con strappo, le rapine e le truffe in danno di persone anziane e per le condotte di scambio politico - mafioso.
Nella stessa area ricadono l’introduzione di nuove aggravanti per la violenza sessuale, connesse alla vulnerabilità della vittima e alla particolare gravità della condotta, la non meglio precisata modifica delle fattispecie dei suddetti reati odiosi, “l’implementazione delle leggi attuali riguardanti i reati ambientali e quelli nei confronti degli animali, garantendo maggiore tutela rispetto a fatti gravi ancora non adeguatamente perseguiti e un maggiore contrasto al bracconaggio”.
Lo stesso vale per l’introduzione di misure preventive (DASPO) e pene accessorie (interdizione dai pubblici uffici e incapacità perpetua a contrattare con la pubblica amministrazione) per corrotti e corruttori.
Idem per la carrellata finale: più intercettazioni (per i reati corruttivi ma non solo), più legittima difesa domiciliare (avocando al legislatore la definizione della proporzionalità tra difesa e offesa), maggiore aggressione ai patrimoni di provenienza illecita, introduzione di agenti sotto copertura e agenti provocatori (limitatamente ai reati corruttivi) e infine più ANAC nel senso di potenziare i poteri di vigilanza e prevenzione dell’organismo diretto da Raffaele Cantone.
Passo adesso al non più.
Non più rito abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo e i più gravi tra i delitti elencati nell’articolo 51 comma 3-bis del codice di procedura penale.
Da abrogare, “per far sì che chi sbaglia torni a pagare”, tutti “i provvedimenti emanati nel corso della legislatura precedente tesi unicamente a conseguire effetti deflattivi in termini processuali e carcerari” tra i quali “l’abrogazione e la depenalizzazione di reati, trasformati in illeciti amministrativi e civili, la non punibilità per particolare tenuità del fatto, l’estinzione del reato per condotte riparatorie anche in assenza del consenso della vittima, nonché i periodici svuota carceri”.
Infine il meno.
Questo segno caratterizza – così mi pare – ogni aspetto dell’esecuzione penale.
Ritengo che rientri a pieno titolo in questa voce un’espressione così: “Occorre realizzare condizioni di sicurezza nelle carceri, rivedendo e modificando il protocollo della c.d. ‘sorveglianza dinamica’ e del regime penitenziario ‘aperto’, mettendo in piena efficienza i sistemi di sorveglianza”.
Posso ovviamente sbagliare ma penso che la revisione e la modifica di cui si parla siano un modo soft per dire che d’ora in poi la sorveglianza dinamica e le celle aperte saranno una timidissima eccezione.
Lo stesso pensiero mi viene, ma potrei sbagliare nuovamente, quando leggo che “Si prevede altresì una rivisitazione sistematica e organica di tutte le misure premiali”.
Non so bene perché ma quella “rivisitazione” la immagino come una robusta contrazione dei benefici penitenziari e insisto dunque col segno meno.
Meno detenuti stranieri nelle nostre carceri: si continuerà ad arrestarli, va da sé, ma si attiveranno tutti gli accordi necessari per fargli scontare la pena nei loro Paesi d’origine, senza stare troppo a preoccuparsi delle condizioni che gli saranno riservate.
Meno “carcere duro” ma solo nel senso che occorre assicurare “un effettivo rigore nel funzionamento del regime”. Sintetizzerei così questa espressione: meno carcere non sufficientemente duro e più carcere di quello veramente duro.
Neanche i minorenni e i maggiorenni infraventicinquenni sfuggono alla regola del meno/mai più: “A fronte di una progressiva precocità di comportamenti criminali, anche gravi, da parte di minori, occorre rivedere in senso restrittivo le norme che riguardano l’imputabilità, la determinazione e l’esecuzione della pena per il minorenne, eliminando inoltre la possibilità di trattamento minorile per il c.d. ‘giovane adulto’ infra-venticinquenne”.
Segnalo per completezza che il contratto si propone di salvaguardare la dignità dei detenuti attraverso la costruzione di nuove carceri.
Confesso di non aver saputo individuare l’ambito in cui collocare quest’equazione.
Non poteva infine mancare la prescrizione.
Leggo che “È necessaria una efficace riforma della prescrizione dei reati, parallelamente alle assunzioni nel comparto giustizia: per ottenere un processo giusto e tempestivo ed evitare che l’allungamento del processo possa rappresentare il presupposto di una denegata giustizia”.
