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La vacanza

Spiaggia di punta Braccetto, Ragusa
Ph. Simona Loprete / Spiaggia di punta Braccetto, Ragusa

Vacanza? Vacanza di un governo che non c’è e che non legifera.

Un articolo di Piero Buscaroli degli anni Ottanta, che sembra presagire i nostri tempi.

Una vacanza amara per tutti quindi: nella speranza che rimanga solo una preveggenza e una sensazione.

 

Mi sono scoperto, in questi giorni, una strana reazione. Aprivo la radio, al mattino, con un senso d ‘ansia e poi, se dalla baraonda delle chiacchere credevo di capire che gli sforzi dell’onorevole La Malfa per fare un governo erano avviati all’insuccesso, la richiudevo con soddisfazione, e magari ci facevo sopra un altro pisolino. Ieri mattina, il quasi sicuro naufragio del tentativo mi ha procurato una così irresistibile sensazione di benessere, che ho deciso di pensaci sopra. Escluso di provare per l’onorevole La Malfa un’antipatia maggiore di quella che possano ispirare i dignitari democratici che si sentirebbero defraudati, dopo un terzo di secolo, della poltrona presidenziale, mi sono auscultato, analizzato. La mia reazione non era di tipo razionale, non aveva nulla a che fare con formula e programmi: insomma, era una reazione di tipo viscerale, come dicono con dispregio gl’intellettuali impegnati. Ma io, a differenza di costoro, ho la massima considerazione per i miei visceri, pienamente autorizzati ad esprimere reazioni metapolitiche, e dunque, non mi vergogno. Proseguendo analisi e autoauscultazione, ho scoperto di provare, a ogni rinvio di una prospettiva di governo, una sensazione simile a quella che provano i ragazzi, quando la maestra ha l’influenza, o il termosifone è rotto, o qualche altro accidente li tiene a casa da scuola. La sensazione di una vacanza insperata, e perciò, tanto più benefica.

È l’idea che per qualche giorno, per qualche settimana ancora, non ci cadrà addosso una nuova legge sugli affitti, o che ci spoglia di un pezzo di pensione, o che ci vieta d’importare monete d’oro, o che ci fa pagare per due le parole lunghe nei telegrammi, o che toglie il latino, o che rimette il latino nelle scuole, o che scaraventa qualche centinaio di miliardi nelle oscure voragini di qualche signor Rovelli, o che impone ai treni espressi o rapidi di far la coda dietro agli accelerati per paura che i pendolari scendano sui binari, o che riforma gli affitti agrari, le tasse sui cani, o che istituisce il superbollo sulle scarpe con le suole di para, o che aumenta l’Iva, l’Irperf, L’Invim e l’Ilor, e fa lievitare il gasolio, la benzina, la luce, il gas e il telefono, o istituisce provvidenze a favore degli associati, dei borsisti, dei precari, degli aggiunti. È il benessere da vacanza che deriva dalla sosta forzata di una macchina che produce instancabilmente leggi cattive, che intrufola le sue smisurate antenne nella nostra vita, la irrita e la sconvolge.

Non è vero che l’impotenza sia innocua, ecco la lezione di questi ultimi anni. Abbiamo avuto il governo sostenuto dalla più smisurata delle maggioranze, e insieme il governo più impotente a operare cose grandi e buone. E perciò, anche il più petulante e offensivo nelle piccole. La rinuncia alle vere scelte, che nessuno osa fare, produce una miriade di affronti e dispetti intesi a soddisfare, se non i legittimi interessi, almeno le sordide invidie. Risultata impossibile la giustizia distributiva, si è ripiegato sull’ingiustizia distribuita. Il caso delle pensioni, di cui si vuol togliere un pezzo a quelli che le hanno sacrosantamente maturate, per regalarle in via demagogica e clientelare a chi non ha maturato nulla, è il simbolo di un costume di governo.

Ebbene, finché la crisi dura, la macchina delle leggi cattive resta in panne. Riprenderà a marciare, con chissà quali guidatori, ma intanto è ferma. Carpe diem, come diceva Orazio. Non che si stia bene, no. Presto i sequestri arriveranno al droghiere dell’angolo, i briganti taglieggiano le strade maestre come nel Seicento, e come nel Seicento le colonne e gli archi si sgretolano tra lo stupore dei forestieri, mentre le taverne sono piene di gente che mangia e canta, chi non paga le tasse continua ad arricchire, chi le paga diventa più povero, le diverse Italie fuggono  a velocità sempre più vertiginosa l’una dall’altra, un parroco del Bergamasco falsifica banconote; insomma, il privato si sfoga a dare il male che può. Ma il male pubblico, per un momento, si riposa.

Ricomincerà con le sue leggi stolte, i suoi dispetti a catena, il miracolismo legislativo, la metastasi burocratica. Ma intanto è fermo, godiamoci la vacanza.

Per carità, non crediate che mi sia buttato anch’io all’anarchia, cha dai fonti più tetri della stirpe mi tornino su i risucchi ribellistici. Ho amato lo Stato, l’ho desiderato grande, giusto e potente. Sarei pronto ad amarlo ancora. Ma sulle ceneri dell’ideale di uno Stato che funzioni e che dia a ciascuno il suo, è spuntata la pianticella di un sub-ideale: che lo Stato che non funziona smetta per un momento di funzionare, ci dia un attimo di respiro: e se non riesce ad assicurarsi quello che ci spetta, si astenga, per un momento, dal toglierci quello che abbiamo.

 

Da “Il Giornale”

2 marzo 1979