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Io sono Fra Silvestro

Apoteosi di San Tommaso d'Aquino, Andrea di Bonaiuto - Cappellone degli Spagnoli, Santa Maria Novella, Firenze
Apoteosi di San Tommaso d'Aquino, Andrea di Bonaiuto - Cappellone degli Spagnoli, Santa Maria Novella, Firenze

Indice:

1. Uno squisito libello

2. La saggezza delle quattro cause

3. Una provocazione filosofica

 

1. Uno squisito libello[1]

Esiste un curioso fenomeno psicologico secondo cui quando ci avviciniamo ad un testo, o all’opera di un autore, capace d’intimidirci per la sua mole, questa iniziale paura viene meno nel momento in cui qualcuno o qualcosa ci mostra la divisibilità del totale. Ad esempio, quando ero bambino, le dimensioni de “Il Signore degli Anelli” di J. R. R. Tolkien mi facevano sentire del tutto impreparato ad affrontare quel difficile viaggio; tuttavia, quando presi il testo diviso in tre volumi, la sfida mi parve più semplice.

Con un gigante come san Tommaso d’Aquino una sensazione simile è del tutto comprensibile: non solo la mole dei suoi scritti è impressionante, ma la loro profondità è capace di scoraggiare anche il lettore con le migliori intenzioni. Ecco che quindi, in questo articolo come in altri successivi, mi propongo di presentarvi dei testi dell’Aquinate abbordabili sia come dimensioni che come complessità, allo scopo di far scemare il timore di cui sopra.

Iniziamo con il De principiis naturae ad fratrem Silvestrum, un opuscolo filosofico scritto dall’Aquinate durante i suoi primi anni d’insegnamento a Parigi[2] allo scopo d’introdurre un suo confratello, fra Silvestro appunto, allo studio della filosofia della natura di Aristotele[3].

Il De principiis costituisce un eccellente mezzo di studio per chi volesse iniziarsi alla filosofia: infatti, tale sintetico scritto fu pensato per essere uno strumento utile a permettere ai “non addetti ai lavori” di assaporare un campo del sapere, la filosofia appunto, che spesso ha nella cripticità di linguaggio e di concetti difficili da superare.

Ecco che quindi io mi trovo a scrivere non in quanto esperto della materia o dell’opera in questione, ma in qualità di moderno Silvestro che, con umile curiosità, ha cercato di farsi condurre da un genio del passato attraverso i meandri della verità.

 

2. La saggezza delle quattro cause

L’Aquinate si propone di analizzare ciò che esiste sotto due prospettive, indipendenti eppure indissolubilmente unite fra loro: una che potremmo definire sincronica ed una diacronica.

La prima intende delineare un oggetto nel suo essere presente, e lo fa attraverso il rapporto fra materia e forma. Tommaso fornisce di questi due elementi la seguente definizione: “Come poi tutto ciò che è in potenza può essere detto materia, così tutto ciò da cui qualcosa ha l’essere, qualunque sia tale essere, sostanziale o accidentale, può dirsi forma[4].

La materia si può comprendere dal concetto di materiale. Il materiale di un qualche manufatto è ciò di cui quell’oggetto è composto, allo stesso modo la materia prima, come la chiamano i filosofi, è ciò di cui tutte le cose corporee sono fatte. Eppure, non c’è solo questo aspetto: una nuvola è un corpo, un asino alato anche, ma per quanto gli asini volino, nessuno scambierebbe un asino volante con una nuvola fluttuante. Vi deve essere un secondo aspetto, per il quale un asino non è una nuvola e una nuvola non è un asino, pur essendo entrambi corpi: questo è la forma, cioè è il principio di ordinamento della materia, il quale rende un oggetto questo oggetto e non quello. In altri termini dice l’identità di ciascuna cosa.

L’autore usa un esempio molto efficace che non mi sento di sostituire: se il bronzo è materia di una statua, allora l’aspetto della stessa è la sua forma. Questi due principi non possono esistere indipendentemente uno dall’altro, poiché la materia senza forma (una qualsiasi forma, anche quella prima del bronzo) non esiste in natura, mentre la forma inizia ad esistere solo nel momento in cui plasma la materia.

Ecco perché Tommaso può dire che la materia è potenza, ossia racchiude in sé la potenzialità della forma, mentre la forma è atto, poiché porta a realizzazione la potenza della materia[5].

