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Sant’Alberto Magno e la scienza contemplativa

Sant'alberto Magno
Sant'alberto Magno

I frutti del medioevo

Dopo aver avuto occasione, sia per motivi di studio che di personale edificazione, di entrare in contatto con le più alte forme del pensiero basso medievale, mi sono reso conto che vi è in esso un elemento tanto costitutivo quanto fonte d’imbarazzo per i moderni pensatori. Credo, senza avere la presunzione di chiudere così il discorso, che per molte persone la consapevolezza dell’esistenza e del peso di questo particolare sia una ragione sufficiente per assumere, verso il pensiero medievale, uno dei seguenti atteggiamenti: o un suo rifiuto, spesso condito di condiscendenza, o l’arbitraria applicazione ad esso di concetti e distinzioni proprie della cultura contemporanea.

L’elemento in questione è l’assenza di quella divisione ermetica, che noi anche involontariamente viviamo, fra una visione razionale ed una spirituale del mondo e dell’uomo. Anche se superficialmente rimaniamo spesso estasiati dall’universalità della cultura medievale, quando approfondiamo scopriamo che ciò che davvero ci scandalizza non sono le spesso ingenue conclusioni, non aliene fra l’altro anche al pensiero classico, ma la disinvoltura con cui carne e spirito s’intrecciano in quei labirintici sistemi.

La cosa è, a mio parere, ancora più drammatica se si considera che spesso i lasciti davvero universali del pensiero medievale sono proprio figli di questa eterogenea forma di conoscenza; ciò significa che rifiutarli implica relegare i protagonisti della cultura medievale negli imbiancati sepolcri della storia.

 

Sant’Alberto Magno

Questa piccola premessa è servita per introdurre una riflessione che scaturirà dall’approfondimento di una delle figure più caratteristiche della visione medievale del mondo. Sto parlando di sant’Alberto Magno, il Dottore Universale, frate Predicatore vissuto attraverso quasi tutto il XIII secolo. La breve presentazione che seguirà non ha la presunzione di esaurire questa poliedrica figura, ma solo di presentarne alcuni caratteri fondamentali e, così mi auguro, di stimolare un ulteriore approfondimento[1].

Sant’Alberto nacque a Lauingen, nella Svevia bavarese, fra il 1193 ed il 1206. Come per moltissimi personaggi medievali, la data di nascita è ignota e deve essere ricostruita a partire dalla data di morte, dalla presunta età al momento del trapasso e da altre informazioni a margine. Sappiamo che il nostro morì nel 1280 e che era dai contemporanei ritenuto estremamente anziano, addirittura oltre gli ottant’anni. Anche se il dibattito è ancor aperto, appare plausibile che la data di nascita trasmessa dalla tradizione, ossia il 1193, sia quella corretta. Il Nostro fu figlio della famiglia Bollstädt, appartenente alla nobiltà minore o di spada, di tradizione cavalleresca, dell’eterogeneo ambiente aristocratico tedesco.

Educato all’arte della cavalleria, alla fede ed alla cultura dell’epoca, attraverso una serie di precettori privati, Alberto ereditò un fisico robusto, che lo sostenne nei lunghi decenni di spostamenti, una fede coerente e un’irresistibile curiosità verso il mondo. Dotato di una fervidissima intelligenza e di una prodigiosa capacità d’osservazione, il santo chiese ed ottenne dallo zio, subentrato probabilmente come suo tutore alla morte del padre, di andare a studiare a Padova, sede di una delle più prestigiose facoltà delle Arti del basso medioevo; era il 1222. Con il termine “Arti” s’intendeva, nel medioevo, tutta quella serie di discipline filosofiche, attinte specialmente dalla tradizione classica, che costituivano la base della cultura alta dell’epoca. Tali studi quindi erano perfettamente coerenti con la curiosità verso la natura e le doti d’osservazione proprie di Alberto.

Pare probabile che lo zio intendesse fare del nipote un maestro universitario, per il fregio e l’onore della famiglia, ma questo progetto andò in fumo quando Alberto decise di entrare nei Frati Predicatori. L’Ordine, approvato da neppure un decennio, aveva fondato un convento a Padova nel 1220, sempre all’interno della sua politica di accostamento alle sedi universitarie. Il santo Dottore, da sempre in possesso di una solida vita cristiana, fu probabilmente attratto da quella sintesi originale che l’Ordine di san Domenico compiva fra la ricerca della verità nella contemplazione e l’indagine sulla natura delle cose.

La vocazione religiosa di Alberto non fu combattuta solo dalla famiglia, ma anche dallo stesso santo: egli infatti pare non si sentisse adeguato agli alti standard ascetici dell’Ordine Mendicante; in ogni caso, il beato Giordano di Sassonia, secondo Maestro dell’Ordine, fugò i dubbi del giovane che, alla fine del 1223, probabilmente a Padova, prese l’abito dei Predicatori.

