Sulla magistratura: due parole allo studente di giurisprudenza

Sulla magistratura: due parole allo studente di giurisprudenza
Sulla magistratura: due parole allo studente di giurisprudenza

Bologna, 1 maggio 2016

 

Va conservato il numero di lunedì 25 aprile, nel quale Il Foglio, con il titolo “Il caso Davigo o la nostalgia di Tangentopoli”, presenta una silloge degli articoli tratti da diversi quotidiani in merito alla polemica che aveva infiammato i mass media nella precedente settimana e che poi, puntualmente, si è sopita, ma che latente cova come brace sotto la cenere. Filodiritto, che ama il diritto da quindici anni, non può fare finta di nulla.

Non so proprio da dove cominciare. Innanzitutto penso che non sia questione di decidere se mettere il proprio like o meno sulle dichiarazioni di questo o quel rappresentante politico, della magistratura o istituzionale. Si tratta di ragionare sulle conseguenze delle parole e su quali possano essere gli effetti su una figura che mi sta molto a cuore: lo studente di giurisprudenza, compreso quello che non lo è ancora ma lo vuole diventare. Non voglio filosofeggiare: diciamo che molto concretamente mi rivolgo agli studenti dell’ELSA Bologna che con entusiasmo collaborano a Filodiritto.

Mi sono iscritto a legge nel 1993 e quell’anno vi fu il boom degli studenti, si disse che era l’effetto Di Pietro. Sinceramente non era questo che mi animava. Avevo deciso all’ultimo (il ballottaggio era con storia) e non avevo l’aspirazione di combattere guerre e men che meno di chiudere in prigione cattivi e di sconfiggere mafia e corruzione. Forse ero mediocre, probabilmente ero più concentrato su Tomba e Pantani, certo non sono mai stato un rivoluzionario.

Dire che i magistrati devono parlare solo con le loro sentenze equivale a dire che devono stare zitti”, “nessuno viene messo dentro per farlo parlare; viene messo fuori se parla”. Leggere e ascoltare le dichiarazioni del Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Piercamillo Davigo mi ha fatto un effetto revival. Di questo lo ringrazio sinceramente: mi sono sentito di nuovo studente di giurisprudenza, quando tornavo a casa e in TV seguivo le cronache della giornata giudiziaria (Di Pietro, Chiesa, Craxi, Brosio, requisitorie, manette, carcerazione, resistere, ecc.).

Proprio questo mi interessa. Credo che al di là delle competenze e delle specializzazioni, lo studente dovrebbe essere aiutato a crescere e a rispondere ad alcune domande fondamentali, perché un domani, molto prossimo, sarà lui ad istruire il processo (non solo penale!), a decidere una misura istruttoria, a difendere un imputato: qual è il lascito di quella stagione, nella quale lo studente di oggi non era ancora nato o lo era da poco? La società era marcia allora ed è marcia oggi? Che ruolo ha e deve avere la magistratura in Italia, e il magistrato?

Sperando di ricevere contributi da pubblicare su Filodiritto, cerco di incentivare il confronto.

Schematizzando al massimo, vedo due posizioni ben rappresentate da questi passaggi:

sono convinto che il magistrato che usa il suo ruolo per formare un consenso politico è un magistrato che agisce in cattiva fede. Ma dall’altra parte sono convinto che un magistrato che svolge un ruolo pedagogico nella società sia un ingrediente fondamentale e non secondario della lotta all’illegalità” (Raffaele Cantone, Presidente Autorità Anticorruzione (A.N.AC.), intervista a Claudio Cerasa, consultabile alla pagina: http://www.ilfoglio.it/politica/2015/04/25/buongiorno-onorevole-cantone___1-v-128155-rubriche_c190.htm);

È, comunque, compito del magistrato scegliere, in base alla propria capacità professionale, fra le varie opzioni consentite, quella che, con ragionevolezza, nella corretta applicazione della norma, comporta minori sacrifici per i valori, i diritti e gli interessi coinvolti. La ragionevolezza non è soltanto un canone costituzionale che deve improntare l’azione del legislatore, ma è anche un parametro che deve guidare il giudice a operare il bilanciamento spesso richiesto dai diversi valori tutelati dalla Costituzione … L’esercizio del compito, affidato ai magistrati, di applicazione delle norme di legge, con la loro corretta e puntuale interpretazione, non si esaurisce, quindi, in una mera operazione meccanica né può trasformarsi in una lettura “creativa” della norma. Dovrà essere governato, in un bilanciamento tra esigenze diverse, da rigore metodologico, conoscenze, competenze e sensibilità che possono essere assicurati soltanto da una formazione ampia, qualificata e costantemente alimentata” (Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, intervento all’inaugurazione dei corsi della Scuola Superiore della Magistratura per l’anno 2016, consultabile alla pagina http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=323).

Lo studente mio interlocutore potrebbe pensare che siano posizioni conciliabili. In fondo il criterio della ragionevolezza può ben permeare l’attività del magistrato, pure se pedagogo.

Non nego di essere scettico sul punto, ma sarei molto contento se al prossimo aperitivo gli studenti di giurisprudenza (dopo avere passato in rassegna i vari argomenti – meglio, pettegolezzi – del giorno) si ponessero per cinque minuti la domanda senza dare per scontata la risposta.

