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Quel guizzo di umana scrittura

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Quel guizzo di umana scrittura
 

Sarò boomer, ma continuo a pensare che l’applicazione dell’intelligenza artificiale a quella naturale sia una stortura nociva. Al di là di algoretica e di altre questioni fondamentali, come si può lasciare i nostri scritti, le nostre parole, il nostro io, in balìa di un copiatore seriale?

Credo sia possibile pensare all’AI in modo eccezionale per le routine, per velocizzare procedure ripetitive, per azioni seriali, per il controllo di gestione, per analisi finanziarie, non certo per quel guizzo di umana scrittura che fornisce gioia a chi scrive e a chi legge.

Anche in ambito amministrativo per gli atti vincolati, non per i provvedimenti, cioè per la parte in cui la decisione si basa su una ponderazione di interessi in gioco. E vale, a maggior ragione, negli ambienti scientifici per mille aspetti. Ne elenco uno soltanto. Se AI si basa su quello che conosce in quanto registrato, analizzato e rielaborato, il punto di approdo è lo stato dell’arte e, pertanto, non può esserci progresso scientifico. Certo, può aiutare l’analisi, fornire riscontri statistici, suggerire nuove ipotesi, ma alla fine la scienza è umana, tanto tecnica quanto umanistica.

Tralascio in questa sede i risvolti giuridici, con conseguenze nefaste per la tutela dei diritti (e del diritto), ma anche le applicazioni disumane degli algoritmi quando si tratta di azioni con ricadute sulle persone (priorità al pronto soccorso, valutazione dei titoli non numerici, etc.) e torniamo al lato umano e umanistico.

Se Leopardi avesse chiesto all’AI di scrivere una poesia sull’infinito sono ben certo che ne sarebbe scaturita una composizione accurata, ma non sarebbe stata la poesia di Leopardi, né in esordio (Sempre caro...), né in commiato (... naufragar m’è dolce in questo mare). Insomma, un infinito ma non l’Infinito.

Il paragone con un altro grande poeta come Dante sarebbe stato impari. Per quale ragione? Mentre Leopardi scrisse l’infinito come moto autentico dell’anima, quasi di getto e sicuramente autentico, Dante progettò la Commedia anche con strategia politica, raffinatezza logica di sequenza di eventi, definendo il contrappasso per le anime dannate. Orbene, l’AI sarebbe in grado di scrivere 3 cantiche di 33 canti più uno d’esordio a fare 100 con tutta la simbologia mistica e il genio di frasi che ancor oggi pronunciamo come aforismi?

Per non dire dei dubbi, dei ripensamenti d’autore, dell’evoluzione del pensiero per approssimazioni successive, sempre alla ricerca della parola più efficace, della cesura ritmica, dell’anello che non tiene. Mentre l’AI scrive un articolo per un giornale on-line in una decina di secondi o meno, come vedremo tra poco, Alessandro Manzoni scrisse I promessi sposi a più riprese, tra il 1825 e il 1842, cambiandone addirittura il titolo, con significative correzioni e aggiustamenti semantici in quasi vent’anni.

Se ci si scambia su whatsapp 300 messaggi al giorno (escludendo emoji) sempre uguali (ad esempio per gli auguri di Pasqua), perché non farlo fare all’AI, chiedendo la personalizzazione per destinatario? Ad esempio, “aggiungi gli auguri di pronta guarigione a chi sta male”. E, in questo caso terribile, come coniughiamo la protezione dei dati personali con la messa a disposizione di terzi di queste informazioni?

Se invece fosse necessario sostenere un dialogo profondo, un confronto serrato su qualcosa di intelligente e di intimo, come può saperlo forgiare una macchina che per definizione non inventa? Come può farlo se copia e incolla i coriandoli di frasi presenti in rete solo per analogia lessicale e di contenuti? Com’è possibile sostituire la semantica artificiale al pensiero laterale?

E poi il retropensiero e il pensiero nascosto. Certo, non si tratta di una cosa entusiasmante, ma pur sempre di varia umanità, da preferirsi alle cose non umane. E i sentimenti? E le passioni? Sappiamo che molte opere letterarie sono nate da situazioni di sofferenza, di crisi, a volte anche capovolte in opere di successo. Spesso la mente in cattività riesce a dare il meglio di sé perché è costretta a ragionare, a sequenziare le idee, a trovare una logica anche quando tutto sembra surreale.

Così il “Manifesto di Ventotene” con cui è stata realizzata l’idea concreta di democrazia europea, così pure “Il viaggio intorno alla mia camera” di Xavier De Maistre, in cui l’autore agli arresti domiciliari per 42 giorni riesce a trovare in uno spazio angusto l’universo nelle cose di ogni giorno e sulle quali non si era mai soffermato, infine “Le mie prigioni” di Silvio Pellico, un racconto lungo i dieci anni di detenzione in luoghi differenti, tanto che quel libro riuscì a farsi le beffe della censura e a oscurare lo strapotere asburgico.

