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Troppo tempo su internet? Licenziato

Altri tempi
Ph. Luca Martini / Altri tempi

Indice:

1. Introduzione: chi trova un amico…

2. La pronuncia della Cassazione

3. Ma quindi qual è il problema?

4. Qualche suggerimento

 

1. Introduzione: chi trova un amico…

Internet è ormai diventato il migliore amico di tutti, non è una novità. Ci accompagna nella vita di tutti i giorni, da quando usciamo di casa a quando arriviamo al lavoro. E se, una volta arrivati, continuassimo ad “abusare” della sua compagnia? Che si rischia?

Gli amici non sempre portano con sé tesori. Ce lo ricorda la Cassazione che, con la recente sentenza n.3819 del 15 febbraio 2021, ha dichiarato legittimo il licenziamento di una dipendente comunale per aver acceduto un rilevante numero di volte (2138 in 4 mesi e mezzo) al protocollo informatico del Comune senza alcuna ragione giustificata dallo svolgimento della propria mansione.

In altre parole, la dipendente in questione aveva acceduto al protocollo per conoscere atti che non rientravano nel settore di competenza assegnatole.

Il caso offre importanti spunti di riflessione ai datori di lavoro, sia in tema giuslavoristico che con riferimento alle sempre più delicate questioni privacy.

 

2. La pronuncia della Cassazione

Per cominciare, un riassunto della pronuncia della Cassazione citata.

Ad una dipendente del Comune di Zerfaliu (Sardegna) veniva intimato il licenziamento con preavviso il 19 settembre 2014, a seguito della contestazione della scoperta dei plurimi accessi sopra ricordati. La dipendente – che nel mentre veniva rinviata a giudizio per il reato di accesso abusivo a sistema informatico – faceva ricorso al Tribunale, il quale dichiarava la sproporzionalità della sanzione all’illecito.

Il Comune adiva così la Corte d’Appello che, con la sentenza del 6 novembre 2018, riformava la pronuncia del Tribunale.

In particolare, la Corte sottolineava che il vincolo fiduciario era stato nella specie violato in considerazione: (i) del gran numero di accessi operati dalla lavoratrice, (ii) della loro estraneità ai compiti della lavoratrice, e (iii) dell’utilizzo improprio del tempo lavorativo, sicché i fatti ascritti erano idonei ad integrare un giustificato motivo soggettivo di recesso dal rapporto di lavoro.

La dipendente ricorreva così in Cassazione, sollevando i seguenti quattro motivi di ricorso:

  1. Violazione dell’articolo 2697 del Codice Civile e dell’articolo 115 del Codice di Procedura Civile. La ricorrente sosteneva che la decisione della Corte d’Appello si fosse fondata sulla richiesta di rinvio a giudizio per il reato di accesso abusivo sebbene la stessa non fosse stata ancora vagliata dal giudice, in quanto il processo penale era ancora in corso;
  2. Violazione dell’articolo 2697 del Codice Civile e dell’articolo 115 del Codice di Procedura Civile, in quanto la decisione di 2° grado si riteneva essere stata basata su una precedente sentenza della stessa Corte d’Appello relativa ad altro fatto disciplinare, sebbene tale sentenza non fosse stata prodotta in atti ed era stata impugnata in Cassazione.
  3. Violazione dell’articolo 2119 del Codice Civile, per non avere la sentenza impugnata spiegato perché il vincolo fiduciario inerente al rapporto di lavoro fosse stato leso dalla lavoratrice.
  4. Violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, per avere la sentenza impugnata omesso l’esame contrattuale delle sanzioni.

