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Trasformismo politico tra disturbo e costume sociale

Analisi sul problema (costituzionale e non)
Trasformismo politico
Trasformismo politico

Il titolo ci porta con il pensiero all’idea di una dimensione poco spirituale della politica dove, apparentemente, il ruolo principale ce l’ha il famoso votante.

In realtà l’attore protagonista è la coscienza [1].

Quella collettiva e quella soggettiva.

Ne possiamo ipotizzare un’altra: quella scollegata.

Un paradosso vero?

David Spiegel, della Stanford University School of Medicine, spiega [2] che in medicina esiste un disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione che è caratterizzato da una persistente o ricorrente sensazione di scollegamento dal proprio corpo o dai propri processi mentali, come se si stesse osservando la propria vita dall’esterno (depersonalizzazione) e/o dalla sensazione di essere dissociato dall’ambiente circostante (derealizzazione)”.

Se riuscissimo a utilizzare questo fenomeno (che la scienza medica ha ben inquadrato) con la politica, ci accorgeremmo che il predetto fenomeno non è poi tanto lontano dall’essere apprezzabile anche per la scienza politica stessa e/o sul piano socio-giuridico.

Primo perché sul fronte politico conta la dimensione psico-umana [3] dell’eletto (atteso che quest’ultimo deve avere una forte corazza e decisa resistenza rispetto alle tentazioni che possono portare alla scelta trasformistica in chiave politica).

Secondo perché le norme, le regole e le scelte politiche sono il derivato o la genesi (a seconda dei punti di vista) proprio di quanto innanzi.

E potremmo immaginare, ancora, che l’elettore è sostanzialmente la mente e l’eletto, quindi, la longa manus in quel che in una democrazia definisce i connotati della fisionomia stessa dell’esercizio della sovranità: votato un programma [4], quest’ultimo si deve portare a termine in un determinato tempo e spazio.

Che parola importante quest’ultima. La sovranità è un concetto molto chiaro. Significa che il Sig. Rossi può col proprio voto delegare il Sig. Verdi a fare qualcosa per suo conto. È qualcosa di eccezionale la delega. Meglio dire anche “mandato” in termini politici (in verità anche giuridici).

Ora, se il Sig. Rossi vota il Sig. Verdi perché lo rappresenti in termini valoriali, dimensione politica e, in senso lato, in esercizio della sovranità deputandolo in una certa area a seconda che si tratti di maggioranza od opposizione, che fine fa questo sano rapporto, idealmente alla base della democrazia, se avviene un cambio di casacca partitico o di coalizione?

Al contrario opinando, se il Sig. Verdi ad un certo punto non rispetta più il “mandato d’area” valoriale si può pensare che la delega a monte non sia, in realtà, così forte in termini di legame e collegamento con la base (elettorale)?

Queste due domande nascono dal considerare irrisolto un problema atavico: il trasformismo politico (che, si faccia attenzione, non è metamorfosi[5]).

Una stortura del gioco democratico che non altro rappresenta (con sincerità fino in fondo) un “costume sociale”. Questa sarebbe la conclusione a cui giungerebbe la superficialità necessaria a far disperdere le responsabilità che, grazie al processo dello scarica barile, farebbe dire ad ogni singolo italiano “che ci possiamo fare, così vanno le cose”. Una di quelle frasi che occorre rifiutare perché indice di due cose:

  • indifferenza totale alla propria importanza nella società;
  • apatia distruttiva che si insinua nella democrazia a piccole dosi.

L’indifferenza [6] è la più grande offesa che si possa fare alla Costituzione; pilastro della nostra società a cui hanno partecipato persone in un’epoca post-bellica la cui vita era tutt’altro che legittimante anche un piccolo accenno di trasformismo.

L’apatia, si scusi anticipatamente per il ricordo della storia drammatica, ha portato a totalitarismi come il nazismo che pure era stato legittimato con il voto.

Piccole dosi di scollamento valoriale che, pian piano, hanno portato a far accettare l’inversione valoriale stessa, appunto, come un costume sociale nuovo: ne sono state prova le leggi razziali. Da qui l’apatia di Stato verso le sofferenze.

