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Reati di evasione: in caso di pandemia?

evasione
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Indice:

1. Presupposti del reato

2. Legalità dello stato detentivo

3. Elemento oggettivo e soggettivo

4. Circostanze aggravanti o attenuanti

 

1. Presupposti del reato

Il delitto di evasione previsto dall’articolo 385 è collocato nel Capo II del Codice penale - “Dei delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie”, posto a tutela dell’interesse pubblico relativo al mantenimento delle forme restrittive di libertà personale legittimamente disposte.

La norma prevede differenti situazioni in cui può integrarsi il reato in questione.

Nel primo caso, l’articolo 385 fa riferimento a chi si trova nello status giuridico di arrestato, con chiaro riferimento alla misura precautelare di cui agli articoli 380, 381 codice penale, anche se ad opera di privato.

Si è discusso se il fermo di indiziato di reato possa costituire presupposto per il reato di evasione. Secondo l’orientamento più recente, colui che si trova in stato di fermo sarebbe da considerarsi egualmente in stato di privazione della propria libertà per ragioni di giustizia, e pertanto può configurarsi il delitto di evasione.

Infine, rientra nella casistica anche l’arresto ai fini estradizionali.

Nel secondo caso, il presupposto del reato è l’applicazione di misura cautelare detentiva ovvero l’esecuzione di una pena (detentiva).

Come ben noto, anche gli arresti domiciliari (o detenzione domiciliare) rientrano nei presupposto dell’articolo 385 codice penale.

Occorre ora soffermarsi sulla scelta del legislatore di utilizzare l’avverbio legalmente.

 

2. Legalità dello stato detentivo

Se dubbi non vi possono essere sul principio secondo cui la limitazione della libertà personale deve esser stata posta in essere secumdum legem, dubbi vi sono nell’ ipotesi di atti successivi (ma anche pregressi o concomitanti) che possono influire sulla valutazione di legittimità.

Se è vero che in dottrina si è detto che tale valutazione deve avere carattere formale, allora sarà precluso ogni sindacato sull’esercizio del potere discrezionale sempre che previsto dalla legge, e pertanto nulla significherà, ai fini del riconoscimento della penale responsabilità per il reato ex articolo 385, una eventuale successiva pronuncia di innocenza (Antolisei).

Per meglio comprendere quanto detto, si pongano i seguenti esempi.

Il primo: evasione dopo arresto in flagranza di reato poi non convalidato dal GIP.

In questo caso, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto comunque penalmente rilevante in relazione al reato in esame la fuga del reo, per i motivi che seguono:

“L'evasione della persona privata della libertà non avrebbe integrato gli estremi del delitto in argomento laddove fosse stato accertato che l'arresto non poteva essere affatto eseguito: ad esempio, laddove, in sede di convalida, il giudice avesse accertato che il reato ipotizzato a carico di quel soggetto non consentiva, a norma di legge, l'applicazione della misura precautelare dell'arresto ovvero avesse verificato la mancanza originaria dei presupposti giustificativi dello stesso arresto in flagranza.

Diverso è il discorso nel caso in cui, per l'omessa formulazione di una richiesta da parte del P.M. oppure per il mancato rispetto dei termini prescritti dal codice di rito, l'arresto non venga convalidato, poiché in siffatte situazioni la misura precautelare perde efficacia, secondo quanto stabilito dall'articolo 390 codice penale, comma 3 senza però che tanto incida sulla legittimità dell'iniziativa, assunta dalla polizia giudiziaria, limitativa della libertà personale, che rimane appunto legittima ed efficace fino alla scadenza di quei termini. Pertanto, l'arresto deve ritenersi "legalmente" effettuato, anche se lo stesso – come parrebbe essere accaduto nel caso portato all'odierna attenzione di questo Collegio, nel quale l'arresto in flagranza era stato eseguito con riferimento ad un reato per il quale la legge prevedeva la obbligatorietà dell'applicazione di quella misura precautelare abbia successivamente perso di efficacia per ragioni meramente formali (Cass. n. 34083/2013)”.

Secondo esempio: evasione dagli arresti domiciliari all’indomani della scadenza dei termini di custodia senza che fosse intervenuto formale provvedimento di rimessione in libertà.

In questo caso, la S.C. ha ritenuto l’insussistenza del reato in relazione alla illegittimità della coercizione, per queste ragioni:

“Non si avrà evasione, per difetto del presupposto della legalità dell'arresto o della detenzione, quando l'agente si sottrae a un arresto in flagranza non convalidato nel termine previsto o a una misura custodiale applicata fuori dei casi fissati dall'articolo 280 codice procedura penale oppure all'esecuzione di una pena, nel caso che, pur essendo scaduto il termine, non sia stata disposta la scarcerazione (Cass. 10282/2001, conferme 33874/2015)”.

Terzo ed ultimo caso, previsto dal terzo comma dell’articolo 385, il c.d. “semilibero” ammesso al lavoro fuori da istituti penitenziari, che senza motivo non vi fa rientro.