Potrei sbagliarmi pure qui ma credo che quell’efficace riforma non possa che consistere in un drastico allungamento dei termini prescrizionali (quindi più) con una altrettanto drastica diminuzione delle decisioni di proscioglimento per estinzione del reato in conseguenza della prescrizione (quindi meno).
Questo è ciò che le forze di maggioranza si propongono di fare.
Io però penso:
- che si persevera nell’errore del panpenalismo, da intendersi come la convinzione che la miglior risposta possibile ad ogni crisi sociale sia la sanzione penale, laddove elementari principi di civiltà giuridica e banali tecniche di problem solving imporrebbero soluzioni differenti;
- che si continuano ad usare, come presupposto giustificativo di determinate politiche, percezioni collettive erronee (alcune delle quali è più che lecito pensare siano state indotte da martellanti campagne politico – mediatiche), tra queste in particolare la convinzione che nel nostro Paese sia in costante ed allarmante aumento il numero dei reati mentre le statistiche ufficiali del Viminale dicono che è vero il contrario;
- che si assegnano alla pena, soprattutto alla sua più grave e dolorosa declinazione, cioè quella carceraria, funzioni esclusivamente punitive in palese violazione del sempre più negletto principio costituzionale del finalismo rieducativo;
- che si stanno ponendo le premesse per il ritorno, in tempi sbalorditivamente brevi, alla condizione di sovraffollamento carcerario che ci era costata continue rampogne del Consiglio d’Europa e imbarazzanti condanne a Strasburgo, condizione da cui siamo usciti a fatica grazie alle misure deflattive che oggi ci si impegna ad abrogare;
- che si ignorano molteplici e documentatissimi studi i quali hanno dimostrato che i tassi di recidiva dei condannati sono inversamente proporzionali all’efficacia del loro complessivo trattamento carcerario: tanto più gli vengono assicurati reali strumenti rieducativi (istruzione e formazione, lavoro, trattamenti individualizzati, possibilità di accesso ai benefici penitenziari), tanto minore sarà la loro propensione a commettere nuovi reati; tanto meno li si considererà essere umani il cui recupero è prezioso per loro stessi e per l’intera comunità, tanto più alto sarà il rischio di trasformarli in feroci predatori per necessità, rabbia e frustrazione;
- che si introducono misure in aperto contrasto con l’ulteriore principio costituzionale della ragionevole durata dei giudizi e con l’obiettivo di una giustizia più rapida ed efficiente che pure si afferma di perseguire; va in questa direzione lo sbarramento al rito abbreviato per i casi citati (con la conseguenza che un numero rilevante di giudizi di elevatissima complessità potrà essere celebrato solo nelle forme ordinarie, tenendo impegnati per anni e anni giudici a composizione collegiale e favorendo la scarcerazione degli imputati ristretti per decorrenza dei termini massimi di custodia); lo stesso effetto è in grado di produrre un ulteriore allungamento dei termini prescrizionali che di fatto consegna alla discrezionalità organizzativa degli uffici giudiziari e dei loro dirigenti i tempi di conclusione dei procedimenti con il consistente rischio che proprio quelli più complessi, senza più la preoccupazione dell’estinzione, finiscano sullo sfondo;
- che si dimenticano, o peggio si ignorano, i più aggiornati approdi delle neuroscienze sulla formazione progressiva di adeguate capacità volitive e deliberative degli esseri umani; si pensa ad abbassare l’età dell’imputabilità, sicché ad esempio un dodicenne potrebbe essere trattato penalmente alla stregua di un adulto; si annullano i trattamenti differenziati per i giovani adulti; e si ignora che così facendo gli si imputeranno a pieno titolo condotte del cui disvalore non erano adeguatamente consapevoli proprio a causa della loro giovane età e del loro incompleto sviluppo psichico;
- che si introducono figure come l’agente provocatore di assai dubbia legittimità democratica, tali da provocare rilevanti incertezze interpretative sull’effettiva configurabilità dei reati compiuti in risposta all’input dell’agente medesimo e probabili prese di posizione negative dei giudici dei diritti umani di Strasburgo.
Io penso che così non si parli più di diritto nel senso suo proprio.
Perché ogni norma e l’intero ordinamento giuridico di cui fa parte devono essere sempre e soltanto pro homine.
Non certo nel senso di permettere agli esseri umani di espandere senza limiti la loro libertà a danno dei loro simili.
Ma il diritto nasce dall’uomo ed è o dovrebbe essere sempre uno strumento per la sua elevazione, mai per la sua mortificazione.
Un diritto che trasforma gli uomini in vuoti a perdere smarrisce il suo scopo e si trasforma in un insieme insensato di precetti insensati.
Questo penso.