È indubbio, quindi, che ci sia un collegamento preciso che tiene insieme democrazia e senso dell’esercizio della sovranità: questa si chiama diversità.

Ecco, il caso del trasformismo è l’esempio più utile per comprendere come la diversità, in quanto presupposto della democrazia, sia tradita benché non condannabile sul piano giuridico (stando alle norme vigenti).

Allora cosa c’è di così sbagliato che porta un soggetto, eletto in un determinato partito, a scegliere un giorno o l’altro di cambiare del tutto magari spostandosi in un’altra dimensione d’area valoriale?

E i suoi elettori che dicono?

Non si venga a dire i “partiti sono finiti” perché senza questi ci sarebbe, anzitutto, un problema costituzionale e di tenuta social-rappresentativa perché proprio l’art. 49 della Costituzione ci ricorda come “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Ciò significa che se il partitismo viene superato dalla società ci sarebbero almeno due problemi sul piano del ripensamento, vero e proprio, dell’architrave della democrazia:

  • chi candidare e come votare [7];
  • se non c’è diversità non c’è più maggioranza ed/od opposizione.

E quindi non pare evidente che si finirebbe nel c.d., disturbo della coscienza politico-collettiva?

Se questo ragionamento è attendibile, allora, il trasformismo sarebbe ben legittimato ad operare, sempre e comunque, data l’indifferenza maturata dalla società rispetto al “salto della quaglia [8]”.

È qui che si innesta il c.d., “potere per il potere”: dimensione psico-umana che rende l’idea perfetta di come il trasformismo (politicamente indotto o genetico) operi costantemente per aumentarne i livelli di desertificazione politica [9] degli opposti (od in extrema ratio degli oppositori).

Processo mentale che porta, inevitabilmente, ad un cortocircuito in cui se l’elettore non è capace di discernere i motivi di tradimento del mandato si rischia di cadere in una dimensione più grave: il disorientamento [10] politico-cromatico [11].

La radice del problema si palesa su due piani almeno:

  • le legge elettorale all’interno della cornice costituzionale, regionale [12], ecc.;
  • la partecipazione appassionata dei cittadini alle vicende politiche del Paese.

In base al primo si possono condizionare i c.d., “salti della quaglia” da un partito all’altro o da una coalizione all’altra.

In base al secondo il cittadino può incidere sul proprio eletto qualora si allontanasse dal mandato elettorale in termini di programma, area valoriale, ecc. tale per cui si potrebbe condurre l’eletto stesso ad un c.d., “atto di dolore [13]” in nuova sintesi ovvero “Mi pento e mi dolgo con tutto il cuore del mio mandato”.

Perché non c’è un confine costituzionale sul tema?

In realtà i Costituenti pensarono, con lungimiranza, ad una società consapevole e che partecipasse sempre più ai processi politici sapendo guardare con oculatezza alla scelta elettorale da farsi tenuto conto, altresì, dello sviluppo sociale e del progresso materiale nonché spirituale (art. 3 ad esempio); il tutto in chiave programmatica [14]. Non a caso vollero i partiti al centro del processo di intermediazione partecipativa (art. 49 Cost. come detto).

Il punto di snodo è, quindi, in questi termini (si spera): che il trasformismo è un fenomeno umano e che appartiene alla famiglia delle opportunità appaganti.

Senso che mette in moto l’azione del c.d., cambio di casacca in scollegamento elettorale.

Ma questo è pur sempre da qualificarsi come un disturbo, per un verso, e come una stortura sistemica, per altro verso.

Al primo vi rimedia l’elettore nel momento del voto; al secondo, invece, è la politica stessa che dovrebbe:

  • o procedere ad una integrazione costituzionale;
  • oppure ad una regolamentare in autodichia [15] parlamentare;
  • oppure ancora con una legge elettorale di stabilizzazione che non limiti l’insindacabilità e la libertà d’opinione con il rischio di violare l’art. 67 della Costituzione [16].