 

3. Elemento oggettivo e soggettivo

Analizzati i presupposti del reato in esame, resta da approfondire l’elemento oggettivo della norma, ossia quando può esser definito “evasione” l’atto di fuga.

Va preliminarmente ricordato che la fuga non necessariamente deve avvenire da un luogo chiuso o specifico, essendo configurabile il reato nel solo caso di sottrazione dalla sfera di vigilanza dell’Autorità (c.d. “fuga dalle mani”).

Non rileva neppure l’effettiva distanza raggiunta dal reo; nelle varie pronunce della giurisprudenza di legittimità è stato evidenziato come possa integrarsi il reato in questione nell’ipotesi di soggetto (in regime di arresti domiciliari) sorpreso all’interno di un’appartenenza non pertinente al resto dell’abitazione in cui egli era confinato.

Resta il principio secondo cui il soggetto attivo deve necessariamente esser già stato privato della libertà, e pertanto non potrà esser contestata l’evasione nel caso di fuga prima dell’impossessamento fisico della persona assoggettata al provvedimento.

Altra ipotesi di evasione si verifica laddove il detenuto presso arresti domiciliari ed autorizzato ad allontanarsi per recarsi presso il luogo di lavoro, tardi a farvi rientro, o venga sorpreso in luogo diverso.

Precisando che si deve ritenere che in caso di autorizzazione a recarsi presso il luogo di lavoro, giuridicamente si ha una momentanea sostituzione del luogo di custodia, un lieve ritardo nel rientro nell’abitazione, o anche un modestissimo allontanamento dal luogo di lavoro può, astrattamente, configurare evasione, e non invece la trasgressione di cui all’articolo 276 codice penale, ovviamente qualora ciò si renda incompatibile con le esigenze di sorveglianza e controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria.

In sede di giurisprudenza di legittimità si è detto che trattandosi di “un reato proprio a forma libera, nel senso che il bene giuridico protetto (omissis) può essere offeso con qualsiasi modalità esecutiva (omissis). Sicché non assumono rilievo alcuno, ai fini del perfezionamento del reato, né la durata maggiore o minore del tempo in cui il soggetto si sottrae alla misura domestica, né la distanza maggiore o minore dalla abitazione eletta a sede esecutiva della misura, da cui si accerti essersi costui allontanato (Cass. 51855/17)”.

Concludendo, in riferimento all’elemento soggettivo del reato, si ritiene pacificamente che sia costituito dal dolo generico.

Occorre spendere un’ultima parola sull’eventuale configurabilità della scriminante dello stato di necessità (articolo 54 codice penale) in grado di giustificare l’evaso.

In sede di giurisprudenza di legittimità, pur aprioristicamente ammettendo che tale scriminante possa esser configurabile per il reato in oggetto, sono assai rare le pronunce in tal senso, ritenendo che il rapporto tra il rispetto della misura imposta e la costrizione dalla necessità di trasgredire tale imposizione (per scongiurare un grave danno), non trovasse giustificazione laddove era possibile una soluzione differente dall’abbandono del domicilio.

Non può non esser evidenziato come la situazione emergenziale dovuta alla pandemia in relazione alla diffusione del Covid-19 potrebbe giustificare, nel caso di conviventi infettati dal virus e in regime di quarantena, un abbandono dal domicilio da parte del soggetto attivo, finalizzato allo scopo di trovare un luogo differente per evitare di esser a sua volta contagiato.

In questa caso (va però registrata l’assenza ad oggi di pronunce per casi astrattamente analoghi), stante l’impossibilità di soluzione alternativa nonché l’inevitabilità del pericolo, potrebbe configurarsi la scriminante ex articolo 54 codice penale, ipoteticamente nel caso in cui l’evaso si rechi, ipoteticamente, presso stazioni di polizia.

 

4. Circostanze aggravanti o attenuanti

Venendo ora alle circostanze previste dall’articolo 385, il secondo comma prevede due diverse aggravanti:

  • Se il fatto è commesso con violenza o minaccia verso la persona ovvero mediante effrazione, vale a dire, ad esempio, lo scasso o la distruzione delle cose destinate ad impedire l’evasone.
  • Se il fatto è commesso con violenza o minaccia con armi o da più persone.

Infine, il quarto e ultimo comma, prevede una circostanza attenuante nel caso in cui l’evaso si costituisca prima della condanna.

Secondo le Sezioni Unite (11343/1993), questa attenuante è applicabile anche nel caso di arresti domiciliari. Tuttavia, si è anche precisato (25602/2008) che non è sufficiente il rientro volontario presso l’abitazione, bensì è necessario che l’evaso si presenti presso un istituto carcerario ovvero si consegni all’autorità, al fine di essere tradotto in carcere.

A.Trinci – S. Farini, DIRITTO PENALE, PARTE SPECIALE, Dike Giuridica Editrice.

G. Fiandaca – E. Musco, DIRITTO PENALE, PARTE SPECIALE Vol.1, Zanichelli Editore.