Il compromesso

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Il compromesso
 

“Aborro il compromesso! Nella vita non voglio scendere a compromessi con nessuno, piuttosto rimango solo, voglio fare come mi pare, di certo non voglio stare in balia delle esigenze altrui”.

Il significato del termine compromesso è per noi oggi alquanto negativo, ha assunto infatti l’univoco valore di un’accettazione forzata per salvare il salvabile, di un patto a denti stretti, di un accordo in cui ciascuno cede qualcosa in nome di un obiettivo, spesso nemmeno così chiaro. Noi emancipati del XXI secolo lo snobbiamo, guardandolo sdegnosi, svincolati dalla tradizione e dalle persone, preferiamo l’assenza di compromessi o meglio, preferiamo finte libertà che nascondono altri compromessi, che ci coinvolgano solo superficialmente, meno impegnativi rispetto a quelli fondanti e strutturali, perché ci illudono di farci affermare, salvo poi accorgerci che affermiamo ben poca cosa, quando non c’è una nobile condivisione in vista.

Eppure, intuiamo che in fondo c’è qualcosa di buono quando una mamma e un papà decidono di stare insieme ancora e ancora, nonostante i richiami luccicanti del mondo là fuori, quando un ragazzo decide di accettare di svolgere per un periodo un lavoro che non lo gratifica per aiutare in casa, quando al posto di sgomitare seccati manteniamo un atteggiamento educato in fila al supermercato. Ci sono dunque compromessi piccoli e grandi, spesso quotidiani, che variano la loro importanza sulla base di una cosa sola: l’obiettivo, la finalità per la quale li si mettono in atto. Nel caso della famiglia il fine sarà l’amore, la costruzione di un luogo fisico e insieme astratto in cui sentirsi abbracciati, per il lavoro sarà la serenità dei propri cari e il loro benessere, per la fila al supermercato, l’obiettivo sarà la creazione, ovunque si vada, di un ambiente pacifico e lieto.

Forse allora c’è un modo per far risalire la china a quella gran parte della popolazione che accetta dei compromessi in nome di un bene che intuisce, ma che a volte perde di vista, e per farlo bisogna soffermarsi sul significato originario del termine “compromesso”.

Viene dal latino “compromissus” e vuol dire “obbligato insieme”, composto da “cum” insieme e “promissus” promesso. È una promessa fatta insieme.

Nientepopodimeno che una promessa condivisa, una promessa solenne. E il compromesso, così inteso, ha a che fare con il sacrificio, ma soprattutto con un’intenzione profonda, la santità. In che senso? “Sanctus” viene dal verbo latino “sancire” che vuol dire “stabilire” qualcosa in modo solenne con un atto di carattere sia giuridico sia religioso. E il santo, per il cristiano, è chi accoglie la sua realtà e ne trova il senso e la bellezza, standoci, senza tradire né il patto né la promessa con sé stesso e con chi l’ha sancita insieme a lui.

Paradossalmente, al posto di schiacciarci, quando accogliamo intimamente la nostra condizione, cominciamo anche ad accorgerci dei segnali di bellezza che prima, annebbiati dalla lamentela, ignoravamo; ne consegue che questa modalità abbia una sorprendente ricaduta positiva su chi ne riconosce il valore originario, perché ci allena a scovare la tenerezza, quella bella tenerezza che è già presente, ma spesso nascosta da cataste di orgoglio e superficialità.