L’Aquinate passa a rispondere alla successiva e più ovvia domanda, date le premesse sopra esposte: quali sono le cause che portano l’atto a concretizzarsi? Detto in due parole, cosa scatena tutti quei cambiamenti dei quali il mondo è pieno, a partire dalla stessa generazione dei viventi?

San Tommaso individua, attingendo a piene mani dal pensiero aristotelico, quattro cause, due estrinseche all’oggetto e due intrinseche ad esso. Queste ultime sono, come deducibile, materia e forma, altrimenti dette “causa materiale” e “causa formale” e, riprendendo l’esempio della statua, sono rappresentate rispettivamente dal bronzo della statua e dalla figura plasmata dal bronzo[6].

Le estrinseche invece sono chiamate “causa efficiente” e “causa finale”, e corrispondono rispettivamente allo scultore ed all’obiettivo che questi si prefigge: “Occorre dunque che vi sia oltre alla materia e alla forma qualche principio che agisca, e questo viene chiamato efficiente, o movente, o agente, o ciò da cui ha principio il movimento”. E poiché “tutto ciò che agisce non agisce se non tendendo a qualcosa, bisogna che vi sia un quarto principio, quello cioè che è inteso dall’operante: e questo viene chiamato fine[7].

Riprendendo l’esempio, il bronzo e lo scultore vengono prima dal punto di vista temporale, poiché necessari a far sì che il processo di generazione della statua inizi; la forma della scultura e il suo fine (ad esempio il rendere omaggio ad un personaggio famoso) vengono prima quanto alla perfezione poiché portano in sé un superiore grado di ordinamento. La causa finale, in particolare, in un certo senso preesiste alle altre, poiché è lei che mette in moto l’intero processo (si fa la statua per rendere omaggio, non si rende omaggio per trovare un qualche utilizzo ad una statua inutile)[8].

 

3. Una provocazione filosofica

Penso sia meglio mi fermi qui prima di farmi male. Sarebbe sciocco da parte mia sia cercare di inserire tutti gli approfondimenti proposti da Tommaso in materia, sia pretendere di portare avanti per conto mio queste argomentazioni.

Più utile mi sembra lasciarvi con un’intuizione che, almeno spero, possa aiutarvi a comprendere perché sia tanto saggio e consigliabile studiare ed approfondire queste tematiche anche oggi che, con i progressi della scienza, siamo tentati di guardare ad esse con benevola sufficienza.

Se Tommaso ha ragione ed il fine non è solo ciò cui si tende, ma anche ciò che ci muove, allora chiedersi il senso delle cose e dell’uomo non ha lo scopo di lambiccare menti oziose, incapaci di restare ancorate alla tetra realtà, bensì quello ben più nobile di comprendere l’origine dell’esistenza. Difatti se ciò cui l’uomo ed il mondo tendono (non in quanto inevitabile fato, ma come nobile obiettivo) è anche ciò che li muove dal principio, allora cercare di comprendere l’uno o l’altro senza questo “senso” è vano, è come dipingere al buio.

La centralità del fine deve renderci consapevoli che conoscere il cosmo senza consapevolezza è futile poiché il nostro sguardo, per quanto acuto possa diventare, sarebbe sempre incapace di cogliere l’essenza di ciò che osserva; senza conoscere il fine, guarderemo sempre tutto come semplici animali.

 

[1] Cfr. Tommaso d’Aquino, De principiis naturae ad fratrem Silvestrum, n. 1.4, in Coggi Roberto, Pagine di filosofia, ESD, Bologna 1992.

[2] Circa 1256; cfr. ibidem, p. 8

[3] Il materiale riassunto da san Tommaso è esposto da Aristotele nei primi due libri della Fisica e nel quinto della Metafisica; cfr ibidem, p. 14

[4] Cfr. Tommaso d’Aquino, De principiis naturae ad fratrem Silvestrum, n. 1.4.

[5] Per una trattazione approfondita dell’argomento cfr ibidem, nn. 1.1-1.16.

[6]La materia e la forma sono dette intrinseche alla cosa in quanto parti costituenti la cosa stessa,…”, in ibidem, n. 1.20.

[7] in ibidem, nn. 1.17-1.18.

[8] Cfr. Coggi Roberto, Pagine di filosofia, ESD, Bologna 1992, pp. 33-34, nota 14.

Testo suggerito:

p. Roberto Coggi op, Pagine di filosofia, ESD, Bologna 1992.