Russia-occidente: segnali di attacco alla democrazia
Russia-occidente: segnali di attacco alla democrazia
Le vigenti tensioni tra la Russia e l’Occidente non possono essere ritenute una “novità”: da tempo, si è consapevoli della volontà del Presidente Vladimir Putin di riaffermare gli interessi russi non solo a livello europeo ma addirittura mondiale. In concreto, l’intento perseguito è quello di riconquistare una parte del prestigio e dell’influenza internazionale persa in seguito alla disgregazione dell’URSS.
In tale sede, non si vuole riservare attenzione alle strategie escogitate dal Presidente russo. La questione cruciale – a parere di chi scrive – è un’altra. È interessante constatare come la Russia abbia adottato misure volte a limitare parzialmente l’accesso al social network Facebook. Come annunciato dal c.d., Roskomnadzor (Servizio federale per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa), la Procura generale, in accordo con il Ministero degli Esteri, ha reputato coinvolto tale social network nella “violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nonché dei diritti e delle libertà dei cittadini russi”. Nel corso della Presidenza Putin (in carica dal 2000), le denunce occidentali aventi ad oggetto le violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Russia sono andate moltiplicandosi. A tal riguardo, è memorabile la copertina del 25 agosto 2007 di una delle testate giornalistiche di maggiore rilievo internazionale, l’Economist, intitolata “Putin’s people. The spies who run Russia”; tale testata esprimeva un giudizio negativo in ordine alla guida del Cremlino, considerato che la Russia figurava tra le ultime posizioni in una classifica sullo stato della democrazia predisposta dall’Economist Intelligence Unit nel 2006. In origine, i maggiori Paesi occidentali (tra cui l’Italia) hanno assunto una posizione di difesa nei confronti della Presidenza Putin. Con il decorrere degli anni, i Governi hanno adottato un atteggiamento sempre più ostile, a causa delle molteplici critiche provenienti dall’opinione pubblica. Entrando nello specifico, il deterioramento dei rapporti tra di essi è avvenuto per due motivi: le restrizioni alle libertà civili e politiche e l’accentramento di poteri nel Governo centrale.
Con riguardo al primo motivo, il Governo russo ha spesso celato violenze e intimidazioni. Celebre è il caso di Anna Politovskaia, una giornalista uccisa a Mosca nel 2006, la quale aveva intrapreso plurime inchieste manifestamente denigratorie verso la Presidenza Putin. Per quanto concerne il secondo motivo, si fa leva sul processo di svuotamento dei poteri e delle competenze delle autorità territoriali, private del diritto di eleggere i governatori regionali. In aggiunta, desta da sempre timore la prevalenza del potere esecutivo su quello legislativo e giudiziario.
Il 2 marzo 2021, il Consiglio dell’UE ha imposto misure restrittive (in primis, divieto di viaggio, congelamento dei beni ecc.) nei riguardi di quattro cittadini russi responsabili di gravi violazioni di diritti umani, nonchè di arresti e detenzioni arbitrali, della repressione della libertà di riunione pacifica e associazione, della libertà di opinione ed espressione in Russia. È la prima volta che l’Unione impone misure nel quadro del nuovo regime globale di sanzioni in materia di diritti umani istituito il 7 dicembre 2020.
Particolare attenzione deve essere prestata al dialogo tra la Corte di Strasburgo e la Corte Costituzionale della Federazione Russia. Sebbene la Costituzione russa del 1993 riservi ampia considerazione alla tutela dei diritti umani, non sono mancati casi in cui il dialogo tra la Corte EDU e la Corte Costituzionale russa è venuto meno. A tal proposito, si segnala la sentenza K. Markin c. Russia del 7 ottobre 2010: la Corte EDU non solo dichiarava che l’omesso riconoscimento da parte del giudice russo del congedo parentale della durata di tre anni implicava una violazione dell’art. 14 della CEDU in combinato con il suo art. 8, ma accusava anche la Corte Costituzionale russa per le argomentazioni in base alle quali aveva dichiarato inammissibile l’istanza sulla verifica di costituzionalità di una serie di disposizioni che violavano – nell’ottica del ricorrente – i suoi diritti costituzionali (tra cui i principi di uguaglianza e di non discriminazione). La risposta della Corte costituzionale non si è fatta attendere: la CEDU, pur essendo parte integrante dell’ordinamento giuridico russo, non è superiore alla Costituzione; alla Russia si riconosce il diritto di predisporre un “meccanismo di tutela” nei confronti delle sentenze della Corte EDU che sollevano dei dubbi in termini di realizzazione degli scopi CEDU, oltre ad intaccare direttamente la sovranità nazionale e i principi costituzionali fondamentali della Russia. In tale contesto, assume spessore la sentenza del 14 luglio 2015, con la quale la Corte costituzionale russa statuisce che la Corte EDU potrebbe compiere “un’interpretazione differente dell’oggetto e dei fini della Convenzione”, tale da condurre le disposizioni della CEDU a confliggere con i fondamenti costituzionali, incluso quello della supremazia della Costituzione e della sovranità statale. Tuttavia, tale scenario non è concretizzabile, giacchè le sentenze della Corte EDU non possono, ai sensi degli artt. 4, comma 1, 15 comma 1, e 79 Cost., violare il principio della priorità della Costituzione: la Russia non può compiere una delega di attribuzioni a favore di un’organizzazione internazionale ove ciò determini “la rinuncia alla sovranità dello Stato russo che rientra tra i principi costituzionali e presuppone la supremazia, l’indipendenza e l’autonomia del potere statale”. Compete sempre alla Corte costituzionale della Federazione russa l’accertamento della potenziale sussistenza di tali conflitti, dal momento che “la contraddizione manifestatasi tra l’interpretazione fornita dalla Corte Edu delle disposizioni della Cedu e le disposizioni costituzionali solleva la questione dell’effettivo significato di queste ultime rispetto alla contraddizione emersa e agli obblighi internazionali della Russia... che può essere risolta soltanto ricorrendo al processo costituzionale”. Conseguentemente, “un’interpretazione differente dell’oggetto e dei fini della Convenzione” offre alla Russia “il presupposto per rifiutarsi di adempiere in via d’eccezione a tali obblighi, sempre che tale rifiuto sia l’unico modo possibile per evitare una violazione dei principi fondamentali e delle norme della Costituzione della Federazione russa”.
