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Imputato assolto: la condanna del querelante o della parte civile al rimborso delle spese sostenute per la difesa

Quali sono i casi che portano alla condanna dei querelanti o delle parti civili al rimborso delle spese sostenute dall’imputato per difendersi?
Imputato assolto
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Imputato assolto: la condanna del querelante o della parte civile al rimborso delle spese sostenute per la difesa

La condanna del querelante o della parte civile alla rifusione delle spese sostenute dall’imputato o al risarcimento del danno è prevista dal nostro codice agli articoli 541, 542 e 427 c.p.p.

Quali sono i casi che portano alla condanna dei querelanti o delle parti civili al rimborso delle spese sostenute dall’imputato per difendersi?

Recentemente la Cassazione si è pronunciata sulla questione della condanna del querelante o della della parte civile alla rifusione delle spese sostenute dall’imputato assolto da accuse infondate.

La seconda sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n 21041 del 24 febbraio 2022, depositata il 30 maggio 2022, ha esaminato l’interessante questione della condanna del querelante o della parte civile alla rifusione delle spese sostenute dall’imputato assolto per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste.

A norma degli artt. 541, 542 e 427 c.p.p. il querelante, qualora il querelato sia assolto perché il fatto non sussiste o per non averlo commesso, e la parte civile costituita, se la domanda viene rigettata o l’imputato è assolto per una causa diversa dal difetto di imputabilità, sono condannati, ove ne sia fatta richiesta, alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’imputato e, in caso di colpa grave, al risarcimento del danno a questi causato.

Nel caso in cui ricorrano “giustificati motivi” (così l’art. art. 541 c.p.p.) o “giusti motivi” (così l’art. 427 anche richiamato dall’art. 542 c.p.p.) il giudice può disporre la compensazione totale o parziale delle spese.

L’art. 541, comma 2, c.p.p. prevede che, qualora il giudizio si concluda con l’assoluzione dell’imputato (per cause diverse dal difetto d’imputabilità) o, comunque, la domanda risarcitoria della parte civile venga respinta, il giudice può disporre la compensazione delle spese di causa tra le parti, in presenza di «giustificati motivi».

Si tratta di formula volutamente aperta, che affida al prudente apprezzamento del giudice la moltitudine non preventivabile, e perciò non tipizzabile, di situazioni peculiari che possono verificarsi nell’àmbito di una lite giudiziaria. Deve trattarsi, tuttavia, di situazioni che esulano dalla fisiologica dialettica processuale e dalla coessenziale incertezza dell’esito del giudizio in ragione della pluralità delle tesi contrapposte, ovvero dalla eventuale molteplicità delle parti processuali o delle questioni controverse.

Diversamente opinando, infatti, il confine tra equità ed arbitrio si presenterebbe in concreto di difficile individuazione, con il rischio di svuotare di contenuto la regola generale della soccombenza.

Un’utile indicazione in tal senso si rinviene nel disposto dell’art. 92 c.p.c. che regola la medesima materia nell’àmbito del processo civile e che - da ultimo novellato in questi termini dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, conv. dalla L. 10 novembre 2014, n. 162 - ha provato a delimitare la possibilità della compensazione delle spese tra le parti alle sole ipotesi della soccombenza reciproca, dell’assoluta novità della questione trattata o del mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti.

Questa casistica chiusa è stata però scardinata dalla Corte costituzionale, che, con la sentenza del 7 marzo 2018, n. 77, sostanzialmente ripristinando il testo normativo anteriormente vigente, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, nella parte in cui non prevede che il giudice possa procedere a compensazione anche qualora sussistano altre analoghe «gravi ed eccezionali ragioni».

Le due disposizioni – corretta è l’osservazione in tal senso del ricorrente – debbono necessariamente essere lette in combinazione tra loro, per il principio di unitarietà e non contraddizione dell’ordinamento, dal momento che l’azione civile, per il fatto di innestarsi nel processo penale, non perde la sua natura.

Se ne deve perciò concludere che i motivi per la compensazione delle spese tra le parti, per essere “giustificati”, come richiede l’art. 541, comma 2, c.p.p., debbono essere “gravi ed eccezionali”, giusta la corrispondente disposizione di rito civile. E – secondo l’elaborazione giurisprudenziale delle sezioni civili della Suprema Corte, che maggiormente hanno approfondito l’argomento – tali non possono considerarsi, ad esempio, se non per specifiche ed ulteriori ragioni, che è onere del giudicante illustrare compiutamente, la complessità e la pluralità delle questioni trattate, né l’incertezza circa la fondatezza delle ragioni azionate in giudizio in assenza di orientamenti giurisprudenziali di segno contrario o quantomeno contraddittori (Cassazione civile sez. 6, 25.09.2018 n. 22598), come pure il mero richiamo alla buona fede della parte soccombente (Cassazione civile sezione lavoro, 07.08.2018 n. 20617) o la natura della controversia e le alterne vicende dell’iter processuale (Cassazione penale, sez. 3, 25.01.2018, n. 9186).