Sant’Alberto non completò i suoi studi a Padova bensì, forse già dal 1223, a Colonia; la sua formazione iniziale durò fino al 1228 circa. Di seguito le scarse notizie che possediamo ci consentono di saperlo Lettore Conventuale[2] nel convento di Hildescheim nel 1233 e successivamente in quelli di Ratisbona e Strasburgo. Richiamato a Colonia nella prima metà degli anni ’40 del secolo, il nostro diede nuovamente il suo importantissimo contributo allo sviluppo della cattedra ivi presente. Fra il 1245 circa ed il 1248 sant’Alberto completò, a Parigi, i suoi studi, accedendo al prestigioso titolo di maestro in teologia. Fu proprio in questi anni che conobbe san Tommaso d’Aquino, allora poco più che ventenne, il quale lo seguì nel 1248 nel suo ritorno a Colonia come discepolo.

Fra il 1248 ed il 1254 Alberto ricoprì la reggenza degli studi a Colonia, divenendo una figura di spicco dell’intero ambiente accademico ed intellettuale tedesco ed europeo. Nel 1254 tuttavia fu strappato da questo amato incarico per divenire priore provinciale della recentissima Provincia Teutonica domenicana. Uomo saggio, coerente e di santa vita, Alberto resse la provincia fino al 1257 circa, contribuendo alla sua stabilizzazione ed espansione. Rimosso dall’incarico fra il 1257 ed il 1258 dallo stesso Capitolo Generale, probabilmente a causa delle lunghe assenze che il suo peso intellettuale lo costringeva a fare[3], Alberto tornò allo studio di Colonia dove, oltre ad importanti opere di mediazione fra le differenti parti civili ed ecclesiastiche della città, realizzò, nel 1259, il primo piano di studi uniforme per tutto l’Ordine dei Predicatori.

Nel 1260 papa Alessandro IV chiese ad Alberto di accettare la sede vescovile di Ratisbona, lasciata in pietose condizioni economiche ed ecclesiali, oltre che politiche, dal suo predecessore. Essendo Ratisbona un principato ecclesiastico, la carica di vescovo portava con sé anche la responsabilità politica e militare del corrispondente feudo. Nonostante l’accorata preghiera a rifiutare tale offerta, fatta a sant’Alberto dal quinto Maestro dell’Ordine dei Predicatori, il beato Umberto de Romans[4], il Nostro, il 29 marzo del 1260, ricevette l’ordinazione episcopale nella cattedrale di San Pietro a Ratisbona. Egli governò la diocesi fino alla primavera del 1261, quando scese direttamente a Roma per chiedere di essere sollevato da quest’onere. In questo breve periodo tuttavia non solo riuscì a sollevare le finanze vescovili dalla drammatica situazione in cui si trovavano, ma si guadagnò il rispetto e la stima sia dei chierici che dei laici della diocesi.

Rimasto in Italia fino al 1263 circa, lo ritroviamo di seguito nuovamente a Colonia dove lo studio da lui retto e fecondato fu elevato, per volere del Maestro dell’Ordine dei Predicatori, al rango di Studio Generale. Fra il 1264 ed il 1270 il Nostro non rimase tuttavia fermo ma si consumò in innumerevoli viaggi, sia in qualità di predicatore della nuova crociata sia visitando i diversi conventi tedeschi e placando alcune dispute. Nel 1274 sant’Alberto non solo fu convocato al Concilio di Lione, ma sopportò il dolore della morte del suo antico discepolo, san Tommaso d’Aquino, mancato quello stesso anno mentre era in viaggio per il Concilio.

Fra il 1274 e il 15 novembre del 1280, data della sua morte, sant’Alberto non solo continuò il suo peregrinare, sempre disposto a rispondere ai numerosi bisogni della Chiesa e del popolo, ma donò tutte le sue rimanenti risorse al prossimo: se da un lato infatti proseguì fino all’ultimo la sua attività d’insegnante, dell’altro utilizzò le risorse economiche rimastegli in quanto vescovo per sostenere la vita religiosa nei territori germanici.

 

Lo sguardo dell’uomo

Già da questa breve biografia emerge la dinamicità della figura di sant’Alberto Magno, un uomo che solo impropriamente può essere ridotto alla semplice immagine dello studioso. Eppure bisogna considerare che la sua attività accademica, capace di partorire una vastissima varietà di scritti, non solo superò ampiamente le mere necessità d’insegnamento, ma accompagno ogni altra attività che il Signore lo chiamò a svolgere. Alberto fu davvero Dottore Universale: la sua vastissima bibliografia ospita sia i preziosissimi commentari alle opere di Aristotele, recentemente riapparse nel panorama intellettuale dell’Occidente, che furono la base della sistematizzazione attuata da san Tommaso, sia anche numerosissimi trattati naturalistici, frutto delle sue personali osservazioni, e un imponente corpus esegetico e teologico.