La Cassazione, confermando la pronuncia della Corte d’Appello, rigettava i motivi di doglianza nei seguenti termini:

  1. Inammissibilità del primo motivo. La decisione di 2° grado era stata basata sulla valutazione del quadro probatorio acquisito ed il richiamo al rinvio a giudizio veniva richiamato solo per corroborare la gravità della condotta, e non già a fondamento dell’intera pronuncia.
  2. Inammissibilità del secondo motivo. Valgono le considerazioni del motivo che precede. Anche in questo caso, infatti, la precedente sentenza a cui la ricorrente fa riferimento è un semplice elemento richiamato ad abbondanza per sottolineare la gravità della condotta.
  3. Inammissibilità del terzo motivo. La valutazione circa il carattere di negazione degli elementi fondamentali del rapporto di lavoro ascrivibile ai fatti contestati spetta solo al giudice di merito, essendone quindi precluso il vaglio al giudice di legittimità. In altre parole, se la condotta di accesso al protocollo, nonché le sue modalità specifiche, siano state tali da rompere il vincolo di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore, è analisi che spetta solo ai primi due gradi di giudizio.
  4. Inammissibilità del quarto motivo. La ricorrente non ha indicato alcuna norma del contratto collettivo di cui si riteneva aver il giudice omesso l’esame.

 

3. Ma quindi qual è il problema?

Dalla lettura della sentenza, il problema, nel caso di specie, non sembra tanto quello di aver sottratto tempo all’attività lavorativa bensì l’aver abusivamente acceduto al protocollo informatico.

Dal tenore della pronuncia, pare quindi che il motivo a fondamento del licenziamento sia stato l’accesso abusivo a sistema informatico, più che l’aver dedicato tempo ad attività estranee a quelle riconducibili al rapporto di lavoro.

Quindi, se la dipendente, invece che accedere al protocollo informatico, avesse effettuato lo stesso numero di accessi ad un social network o avesse dedicato lo stesso tempo a giocare a scala 40 (non ho mai visto nessun dipendente pubblico farlo, giuro...), il licenziamento sarebbe stato legittimo?

Chi mastica un po’ di diritto, conosce la risposta, o meglio, sa che risposta non c’è. Dipende. Da cosa? Numero di accessi e tempo trascorso, principalmente.

In altra pronuncia, la n.3133 del 1° febbraio 2019, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una segretaria licenziata per aver acceduto circa 6.000 volte per 18 mesi a social network, il cui licenziamento era stato ritenuto legittimo in tutti e due i precedenti gradi di giudizio.

Per quanto riguarda quest’ultima decisione, interessante è il fatto che la lavoratrice avesse sollevato quale specifico motivo di censura l’impossibilità di fondare la decisione sui report di cronologia per violazione della normativa privacy. Pur mancando la Corte di pronunciarsi sul punto, in quanto nuova censura non sollevata nei precedenti gradi di giudizio, può ragionevolmente ritenersi che, ove l’avesse fatto, avrebbe statuito circa la possibilità del datore di lavoro di controllare la cronologia del dipendente, a patto che:

  • Ne abbia dato idonea informativa al dipendente;
  • Il controllo sia giustificato da esigenze “difensive” puntuali e specifiche, relative al concreto e fondato sospetto della violazione di norme relative al contratto di lavoro;
  • Le informazioni acquisite non sono derivate da un controllo generalizzato, ingiustificato e diffuso dell’attività online del dipendente;
  • Il disciplinare aziendale interno richiamasse tra i motivi giustificativi della sanzione il comportamento tenuto dal dipendente, sebbene questo punto non sia condizione imprescindibile, per quanto utile alla posizione del datore di lavoro.

D’altronde, questi sembrano essere ormai punti fissi della disciplina relativa ai controlli informatici (ne abbiamo parlato anche in questo articolo).

 

4. Qualche suggerimento

Le sentenze citate permettono di offrire qualche piccolo suggerimento sia a datori di lavoro che a lavoratori.

Per quanto riguarda i primi, l’evoluzione della giurisprudenza mostra come sia sempre più opportuno (se non necessario, talvolta) dotarsi di un vero e proprio asset documentale (informative privacy; disciplinari sanzionatori; linee guida per l’utilizzo della posta elettronica e dei device aziendali) che possa tutelare il datore di lavoro in casi come quelli analizzati nelle pronunce.

A questa base documentale, possono poi aggiungersi accorgimenti sul lato tecnico, quali (i) blocchi al browser per impedire la navigazione su alcuni siti, e (ii) sistemi di tracciamento dei log riferiti al traffico web, su base collettiva o per gruppi sufficientemente ampi di lavoratori (così prescrivono le linee guida del Garante per la protezione dei dati personali).

Per i lavoratori, invece, il suggerimento è molto più banale…lavorate!