Da quest’ultimo passaggio può, pertanto, giungersi alla fine di questa analisi sul problematico rapporto tra elettore ed eletto studiando alcuni connotati del trasformismo politico:

  • mortifica il mandato democraticamente espresso quale frutto di conquista anti-totalitaristica e rivoluzionaria (pensiamo a quella francese ad esempio);
  • svalorizza la diversità sia nel micro che nel macro allorquando diventi un fenomeno allargato e/o diffuso (con tutto ciò che genera negativamente sul piano educativo [17]);
  • favorisce la disaffezione che la società, se ha anticorpi democratici forti, colmerà con il civismo [18] (che però è il paradosso della politica stessa in relazione al dettato dell’art. 49 Cost. attesa la enunciata centralità dei partiti nel percorso di intermediazione);
  • può portare ad elevate quote di non voto o voti di protesta generando “movimentismi destrutturati e/o nascenti in chiave antipolitica [19]” (il ché ancor peggio del penultimo in elenco).

Allora se la politica non riesce più a legittimarsi in campi di diversità (tipicamente opposizione, maggioranza, gruppi di minoranza, ecc.) rischia che il trasformismo diventi un costume del quale l’elettorato si possa assuefare a tal punto da diventare esso stesso la genesi della sua estinzione.

Da qui la degenerazione del potere che, ciclicamente (come direbbe Macchiavelli), farà i conti con la propria storia.

Se la genesi della politica è l’affermazione del diverso ed il “rispetto” di quest’ultimo non rimane che richiamare l’attenzione sulla capacità di persuasione (di greca memoria) quale unico antidoto per rifissare il seme della democrazia partecipata nelle coscienze.

Quando si viene eletti e si opera nel trasformismo, nell’idea che il contenitore non conti più di tanto, si ricordi che questo implica uno scollamento concreto con il mandato elettorale il quale, a sua volta, può portare al disorientamento della società che in altri termini può confondere contenitori e contenuti nel gioco necessario ed imprescindibile tra maggioranza e opposizione.

Superare il concetto di maggioranza e opposizione, quindi, è un passaggio molto delicato. Rischioso. Un azzardo che potrebbe portare a grossi problemi.

Primo fra tutti non andare più a votare.

E senza voti non c’è elezione (basti andare alla fonte di senso [20] del termine).

Il processo inverso, cioè il rafforzamento del senso del mandato, si ottiene in un solo modo.

Antico, ma umanamente irrinunciabile.

Rispetto: primo co-mandamento della politica.

A ben vedere, quest’ultima, dimensione molto spirituale.

Non a caso la Costituzione nasce da qui. Dalle diversità. Per le diversità. Nella diversità.

***

[1] Etimologia della parola che porta al concetto di “essere consapevole” disponibile al seguente link - https://www.etimo.it/?term=coscienza

[2] SPIEGEL D., Disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione, in Manuela MSD, 2021, articolo disponibile al seguente link - https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/disturbi-di-salute-mentale/disturbi-dissociativi/disturbo-di-depersonalizzazione-derealizzazione

[3] PISICCHIO P., La politica come mestiere. Non-manuale per carriere, militanze e cittadinanza, Rubettino editore, 2022.

[4] DE LUCA R., La partecipazione elettorale nel Mezzogiorno: dalla clientela politica alla sfiducia sistemica, in Quaderni di sociologia, n. 15/1997 Le politiche dell'educazione nell'epoca della globalizzazione, disponibile al seguente link - https://journals.openedition.org/qds/1549

[5] DI BARTOLO S., Metamorfosi politica, Aracne editrice 2022.

[6] CALAMANDREI P., Discorso sulla Costituzione del 26 gennaio 1955, in ripubblicazione su rivista Filodiritto, 2020, disponibile al seguente link - https://www.filodiritto.com/piero-calamandrei-discorso-sulla-costituzione

[7] BORDON W., Manifesto per l’abrogazione dei partiti politici, Ponte alle Grazie editrice, 2012. In quest’opera si teorizza una società senza partiti.