Alla luce di tali elementi, emerge come lo scontro tra Russia e Occidente non attenga esclusivamente al versante politico e militare, ma investa le rispettive ideologie, i valori.
In particolare, l’opposizione di valori trova riscontro nel Pussy riots del 2012, che vede protagoniste tre ragazze colpevoli di “teppismo per motivi di odio religioso” (art. 213 del Codice penale russo); una pronuncia giudicata da Amnesty International come un “duro colpo alla libertà d’espressione in Russia”. Tale “guerra di valori” è stata oggetto di varie interpretazioni. Colpisce profondamente la tesi del filologo Ivan Andreevič Esaulov, per il quale “con la distruzione dell’Unione Sovietica, il processo di uscita dalla forma mentis generata in epoca sovietica non è arrivato fino in fondo. Paradossalmente questo tipo di mentalità si è perfino rafforzato”. Esaulov riduce la Russia contemporanea ad una realtà non in grado di abbracciare i valori cristiani; egli, altresì, coglie nella Presidenza Putin la prosecuzione dell’ideologia sovietica hegeliana e marxista. Sebbene tale interpretazione contempli elementi attendibili, è opportuno tenere conto di taluni fenomeni estranei alla Russia prima del 1991. Allo stato attuale, la Russia non sembra – ad avviso di chi scrive – ancorata in toto al suo passato. Una prova è data dalla lettera di protesta sottoscritta dal mondo scientifico russo e pubblicata da Trv-Science, nella quale si dichiara che l’avvio della guerra condanna la Russia a “uno stato di isolamento internazionale”; ciò si traduce in una “decadenza culturale e tecnologica” del Paese, nonché nella “totale mancanza di prospettive positive”.
La ferma motivazione adottata dal Ministro Lavrov per giustificare l’uscita dal Consiglio d’Europa testimonia la distanza tra la Russia e l’Occidente. Nell’ottica del Governo russo, i membri dell’Unione Europea e della Nato ostili alla Federazione avrebbero abusato della loro assoluta maggioranza nel Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, perseguendo il fine di convertire “la più antica organizzazione europea in un altro luogo dove vengono esaltati i mantra della supremazia e del narcisismo dell'Occidente”. Tale abbandono desta preoccupazione, considerato che l’istituzione di tale organizzazione avvenne con l’intento di prevenire un nuovo conflitto mondiale. In concreto, la Russia si pone dall’altra parte, rinnegando la sua anima europea per abbracciare quella orientale, cercando nell’alleanza resistente con la vicina Cina un versante alternativo alla supremazia economica e militare dell’Occidente. Per comprendere la ragione di tale separazione, occorre partire dalle basi storiche. La “Santa Russia” ebbe origine a Kiev, capitale della “Rus”, divenuta cristiana nel 988; lo stesso battesimo di Vladimir il Grande ebbe luogo nelle acque del fiume Dnpr, a Kherson, non distante da Odessa. Il timore del Cremlino è rappresentato dall’eventuale consolidamento del modello democratico europeo a pochi passi dalla Russia. La scelta di superare la cornice democratica europea non è recente, ma inizia a plasmarsi già nel 2012, quando Hannes Swoboda, presidente dei Socialisti e Democratici dell’Europarlamento manifesta una serie di preoccupazioni in ordine agli sviluppi in Russia sotto la rinnovata presidenza di Vladimir Putin, arrivando apertamente a ritenere la Nuova Russia un paese antidemocratico. Nell’ottica del politico, “con il ritorno di Vladimir Putin alla presidenza, le nostre più grandi paure su un’ulteriore deteriorazione dei diritti fondamentali in Russia sembrano trovare conferma. Non sono solo le organizzazioni dell’opposizione fuori dal Parlamento che stanno soffrendo; anche i membri del Parlamento del partito”. In seguito, Swoboda mise a punto un rapporto sulla Russia per il Parlamento europeo, richiamando l’Unione Europea ad assumere una posizione trasparente in merito (“L’Unione Europea deve esprimersi esplicitamente contro il peggioramento della situazione riguardo ai diritti umani e prendere una posizione decisa. La Russia di Putin non dimostra alcun interesse nel perseguire la democrazia e lo stato di diritto, in termini di affari interni ed esteri, nel caso della Siria”).
In definitiva, l’impressione è che quella in atto non sia un conflitto contro l’Ucraina, ma una “operazione speciale” a detrimento dei principi e dei valori occidentali.