Non è il caso in questa sede di approfondire ulteriormente i numerosissimi aspetti e le intricate sfumature di questa grande figura intellettuale. Riprendendo però quanto accennato in apertura, credo sia necessario porre in risalto un aspetto della biografia del Nostro: le differenti discipline sulle quali la sua mente si applicò furono da lui affrontate certamente distinguendo i differenti ambiti, ma senza attuare una vera e propria divisione. Nel momento in cui cioè sant’Alberto si dedicava al commento della Fisica di Aristotele o allo studio di un fenomeno naturale, aveva certamente ben chiara la distinzione fra questo ambito di verità e quello cui accedeva invece commentando il Vangelo di san Luca.

Tale consapevolezza tuttavia non lo portava a trattare i risultati ottenuti come universi autonomi, artificialmente sigillati da una mente incapace di scorgere nella loro sintesi tutta la complessità del reale. Al contrario, ciò che apprendeva della natura diveniva lo specchio nel quale comprendere le più elevate verità della fede mentre, viceversa, lo studio della Rivelazione gli consentiva di porre tutti i processi naturali in un quadro capace di rintracciare il loro Principio e la loro Fine.

Questa visione olistica della conoscenza, che riflette semplicemente la profonda unità del creato con il Creatore, costituisce quella ricchezza che il medioevo ci ha lasciato e che noi, anche se con le migliori intenzioni, spesso snobbiamo.

Non si tratta qui di rimpiangere una visione puramente teocentrica del sapere, mai realizzatasi nei suoi elementi deteriori, né tantomeno di volersi scioccamente riferire alle spesso comiche conclusioni della scienza naturale medievale. Si tratta invece di recuperare ai nostri giorni quella splendida capacità di leggere nella fede l’ordine del creato, così da scorgere nella sua ragionevolezza il segno della mano del Creatore. Ciò che sant’Alberto Magno c’invita a fare è la sua medesima scelta: invece di arrestarsi allo studio del mondo, trasformare quelle conoscenze, altrimenti aride e strumentali, in altrettante occasioni di contemplazione, in fonti splendide di luce da cui risalire fino a Colui che tutto Illumina con l’esistenza.

Inutile dire che un simile invito è rivolto al credente, a colui che per fede accoglie l’amore di Dio e che quindi, una volta assaporata la Sua Luce, non vuol vedere nulla sotto i riverberi di una diversa fiamma. Una simile prospettiva non genera tuttavia una vera chiusura verso chi credente non è: l’inevitabile contrasto infatti sarà reso fertile dal fatto che non vedrà opporsi una ragione arida ad una fede nebbiosa, bensì un occhio bestiale, capace solo di vedere, ad uno sguardo davvero umano, in grado di scorgere la bellezza di ciò che vede.

 

[1] Tutti i dati biografici che seguiranno sono stati tratti da due testi: Girolamo Wilms, Sant’Alberto Magno (trad. Alberto Strumia), ESD, Bologna 1992; F. Uboldi, E. Del Duce, C. Pinggera, Albertus Magnus, Edizioni Cenacolo Albertino Verlag, Appiano (BZ) 1992.

[2] Il frate incaricato di tale ufficio aveva, nel medioevo, il compito di organizzare lezioni per i confratelli, dando loro la possibilità di ricevere i frutti dell’insegnamento universitario. In un’epoca in cui pochissimi frati accedevano alle istituzioni più prestigiose, questo era un modo di trasmettere a tutta la comunità i frutti raccolti da tali religiosi privilegiati.

[3] Fra il 1256 ed il 1257 circa sant’Alberto, assieme a san Bonaventura da Bagnoregio e san Tommaso d’Aquino, fu a Roma per difendere gli Ordini Mendicanti, Predicatori e Minori, dagli attacchi di Guglielmo di Sant’Amore e degli altri maestri secolari di Parigi.

[4] Nel XIII secolo gli Ordini Mendicanti, fra cui quello dei Predicatori, fondavano la propria capacità comunicativa proprio su di una vita incentrata su di una povertà radicale ed evidente. Questa forma di regolare osservanza, benché diversamente interpretata, era in contrasto con un Ordine Episcopale che, all’epoca, dava accesso a risorse non inferiori a quelle dei principi secolari. La strana e violenta opposizione di Umberto di Romans si piega quindi con la paura di perdere una validissima figura di santa vita quale Alberto già era.

Testi consigliati:

  • Girolamo Wilms, Sant’Alberto Magno (trad. Alberto Strumia), ESD, Bologna 1992.
  • F. Uboldi, E. Del Duce, C. Pinggera, Albertus Magnus, Edizioni Cenacolo Albertino Verlag, Appiano (BZ) 1992.