[8] IODICE A., Alle radici dell’Europa unita, Guida editore, 2002. Le prime attestazioni del modo di dire in ambito politico sono ricavate dall’opera Allegro parlabile, datata 1965, di Raffaello Brignetti: «Toh, lui diceva di buonumore, kerenskismo, oligopolio, salto della quaglia e monolitismo». È a partire dagli anni ’50 del Novecento, però, che l’accezione politica del modo di dire si impianta stabilmente (soprattutto nel linguaggio giornalistico).

[9] TOGNA C., Leaderismo e desertificazione delle classi dirigenti, in rivista L’Occidentale, 2021 disponibile al segente link - https://loccidentale.it/leaderismo-e-desertificazione-delle-classi-dirigenti-di-c-togna/

[10] NAPOLITANO L., “Prospettive” del gioire e del soffrire nell’etica di Platone, Edizioni Università di Trieste, 2001. Stando alla presentazione leggibile “Il lavoro parte da un complicato passaggio del X libro della ‘Repubblica’ platonica (602c6-d4), dove il turbamento passionale a cui l’anima è soggetta, direttamente o anche nel ruolo di spettatrice delle vicende altrui narrate sulla scena teatrale, è paragonato al “disorientamento cromatico” coinvolgente la vista fisica dinnanzi ad illusioni di tipo prospettico”.

[11] ROUSSEAU J., Sulla imitazione teatrale, traduzione di Aliena editrice, 1999, pag. 84. Rousseau affermava che “… gli identici oggetti, a seconda che si contemplano dentro o fuori dell’acqua, appaiono piegati o diritti e cavi o prominenti, questo perché nella vista si produce un disorientamento cromatico. È chiaro che tutto questo scompiglio esiste nell’anima nostra… omissis”.

[12] Perché in Italia vige il potere legislativo concorrente o esclusivo, a seconda, in base all’art. 117 della Costituzione.

[13] Atto di dolore disponibile al seguente link - https://www.vaticannews.va/it/preghiere/atto-di-dolore.html

[14] CAMPOLUNGHI M., “Tanta”. Analisi di una costituzione programmatica, in rivista Studia et documenta Historiae et Iuris dell’Università degli studi di Perugia, 2005.

[15] MANGANARO M., L’autodichia come «manifestazione tradizionale» dell’autonomia degli organi costituzionali: le aspettative deluse dopo Corte cost. n. 120/2014, in rivista Osservatorio Costituzionale dell’AIC, n. 3/2018, disponibile al seguente link - https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/24-Manganaro_definitivo.pdf

[16] Articolo che recita “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.

[17] SANTELLI BECCEGATO L., Pedagogia neo-personalistica: l'educazione alla politica come impegno ineludibile, in rivista MeTis, n. 12/2012, saggi di Etica e Politica, disponibile al seguente link - http://www.metisjournal.it/metis/anno-ii-numero-2-dicembre-2012-etica-e-politica-temi/84-saggi/253-pedagogia-neo-personalistica-leducazione-alla-politica-come-impegno-ineludibile.html

[18] COSTABILE A., Percorsi di formazione e di mutamento del ceto politico nel Sud d’Italia, in Quaderni di sociologia, n. 43/2007, Politica e ceto politico locale nel Centro-Sud d’Italia, dove si spiega al punto 2.7 che da molto tempo “(Catanzaro, 1986; Fantozzi, 1993) la letteratura scientifica ha evidenziato la debolezza dell’associazionismo politico nel Mezzogiorno, negli ultimi 15 anni i fenomeni collegati alla crisi del sistema partitico e all’affermazione delle liste civiche vanno letti in questo contesto”. Disponibile al seguente link - https://journals.openedition.org/qds/949

[19] ORSINA G., La democrazia del narcisismo. Breve storia dell'antipolitica, Marsilio editore, 2018.

[20] Etimologa del termine, in particolare “nominare ad un ufficio, scegliere ad una dignità”, disponibile al seguente link - https://www.etimo.it/?term=eleggere