Ci sono anche aspetti molto preoccupanti per lo sviluppo del pensiero critico. In altre parole, l’AI non può essere la scorciatoia maestra per gli allievi indolenti. La scrittura della tesi è una delle pagine più importanti per uno studente universitario, anche se costa fatica. Di fatto, è l’opera prima. Perché commissionarla ad altri spacciandola per propria? Infatti, per un sano contrasto a ChatGPT in ambito formativo, visto che l'intelligenza artificiale scrive in maniera rapida e fluente, le università di USA e di Australia hanno deciso di tornare alla penna e al calamaioe su questa stessa Rivista:

E il conflitto costruttivo? Meglio affrontare a muso duro, ma in modo autentico, le persone alle quali teniamo, tanto nel personale quanto nel professionale, evitando il tacere torbido, il chiacchiericcio alle spalle o, più semplicemente, un “tanto non cambierà nulla”. La forza della comunicazione a volte sta anche in questo: saper demolire per poi costruire.

Viceversa, la paura di comunicare ci mette all’angolo come in un ring, nella disistima, nel tunnel delle incomprensioni, nell’abbandono della strada dell’autenticità che l’AI non può cogliere. E, per chiudere il cerchio sull’argomento, la forma di comunicazione con significati maggiori è il silenzio. Sia per godere di un momento in cui le parole varcano la soglia del superfluo, sia per regalare l’indifferenza alle relazioni cui non apparteniamo. L’AI per intrinseca natura parla, scrive, racconta. Ma quante cose si comunicano con il silenzio, sia positive che negative? Del resto, tornando a Leopardi, quell’infinito era espressamente dedicato al silenzio.

E ancora, quale migliore soddisfazione da un punto di vista comunicativo, quasi un coup de théâtre, quando una persona abituata a modi arroganti tratta male da tempo un dipendente che, al redde rationem, la tratta peggio senza che il maleducato sia in grado di comprenderlo fino all’ultimo?

Questa è la vittoria della comunicazione sardonica, dell’intelligenza auto-riparativa e non maligna. Sono azioni e parole che l’intelligenza artificiale non potrà mai esprimere, perché non conosce la sottile ironia dell’animo umano. E a volte ferisce di più una battuta tagliente di un discorso di due ore sotto forma di monologo.

Usciamo dalla teoria per un caso concreto su quest’ultimo punto. Un dirigente sempre alla ricerca di errori e di attribuzione di colpe, costantemente rivolto a umiliare una persona nella riunione periodica (che il dirigente non sapeva essere l’ultima), continuava a caricare di lavoro e di frasi poco gentili il solito malcapitato. Alla fine della riunione, quest’ultimo dice: “Anch’io avrei qualcosa da dire. Ieri ho saputo di aver vinto un concorso da dirigente in un’altra struttura e andrò a farlo fra un mese. Mi dispiace per tutto il carico di lavoro odierno, che non riuscirò a portare a termine per ovvie ragioni, ma vi saluto tutti con viva cordialità, in particolar modo il nostro dirigente”. Non c’è nulla di meglio, come rivincita e rinascita, di trattare male con garbo una persona senza che se ne accorga fino all’ultimo istante.

Per queste ragioni, quando ognuno di noi comunica, lascia di sé una traccia originale, unica e irripetibile. È chiara la differenza tra avere in casa la Gioconda e una sua copia comprata nelle bancarelle fiorentine? Qualcuno penserà: se la Gioconda si trova in una casa privata è opportuno segnalare il furto. Bene; ho riferito a ChatGPT che possedevo in casa la Gioconda e di descriverla: mi ha fatto i complimenti... e altre cose carine.

In buona sostanza, non possiamo sostituire la nostra capacità di comunicare e scegliere di delegare in modo passivo l’AI. Eppure, è già accaduto.

Ecco un articolo del Post sui temi della redazione “artificialmente intelligente” degli articoli, con un tempo maggiore sprecato sulla correzione degli articoli.

Ne è seguita una figuraccia a reti unificate, rilanciata da Futurism 

Dunque, se risulta necessario correggere con sagacia e acume gli abbagli di una macchina, è preferibile scrivere i testi direttamente. Non a caso, quel guizzo di umana scrittura non potrà mai essere artificiale, come questo articolo che tu, lettore o lettrice, hai appena letto. È scaturito da un’idea semplice, di getto, rivisto, integrato e corretto un centinaio di volte. Ma questo l’AI non lo sa, perché nella pubblicazione non rimane nulla del fluire della scrittura creativa, delle incertezze, degli inciampi e delle variabili lessicali.

Un'ultima considerazione: non è lo strumento, ma l'uso distorto che se ne può fare che dev'essere osservato con attenzione e rimesso in sesto. ChatGPT è prodotto della scienza umana ed è per questo che è meravigliosa. E lo sforzo intellettuale per crearla è paragonabile a quello della Divina Commedia o forse anche di più, visto che è stata sviluppata da un team di scienziati. Per questo non dobbiamo imboccare scorciatoie facili, ma rimanere nel sentiero della nostra intelligenza.

Buona comunicazione autentica.