Bologna, 1 maggio 2016

 

Va conservato il numero di lunedì 25 aprile, nel quale Il Foglio, con il titolo “Il caso Davigo o la nostalgia di Tangentopoli”, presenta una silloge degli articoli tratti da diversi quotidiani in merito alla polemica che aveva infiammato i mass media nella precedente settimana e che poi, puntualmente, si è sopita, ma che latente cova come brace sotto la cenere. Filodiritto, che ama il diritto da quindici anni, non può fare finta di nulla.

Non so proprio da dove cominciare. Innanzitutto penso che non sia questione di decidere se mettere il proprio like o meno sulle dichiarazioni di questo o quel rappresentante politico, della magistratura o istituzionale. Si tratta di ragionare sulle conseguenze delle parole e su quali possano essere gli effetti su una figura che mi sta molto a cuore: lo studente di giurisprudenza, compreso quello che non lo è ancora ma lo vuole diventare. Non voglio filosofeggiare: diciamo che molto concretamente mi rivolgo agli studenti dell’ELSA Bologna che con entusiasmo collaborano a Filodiritto.

Mi sono iscritto a legge nel 1993 e quell’anno vi fu il boom degli studenti, si disse che era l’effetto Di Pietro. Sinceramente non era questo che mi animava. Avevo deciso all’ultimo (il ballottaggio era con storia) e non avevo l’aspirazione di combattere guerre e men che meno di chiudere in prigione cattivi e di sconfiggere mafia e corruzione. Forse ero mediocre, probabilmente ero più concentrato su Tomba e Pantani, certo non sono mai stato un rivoluzionario.

Dire che i magistrati devono parlare solo con le loro sentenze equivale a dire che devono stare zitti”, “nessuno viene messo dentro per farlo parlare; viene messo fuori se parla”. Leggere e ascoltare le dichiarazioni del Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Piercamillo Davigo mi ha fatto un effetto revival. Di questo lo ringrazio sinceramente: mi sono sentito di nuovo studente di giurisprudenza, quando tornavo a casa e in TV seguivo le cronache della giornata giudiziaria (Di Pietro, Chiesa, Craxi, Brosio, requisitorie, manette, carcerazione, resistere, ecc.).

Proprio questo mi interessa. Credo che al di là delle competenze e delle specializzazioni, lo studente dovrebbe essere aiutato a crescere e a rispondere ad alcune domande fondamentali, perché un domani, molto prossimo, sarà lui ad istruire il processo (non solo penale!), a decidere una misura istruttoria, a difendere un imputato: qual è il lascito di quella stagione, nella quale lo studente di oggi non era ancora nato o lo era da poco? La società era marcia allora ed è marcia oggi? Che ruolo ha e deve avere la magistratura in Italia, e il magistrato?

Sperando di ricevere contributi da pubblicare su Filodiritto, cerco di incentivare il confronto.

Schematizzando al massimo, vedo due posizioni ben rappresentate da questi passaggi:

sono convinto che il magistrato che usa il suo ruolo per formare un consenso politico è un magistrato che agisce in cattiva fede. Ma dall’altra parte sono convinto che un magistrato che svolge un ruolo pedagogico nella società sia un ingrediente fondamentale e non secondario della lotta all’illegalità” (Raffaele Cantone, Presidente Autorità Anticorruzione (A.N.AC.), intervista a Claudio Cerasa, consultabile alla pagina: http://www.ilfoglio.it/politica/2015/04/25/buongiorno-onorevole-cantone___1-v-128155-rubriche_c190.htm);

È, comunque, compito del magistrato scegliere, in base alla propria capacità professionale, fra le varie opzioni consentite, quella che, con ragionevolezza, nella corretta applicazione della norma, comporta minori sacrifici per i valori, i diritti e gli interessi coinvolti. La ragionevolezza non è soltanto un canone costituzionale che deve improntare l’azione del legislatore, ma è anche un parametro che deve guidare il giudice a operare il bilanciamento spesso richiesto dai diversi valori tutelati dalla Costituzione … L’esercizio del compito, affidato ai magistrati, di applicazione delle norme di legge, con la loro corretta e puntuale interpretazione, non si esaurisce, quindi, in una mera operazione meccanica né può trasformarsi in una lettura “creativa” della norma. Dovrà essere governato, in un bilanciamento tra esigenze diverse, da rigore metodologico, conoscenze, competenze e sensibilità che possono essere assicurati soltanto da una formazione ampia, qualificata e costantemente alimentata” (Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, intervento all’inaugurazione dei corsi della Scuola Superiore della Magistratura per l’anno 2016, consultabile alla pagina http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Discorso&key=323).

Lo studente mio interlocutore potrebbe pensare che siano posizioni conciliabili. In fondo il criterio della ragionevolezza può ben permeare l’attività del magistrato, pure se pedagogo.

Non nego di essere scettico sul punto, ma sarei molto contento se al prossimo aperitivo gli studenti di giurisprudenza (dopo avere passato in rassegna i vari argomenti – meglio, pettegolezzi – del giorno) si ponessero per cinque minuti la domanda senza dare per scontata la risposta.