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Criteri interpretativi del regolamento condominiale contrattuale

regolamento condominiale bosco verticale
regolamento condominiale bosco verticale

Con una recente Ordinanza, n. 18082 del 5 luglio 2019, la Suprema Corte di Cassazione interviene sulla questione dei criteri interpretativi del regolamento condominiale contrattuale, confermando la consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto e così cassando la sentenza della Corte d’Appello di Palermo avanti ad essa impugnata. Tale provvedimento contiene una breve ma approfondita ricostruzione del percorso giurisprudenziale in materia, che conviene qui ripercorrere.

In particolare, nel caso in questione, si decide una lite tra condomini che ha per oggetto la parziale destinazione d’uso di una unità abitativa in condominio a studio medico, in asserita violazione del disposto del regolamento, di natura contrattuale, che avrebbe consentito soltanto un uso residenziale abitativo, vietando così la diversa destinazione cui la proprietà esclusiva veniva adibita. L’interpretazione della clausola regolamentare, controversa in sede di merito, viene decisa pertanto in sede di legittimità.

Come ben noto, il regolamento condominiale può avere natura assembleare o contrattuale.

Nella prima ipotesi, prevista dall’articolo 1138 co. 1 codice civile, ed obbligatoria ove vi siano oltre dieci condomini, esso disciplina l’uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese, le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione dello stesso. Il regolamento assembleare, come descritto nello stesso nomen iuris dell’atto, è approvato dalla assemblea condominiale con la maggioranza di cui all’articolo 1136 co. 2 Codice civile, ed è impugnabile ai sensi dell’articolo 1107 codice civile, nel termine di 30 giorni dalla sua approvazione, in caso di annullabilità di norme in esso contenute, o in ogni tempo in caso di nullità delle stesse.

Nella seconda ipotesi, il regolamento condominiale è definito notoriamente dal Giudice delle Leggi come “un contratto plurilaterale, avente cioè pluralità di parti ed uno scopo comune” (Cassazione Civile Sez. II, n. 12850 del 21.5.2008). Naturalmente, nel caso in cui partecipi al condominio un numero di condomini superiore a dieci, esso dovrà portare il medesimo contenuto del regolamento assembleare, come disciplinato dall’articolo 1138 codice civile, ma – inoltre – potrà intervenire nelle modalità e termini di uso non solo delle parti comuni ma altresì delle singole proprietà esclusive, con una forza incisiva decisamente superiore.

In particolare, è tipica previsione del regolamento contrattuale il divieto di facoltà, modalità o destinazione d’uso di parti esclusive, come appunto nel caso che qui ci occupa, ove si discute di un divieto di destinazione ad uso diverso dall’abitativo delle proprietà esclusive in condominio: si vede, dunque, come la questione interpretativa di dette norme regolamentari abbia un riflesso particolarmente incisivo nella fruizione e nel godimento, e financo nella valorizzazione, della proprietà privata in condominio.

La norma generale che fornisce i criteri ermeneutici per la interpretazione del contratto, di cui agli articoli 1362 e ss. codice civile va coordinata con l’articolo 1138 codice civile e con l’insegnamento della Corte della nomofilachia in materia.

Nella specie, insegna il Giudice delle Leggi come “i divieti e i limiti di destinazione delle cose di proprietà individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare; e in quest'ultimo caso, tali limiti e divieti, al fine di evitare ogni possibilità di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini, devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze.” (Cassazione Civile sez. VI, n. 19229 del 11.9.2014)

La possibilità, dunque, di disciplinare sia in forma di elenco tassativo delle attività vietate, sia in relazione ai pregiudizi da evitarsi, è il criterio ermeneutico generale cui la Corte fa riferimento.

In tale ultima ipotesi, come insegna la migliore dottrina, dovrà accertarsi in concreto “l’effettiva capacità a produrre gli inconvenienti che si è voluto evitare” (cfr. G. Terzago, Il Condominio, Milano 2015, pp.478 e ss.).

Ad esso va aggiunto un criterio ermeneutico speciale, inerente la incontrovertibilità ed inequivocità di tali previsioni, “avuto riguardo” insegna altra pronuncia del Supremo Collegio “più che alla clausola in sé, alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela.” (Cassazione Civile sez. II, n. 21307 del 20.10.2016).

Chiarisce il Giudice delle Leggi come “la conseguente valutazione circa l'efficacia della clausola regolamentare in rapporto al grado di specificità dell'interesse che ad essa è sotteso, forma oggetto - al pari d'ogni altra interpretazione contrattuale - di un caratteristico giudizio di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimità se motivato in maniera congrua ed esente da vizi di logica giuridica”. (Cassazione Civile sez. VI, n. 19229 del 11.9.2014), poiché il risultato interpretativo in sé appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati a quel giudice, mentre il sindacato di legittimità “deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore all'articolo 1362 codice civile e ss., e sulla (in)coerenza e (il)logicità della motivazione addotta” (Cassazione Civile sez. II, n. 21307 del 20.10.2016).

In definitiva, la applicazione dei criteri generali in materia ermeneutica secondo le norme sull’interpretazione dei contratti ex articolo 1362 e ss. codice civile e la tassatività ed incontrovertibilità delle disposizioni di divieto contenute in esse, in tema di limitazioni convenzionali del diritto di proprietà, caratterizza e compone l’insegnamento consolidato della Suprema Corte in materia di interpretazione del regolamento condominiale di natura contrattuale.